I riti e i gesti che si compiono durante
la Messa (come in ogni altra celebrazione liturgica) ricordano
a noi stessi che l'uomo, il cristiano, prega non solo con
lo spirito ma anche con il corpo.
La Chiesa in proposito ha voluto anche riservare un capitolo
breve (ma non per questo meno importante degli altri) ai 'Gesti
e atteggiamenti del corpo' nelle pagine introduttive del
Messale, intitolate 'Principi e norme per l'uso del Messale'.
Ne riscrivo testualmente alcune espressioni quasi a richiamare
l'attenzione sulla convenienza e sul modo decoroso di accompagnare
con gesti, azioni e atteggiamenti (richiesti di volta in volta
nella celebrazione) che manifestano e sottolineano quella
viva fede interiore che, sgorgando dalla mente e dal cuore,
guida e orienta la lode a Dio da parte della comunità
cristiana: "L'atteggiamento comune del corpo, che tutti
i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è
il segno della comunità e dell'unità dell'assemblea:
esso esprime e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo
dei partecipanti". "Inoltre in tutte le Messe, salvo
indicazioni in contrario, i fedeli stiano in piedi
dall'inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si
reca all'altare, fino alla conclusione dell'orazione all'inizio
dell'assemblea liturgica compresa; al canto dell'alleluia
prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante
la professione di fede e la preghiera universale; dall'orazione
sui doni fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto
è detto in seguito.
Stanno invece seduti durante la proclamazione delle
letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale;
all'omelia; durante la preparazione dei doni all'offertorio
e, se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo
la comunione. S'inginocchiano poi alla consacrazione,
a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo o il
gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli".
Si badi che i richiami a questa norma non mirano semplicemente
a ovviare ad alcuni modi meno esatti di porsi durante la Messa,
ma perché coloro che partecipano alla Messa (soprattutto
domenicale) desiderano fare bene le cose e pregare altrettanto
bene.
È infatti un diritto dei fedeli sapere anche con quale
atteggiamento esteriore inserirsi nella celebrazione, ed è
un dovere dei pastori non abbandonare l'assemblea celebrante
a se stessa, avendo cura di evitare comunque un dirigismo
antipatico e controproducente.
L'atteggiamento comune del corpo è chiaro segno di
comunità e di unità dell'assemblea; si può
anche interpretare come il minimo comune denominatore su cui
si sviluppa quella gestualità che viene suggerita dai
libri liturgici e che nelle nostre celebrazioni risulta essere
ancora troppo 'ingessata'.
L'atteggiamento comune da tenersi è inoltre inequivocabile
dichiarazione della consapevolezza di essere assemblea
celebrante; in proposito rileggiamo ciò che il
testo sopra citato recita:
"Nella celebrazione della Messa i fedeli formano la gente
santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio
regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata
non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con
lui, e imparare a offrire se stessi. Procurino quindi di manifestare
tutto ciò con un profondo senso religioso e con la
carità verso i fratelli che partecipano alla stessa
celebrazione.
Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione,
tenendo presente che hanno un unico Padre che è nei
cieli, e che perciò tutti sono tra loro fratelli. Formino
invece un solo corpo, sia nell'ascoltare la parola di Dio,
sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente
nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione
alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene
dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono
tutti insieme".
La liturgia e il corpo
La celebrazione liturgica è fondamentalmente un atto
della persona, anima e corpo, che con le altre forma l'assemblea.
Dal momento che la liturgia registra la presenza di un corpo
sociale, un gruppo di uomini e di donne, ma anche la presenza
dei singoli corpi delle persone, essa riguarda globalmente
anche tutto il corpo.
La liturgia, 'memoria di fatti e di gesti', poi, si colloca
in uno spazio e in un tempo ben determinati, un tempo ritmato
dai cicli del sole e della luna: dati precisi che ci danno
anche le coordinate spazio-temporali in cui accade la celebrazione
liturgica e che richiedono necessariamente anche un lavoro
di inculturazione.
Si aggiunga che in ogni celebrazione si fa appello non soltanto
alla riflessione intellettuale, ma si utilizzano elementi
del cosmo: acqua, ad esempio, e i 'frutti della terra e
del lavoro dell'uomo'...
Un' azione compiuta dal corpo
La liturgia è un'azione compiuta dal corpo. Infatti,
la prima legge della liturgia è il radunarsi. L'assemblea
è la prima parola del vocabolario liturgico ed è
la realtà che ogni battezzato contribuisce a comporre,
anche con il proprio corpo.
Le posizioni del corpo
Durante la liturgia noi assumiamo delle posizioni:
Stiamo in piedi = è la posizione dell'uomo
nella sua dignità: piedi a terra, con il corpo elevato
verso il cielo.
Ci si siede = è atteggiamento di ascolto e
di interiorizzazione.
Ci si mette in ginocchio = è una posizione
che la liturgia non privilegia (si addice alla preghiera
individuale); è un atteggiamento penitenziale.
In alcune importanti circostanze la liturgia prevede anche
il prostrarsi: un atteggiamento estremo da cui traspare
la volontà di aderire alla terra.
Consideriamo anche le posizioni delle mani e delle braccia
= darsi la mano è un segno di confidenza... ci possiamo
augurare un gesto specifico, più caratteristico per
la 'pace del Signore' che si riceve per trasmetterla; al
momento della comunione siamo invitati a stendere la mano...
a proposito della comunione sulla mano, non sarà
mai sufficientemente ricordato il richiamo fatto da Cirillo
di Gerusalemme: "Avvicinandoti... con la sinistra fai
un trono alla destra poiché deve ricevere il Re.
Con il cavo della mano ricevi il Corpo di Cristo e dì
'Amen'. Con cura santifichi gli occhi al contatto del corpo
santo e prendilo cercando di non perdere nulla di esso..."
(Catechesi mistagogiche, V, 21-22).
Il sacerdote solleva mani e braccia alle preghiere, alle
orazioni e alla preghiera eucaristica: quando le braccia
si innalzano, pure la testa si leva, insieme allo sguardo
e ai talloni; è tutto l'essere che, invece di raggomitolarsi
a guardare gli altri, s'innalza verso il luogo simbolico
dove abita colui al quale ci si rivolge.
Anche i fedeli sono invitati, in alcuni casi, a compiere
questo gesto... si pensi al momento delle parole dell'istituzione
dell'Eucaristia e della recita del Padre nostro... Questi
continui cambiamenti durante l'azione liturgica possono
essere considerati come un disturbo, soprattutto se ci si
porta in chiesa intendendo fare la propria preghiera individuale.
Ma la preghiera liturgica è strutturata come atto
di tutta l'assemblea e in questa prospettiva i gesti comunitari
favoriscono l'azione dell'assemblea e presentano un supporto
alla preghiera comune.
Principi e norme per l'uso del Messale, n. 20, così
recitano: "L'atteggiamento comune del corpo, che tutti
i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è
il segno della comunità e dell'unità dell'assemblea:
esso esprime e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo
dei partecipanti".
I gesti e gli atteggiamenti
Accenniamo soltanto anche ai gesti compiuti dai ministri
e dai partecipanti alla liturgia, avendo già ricordato
il bacio di pace e la mano tesa per ricevere il Corpo di
Cristo.
Il gesto che accompagna l'augurio del sacerdote all'assemblea:
"Il Signore sia con voi", viene compiuto dal sacerdote
stendendo le mani e tutto il braccio. Un saluto che ricorda
quello che l'angelo Gabriele rivolge a Maria, quando entra
da lei e dice: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore
è con te". È un augurio che esprime la
presenza del Risorto accanto a noi.
I gesti nella liturgia sono importanti e sono anche belli
nella misura in cui, però, esprimono simbolicamente
l'incontro con Dio che trasforma le creature.
Particolarmente espressivo è il portare all'altare
da parte dei fedeli i doni. Non si tratta di un trasporto
di cose e neppure di uno spostare quanto è necessario
per la celebrazione. Quelli che hanno raccolto le offerte
in denaro e che le portano all'altare con il pane e il vino
e tutto ciò che serve all'Eucaristia rappresentano
tutta l'assemblea che si impegna nell'offerta della propria
vita, alla sequela del Signore.
Anche la processione d'ingresso del sacerdote, all'inizio
della Messa, deve essere bene intesa: l'avanzare verso l'altare
realizza come un pellegrinaggio, cammino ecclesiale per
i cristiani che sono stranieri e pellegrini, che bene esprime
le parole del Salmo 42: "Verrò all'altare di
Dio, al Dio della mia gioia e del mio giubilo".
La processione alla comunione, poi, ben lungi dall'essere
una coda davanti alla cassa di un supermercato, è
lo spostarsi e l'avanzare insieme verso il luogo della comunione
di persone animate dal desiderio di Dio che si esprime pienamente
nella mano tesa per ricevere il Corpo di Cristo.
Bastano questi cenni per accorgerci che i gesti e gli atteggiamenti
devono essere espressione di una fede illuminata e consapevole,
e si iscrivono nella trama stessa dell'azione liturgica
che i presenti, per invito del Signore, compiono con il
corpo e con l'anima.
Le azioni liturgiche si appellano anche ai sensi. In particolare,
i Sacramenti diventano comprensibili attraverso una catechesi
che si attua aprendo occhi e orecchie, per vedere quel che
si fa, per ascoltare ciò che si dice.
Non possiamo dimenticare, infatti, che la liturgia è
un'azione da compiere, più che un problema da capire.
La vista
Il senso maggiormente coinvolto nella liturgia è
la vista, al punto che si rischia di confondere l'azione
liturgica con uno spettacolo realizzato da attori per un
pubblico che assiste: in questa linea si giunge ben presto
alla negazione dell'assemblea liturgica.
La liturgia è attraversata dalla logica giovannea
del vedere e del credere: "Venite e vedrete" (Gv
1,39).
Ciò che viene colto dagli occhi del corpo viene trasferito
alla contemplazione degli occhi del cuore: quel che viene
offerto alla vista deve portare alla fede. L'elenco di tutto
ciò che si vede nella liturgia ci suggerisce l'importanza
del ruolo della vista nell'azione liturgica e soprattutto
dell'intuizione della fede che consente di entrare nel mondo
dei segni da cui la liturgia è costituita: la fede
dà pieno significato all'azione che vediamo con i
nostri occhi.
Ci viene chiesta una grande attenzione nei confronti di
ciò che si fa vedere nell'azione liturgica... L'importanza
della riunione di persone (assemblea) ci porta a considerare
la dimensione ecclesiale della liturgia; lo spessore della
Parola di Dio viene sottolineato anche dal "libro"
(lezionario) che si usa per la proclamazione di essa oppure
dall'ambone, luogo da cui la Parola viene proclamata. La
medesima cosa sì può dire degli altri "luoghi"
liturgici: il battistero, il luogo della Penitenza, l'altare,
la sede del presidente della celebrazione...
L'udito
Nella celebrazione vi sono molte cose da sentire o meglio,
da ascoltare. L'udito, quindi, è il senso più
sollecitato dalla liturgia anche se, dobbiamo ammetterlo,
l'udito richiede all'uomo uno sforzo più grande che
non la vista. La liturgia usa diversi modi di comunicare:
monizioni, canti, letture, preghiere... Si tratta, genericamente
parlando, di "testi" ciascuno dei quali appartiene
a uno speciale genere letterario.
Ci addentriamo in un settore al quale si è data troppo
poca attenzione.
Limitiamoci a qualche rilievo attinente alla proclamazione
della Parola. Dovrebbe essere ormai cosa acquisita da tutti
che non basta saper leggere le letture per essere in grado
di esercitare il ministero del lettore: questo ministero,
infatti, viene esercitato per trasmettere la Parola di Dio;
un ministero ecclesiale, dunque, che richiede coinvolgimento
personale nella lettura e risonanza di fede, nel cuore del
lettore, con quanto viene proclamato. E poi, questo ministero
richiede continuo esercizio non per diventare dei "professionisti"
ma per raggiungere una sufficiente capacità.
È evidente che l'improvvisazione, in questo settore,
non può che dare cattivi risultati.
Per la proclamazione dalla Parola di Dio la liturgia offre
qualche appoggio: innanzitutto, un "luogo" (ambone)
riservato alla proclamazione, posto di fronte all'assemblea
- segno che la Parola è ad essa rivolta, ed è
la Parola di un Altro, non proviene da noi. In secondo luogo,
la liturgia prevede un "libro" (lezionario) per
le letture; questo libro viene aperto, quasi per avvisare
che questa Parola viene da altrove e mette in guardia lo
stesso lettore suggerendo che è posto tra il ministro
e l'assemblea, e lo aiuta a trovare la giusta posizione
e il tono giusto di voce.
La visione dell'ambone e del lezionario facilitano dunque
l'ascolto della Parola (e sottolineano la sua importanza
sacramentale). Vista e udito si uniscono per raggiungere
l'obiettivo. Badiamo bene: l'azione liturgica tende a favorire
l'ascolto, più che la visione, perché "la
fede dipende dalla predicazione" (Rm 10, 17). Privilegiare
dunque l'ascolto - non la lettura, rinunciando alla comodità
che possono offrire i piccoli messali o i "foglietti"
che forniscono il testo delle letture del giorno - significa
tendere l'orecchio, ascoltare la Parola che viene rivolta
ai fedeli da parte di Dio stesso.
Il tatto
La liturgia fa uso sobrio del tatto. Pensiamo ad alcuni
gesti: l'acqua che tocca il corpo del battezzato, le unzioni
del Battesimo, alla Confermazione, alle ordinazioni e nel
caso dell'Unzione dei malati.
Sono gesti ministeriali: si riconosce al ministro della
Chiesa il diritto di toccare il corpo degli altri, come
lo si riconosce ai professionisti della sanità, medici,
infermieri, fisioterapisti...
Al tatto appartiene anche il gesto della pace, che si dà
con l'abbraccio o stringendo la mano...
Il gusto
La liturgia fa pochissimo uso del gusto. Attualmente si
gustano soltanto il Pane della vita e il calice della salvezza...
Questa latitanza dell'appello al gusto nella liturgia potrebbe
essere l'occasione perché si dia maggior risalto
a quei pochi spazi concessi ad esso; ad esempio, potremmo
studiare con maggior attenzione il problema creato - in
questo campo - dalle ostie bianche (usate per la Comunione
eucaristica), tanto sottili da non ricordare affatto il
pane e da non avere nessun gusto...
L'odorato
Anche nei confronti dell'odorato la pratica liturgica è
sottosviluppata.
Nella liturgia occidentale non si va più in là
dell'incenso; in passato era più frequente l'uso
dei petali di rosa in alcune circostanze, anche se più
legate al folklore.
Anche del sacro Crisma (confezionato con olio profumato)
di solito non si sente il profumo!?!
In questo campo dovremmo fare appello a una maggiore inventiva,
soprattutto se si considera che la liturgia, come azione,
richiede una conoscenza globale: intellettuale, fisica,
corporea. Il significato delle cose, nella liturgia si coglie
con tutti i sensi!
LA COMUNIONE SULLA MANO
La Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito che la santa
Comunione si possa distribuire anche deponendo la particola
del pane consacrato sulla mano dei fedeli, pur riaffermando
il pieno valore del modo di distribuire la Comunione deponendo
la particola, sulla lingua dei comunicandi.
A partire dal 3 dicembre 1989 (I Domenica di Avvento nel
Rito Romano, III Domenica di Avvento nel Rito Ambrosiano)
il fedele può ricevere la Comunione eucaristica o
nel modo consueto (sulla lingua che sporge dalla bocca)
o sulla mano (modo conosciuto nella Chiesa dai primi secoli
fino al compimento del primo millennio). Diversi sono i
motivi che hanno portato la Chiesa italiana a questa scelta;
tra essi elenchiamo i seguenti: la prassi è già
consentita in numerose Chiese d'Europa e di altri continenti;
sembra un esigenza suggerita dall'accresciuta mobilità
delle persone da una nazione all'altra; molti avanzano anche
ragioni di ordine igienico.
Perché accedere alla Comunione Eucaristica?
* Il Signore Gesù, il giorno prima di morire, istituì
il banchetto eucaristico: prese il pane, rese grazie, lo
spezzò e lo diede ai suoi discepoli e disse: "Prendete,
e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto
in sacrificio per voi". Allo stesso modo, dopo aver
cenato, prese il calice del vino, rese grazie, lo diede
ai discepoli e disse: "Prendete, e bevetene tutti:
questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed
eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione
dei peccati. Fate questo in memoria di me".
* Da allora la Chiesa, fedele al suo Signore, si ritrova
ogni giorno dopo il sabato per celebrare la memoria della
sua Pasqua di morte e di resurrezione; continua a spezzare
il Pane della condivisione per le necessità dei fratelli.
* Il cristiano cerca di fare della sua vita un dono, un
sacrificio spirituale gradito a Dio a imitazione di Cristo
che nel suo sacrificio ha offerto la sua vita al Padre e
per tutti ha dato il proprio Corpo e ha versato il proprio
Sangue.
*La Chiesa al tempo stesso sente l'urgenza di inculcare
l'amore profondo a questo 'Sacramento mirabile' e ha riservato
grande attenzione e riverenza all'Eucarestia anche nel modo
di avvicinarsi alla mensa e di ricevere la Comunione.
* La Comunione al Corpo e al Sangue del Signore è
manifestazione della piena, attiva, consapevole e sacramentale
partecipazione alla Messa, che è il Convito pasquale.
Come accedere alla Comunione Eucaristica?
Disposizioni interiori:
* La fede nella presenza reale del Signore sotto le specie
eucaristiche del pane e del vino consacrati. "L'Amen"
che il fedele pronuncia rispondendo alle parole del ministro:
"Il Corpo di Cristo" è il segno più
eloquente della consapevolezza di ciò che si va a
ricevere.
* Lo stato di grazia: la Chiesa chiede che nessuno consapevole
di essere in peccato mortale, per quanto si creda contrito,
si accosti alla santa Eucaristia senza premettere la confessione
sacramentale, a meno che non vi sia grave e urgente necessità.
* Fin dai tempi più antichi la Chiesa chiede la pratica
ascetica del digiuno: l'astensione, cioè, da qualunque
cibo o bevanda (a meno che non sia semplice acqua o una
medicina) per almeno un'ora prima della Comunione. Ne sono
dispensati i malati, gli anziani e coloro che li assistono.
Il modo esterno di ricevere la comunione:
* A scelta del fedele che si comunica, due sono i modi ammessi
di distribuire la Comunione:
? quello di porre la particola sulla lingua che sporge dalla
bocca; quello di deporre la particola sulle mani protese
entrambe verso il ministro.
Ovviamente, se la Comunione viene data sotto le due specie,
per intinzione, sarà consentito soltanto il primo
modo.
* Il ministro adeguerà i suoi gesti alla posizione
che il comunicando assume; rispetterà quindi la scelta
del fedele e non imporrà in nessun caso il modo da
lui preferito. Per il secondo caso il modo prescritto è
il seguente: si protendono entrambe le mani a ricevere il
Corpo di Cristo (la mano sinistra sopra, leggermente concava,
nell'atto di ricevere un dono che viene deposto - la mano
destra sotto, quasi a sorreggerla; con la mano destra si
prende la particola e la si porta alla bocca.
Dal momento che nel rito della Comunione ci si accosta in
fila al ministro, è bene che, dopo aver ricevuto
la particola sulla mano, il fedele si sposti a lato, consentendo
a chi viene dopo di accedere al ministro. Subito dopo questo
spostamento, prima di tornare al posto, egli si comunica
stando rivolto all'altare.
L'atteggiamento esterno deve esprimere la confacente, personale
devozione e venerazione verso il Sacramento Eucaristico:
le labbra pronunciano l' "Amen" che esprime anche
il desiderio di diventare membro vivo e responsabile del
Corpo di Cristo che è la Chiesa; gli occhi guardano
il dono ricevuto...; il corpo si china per la donazione
...; le mani ricevono e portano alla bocca il dono prezioso.
I "FOGLIETTI"
OVVERO LE SCHEDE PER LA MESSA FESTIVA DEI FEDELI
Oggi, acquisita una certa familiarità con la teologia
della celebrazione liturgica, viene richiesta con sempre
maggiore insistenza l'assunzione di un compito tendente
ad educare l'assemblea perché sia pronta all'ascolto,
alla risposta e alla partecipazione che esprima consapevolmente
l'esercizio del sacerdozio battesimale.
Siamo così chiamati ad educarci perché il
sacerdote - un tempo celebrante esclusivo e staccato dall'assemblea
(che pregava per conto proprio) - sia capace di presiedere
'in persona Christi' un'assemblea tutta ministeriale e celebrante
con lui in forma viva il 'memoriale del Signore'. Mi pare
che proprio in questo momento delicato della riforma - rinnovamento
(che segna il passaggio dal "provvisorio" alla
"normalità creativa" del nuovo rito celebrativo)
che i sussidi (compreso i "foglietti"), si siano
cristallizzati su una formula - proposta fissa, non più
adatta ad un cammino pedagogico del presidente e dell'assemblea
verso una celebrazione autentica e ben caratterizzata.
È avvenuto che parallelamente all'accoglienza dell'edizione
dei libri liturgici rinnovati e degni delle due mense (con
una produzione collaterale di testi e di raccolte di canti),
si finì per preferire l'arrivo in parrocchia di sussidi
per una Messa non "preparata" ma "preconfezionata",
dove tutto è già pronto per essere "usato"...
da Palermo a Bolzano, da un'assemblea riunita in una Cattedrale
attorno al Vescovo o da una minuscola comunità riunita
in una chiesetta di montagna.
"Sussidio" e preparazione dell'assemblea celebrante
Si impone che il "sussidio" per la celebrazione
della Messa domenicale sia specificamente ed espressamente
preparato per una determinata comunità. Una scelta
che suscita la facile obiezione: la mancanza di tempo.
D'altra parte non è ipotetico il pericolo che, affidandoci
al tutto "già pronto e confezionato", si
finisca per non riconoscere, tra i doveri primari, un lavoro
adeguato per programmare e preparare la Messa, e ci si illuda
che basti il tempo necessario per distribuire i foglietti
sui banchi della chiesa (facendo almeno attenzione a non
sbagliare settimana... o a rendersi conto quando c'è
una Messa vigiliare...).
Sembra davvero necessario coltivare la convinzione che il
tempo dedicato alla preparazione di una liturgia è
un vero e proprio ? se non il massimo ? servizio pastorale
al popolo di Dio. Questa convinzione dovrebbe guidare il
sacerdote e il Gruppo parrocchiale di animazione liturgica
nella scelta dei testi della Messa (orazioni, prefazio,
preghiera eucaristica, letture, canti), nell'assegnazione
dei compiti ministeriali (animatore, ministranti, diversi
uffici), nella preparazione dell'omelia, della preghiera
universale, ecc. ecc. Un secondo impegno importante riguarda
educare l'assemblea liturgica all'ascolto, anche preparando
lettori idonei e impianti di amplificazione efficienti.
"Principi e Norme" del Lezionario al n. 45 recita:
"Nella celebrazione della Messa, i fedeli ascoltino
la Parola con quella venerazione interna ed esterna, che
porti in loro costanti progressi nella vita spirituale e
li inserisca più profondamente nel mistero che viene
celebrato".
Ibidem n. 55: "Perché i fedeli maturino nel
loro cuore, ascoltando le parole divine, un soave e vivo
amore della sacra Scrittura, è necessario che i lettori
incaricati a tale ufficio, anche se non hanno ricevuta l'istituzione,
siano veramente idonei e preparati con impegno".
Ibidem n. 37: "Non si sostituiscano per rispetto alla
dignità della Parola di Dio altri sussidi pastorali,
per es.: foglietti destinati ai fedeli per preparare le
letture e meditarle personalmente". In fondo, si tratta
di mettere in onore e di attuare quanto i testi conciliari
e postconciliari ribadiscono insistentemente circa la "partecipazione
attiva" (questa è la vera "rivoluzione"
operata in campo celebrativo!): tutto quello che vanifica
la preparazione assidua e circostanziata di un'assemblea
celebrante inesorabilmente mortifica anche le indicazioni
della Sacrosanctum Concilium ed esonera il pastore dall'impegno
di guida e di animatore primo della "sua" assemblea.
Ma noi sappiamo che questo impegno è irrinunciabile
da parte nostra; ce lo ricorda anche l'Arcivescovo: "E'
importante, e primario compito del lavoro pastorale, che
soprattutto la celebrazione domenicale dell'Eucaristia,
per il modo con cui è preparata ed eseguita, esprima
con chiarezza il suo dinamismo interno..." (Effatà
- Apriti, n. 60).
Alcuni orientamenti
Non possiamo nasconderci che le giustificazioni al "foglietto"
sono di fatto numerose e motivate...: questo sussidio fa
già tutto... che cosa devo preparare di più?
Tentiamo di risolvere il problema avanzando alcune proposte:
1. Uso "guidato" del "foglietto"
Il "foglietto" può servire durante la celebrazione
in alcune circostanze che si possono verificare durante
la celebrazione stessa:
- il fedele non riesce a ritenere a memoria le formule comuni
("Gloria", "Credo" ...);
- lo sforzo di ritenere a memoria il ritornello del salmo
responsoriale a volte alimenta la distrazione dal testo
del salmo stesso;
- può capitare di fare ricorso al "foglietto"
per la lettura comunitaria di un testo della Messa da parte
dell'assemblea...
Più che opportunamente la distribuzione del "foglietto"
sia quindi accompagnata da puntuali indicazioni per l'uso:
diversamente si favorisce la confusione dei compiti nell'assemblea
"gerarchicamente costituita e organicamente compaginata",
non la partecipazione alla celebrazione. Del resto, sappiamo
come sia concreta da parte dell'assemblea celebrante (pastore
e fedeli) la possibilità dì cadere in pericolosi
equivoci; ad esempio:
- la sistematica (non motivata) lettura simultanea del testo
riportato dal "foglietto" mentre il lettore "proclama"
la Parola di Dio;
- il leggere, quasi "suggerire" i testi eucologici
riservati al presidente dell'assemblea liturgica, da parte
dei "devoti";
- il cedere, da parte del presidente, alla suggestione di
seguire pedissequamente le monizioni, le introduzioni, a
scapito della creatività (non "ímprovvisazione")
prevista dai libri liturgici;
- il proporre un generico "atto penitenziale"
che invece richiede di essere formulato con attenzione ai
problemi del vissuto, alla situazione della comunità;
- l'usuale ricorso al testo stampato per proporre la preghiera
universale, senza tener conto che essa, come preghiera dei
"fedeli", deve coinvolgere anche i laici nella
preparazione e nell'esecuzione, garantendo così una
sintonia con la specifica assemblea celebrante.
2. Il "foglietto", sussidio "prima e
"dopo"
Il "foglietto" rappresenta uno strumento di pastorale
liturgica che domanda intelligenza e perspicacia nei tempi
e nei modi d'uso.
Il continuare ad affidarsi ad esso, e soltanto ad esso,
come sussidio destinato ai fedeli per la celebrazione della
Messa, sembra espressione della situazione di stasi in cui
si trova il cammino del rinnovamento liturgico, e reclama
la necessità urgente di correre ai ripari perché
questa fase stagnante sia superata.
Il "foglietto" può rappresentare un sussidio
che prepara remotamente alla Celebrazione: il fedele trova
in esso i testi biblici e liturgici, le introduzioni e i
commenti... con la lettura meditata di essi (nella tranquillità
della sua casa) si preparerà ad accogliere adeguatamente,
nella prossima domenica, l'annuncio vivente e palpitante
della buona novella e a celebrare l'"hic et nunc"
della salvezza.
I "foglietti", in un secondo tempo, saranno di
grande aiuto (di ritorno tra le pareti domestiche) per approfondire
durante la settimana il significato della celebrazione festiva,
favorendone la traduzione e l'applicazione nella vita quotidiana.
3. Scheda liturgica appositamente preparata
Oggi non è difficile ed impossibile preparare un
foglio-sussidio per la propria assemblea (è il preciso
compito del pastore che guida il gruppo parrocchiale di
animazione liturgica) anche perché esso deve contenere
indicazioni essenziali: un titolo (indicazione della festa,
con un "motto" riassuntivo della tematica), il
canto d'ingresso (testo o testo e musica), indicazione per
l'atto penitenziale, citazione per le letture, testo del
salmo responsoriale (possibilmente cantato), canto dopo
il Vangelo, acclamazione dopo la consacrazione, canto allo
spezzare del pane, canto alla comunione, eventuali osservazioni
sulla celebrazione.
4. Libro di preghiera e dei canti
Per partecipare attivamente alla celebrazione è sufficiente
che i fedeli abbiano tra mano il "Libro di preghiera
e dei canti" della diocesi. Ovviamente occorre la presenza
di un animatore liturgico che aiuti i fedeli a usarlo in
modo pertinente, restando comunque inteso che colui che
presiede la celebrazione non può in nessun caso ritenersi
dispensato dal preparare e dall'intervenire come principale
animatore di quella specifica assemblea, in quella particolare
situazione celebrativa.
LA PARTECIPAZIONE ALLA LITURGIA
Il Concilio Vaticano II rivolge, prima che ad altri, ai
pastori d'anime la sua parola riguardante il compito di
promuovere la partecipazione alla liturgia dei fedeli; poi
rivolge la sua raccomandazione ai medesimi perché
riscoprano in se stessi e nella liturgia quelle motivazioni
che permettono che il popolo cristiano non assista semplicemente
e passivamente alle cerimonie del culto divino, ma capisca
il senso di esse e ad esse sia associato in modo che la
celebrazione sia piena, attiva e comunitaria (cfr. SC 21).
Si vuole sottolineare che la celebrazione liturgica è
azione dell'intera assemblea: tutti i componenti di essa
sono attori e quindi "partecipano" ossia "prendono
parte" attivamente a quanto si compie.
L'assemblea, soggetto della celebrazione liturgica ? ovvero,
la partecipazione attiva alla liturgia ? è il punto
fondamentale da cui si deve partire per attuare un'autentica
celebrazione liturgica e quell'accurata revisione generale
della liturgia che la Chiesa "ardentemente desidera"
(SC 2 1).
Che cosa è la partecipazione liturgica?
Uno degli scopi della riforma liturgica (cfr. Inter oecumenici
4) per cui viene garantita quella presenza per effetto della
quale quanti intervengono alla celebrazione liturgica sono
soggetti attivi - attori - della medesima e non semplici
spettatori o peggio estranei passivi e distratti.
Questo tipo di partecipazione è di carattere universale:
- riguarda tutti i membri del popolo di Dio; non solo i
sacerdoti, i religiosi, gli impegnati, ecc., ma anche i
semplici, gli analfabeti, i bambini, i meno formati...
- riguarda tutti i membri delle singole assemblee liturgiche
anche se non li riguarda tutti allo stesso modo.
Proprietà della partecipazione attiva
- Pienezza (compiutezza): riguarda tutti gli atti di culto,
e tutte le parti dei singoli atti di culto.
- Consapevolezza: conoscenza illuminata di quanto si fa
o si dice (riti, gesti, preghiere...); coscienza delle proprie
funzioni da esercitare nella liturgia; conoscenza dei motivi
che fondano la partecipazione.
- Attività: la partecipazione primariamente interiore
deve manifestarsi anche "con atti esterni, come sono
le posizioni del corpo - in ginocchio, in piedi, seduti
-, i gesti rituali, soprattutto le risposte, le preghiere
e il canto " (MS 22b).
Fondamento teologico della partecipazione attiva
- La natura stessa della liturgia: essa, nella sua intima
struttura e nella sua essenza, è azione di tutto
il corpo della Chiesa (del Vescovo e con lui di tutto il
popolo santo) e si esprime in forme che prevedono l'intervento
dell'intera assemblea pur nel pluralismo di funzioni diverse
e di modalità differenti di partecipazione dei singoli
membri della stessa assemblea.
- Il Battesimo: sacramento che aggrega al popolo di Dio
"stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo
di acquisto", (1 Pt 2,9). Più precisamente,
potremmo dire che il secondo fondamento è la partecipazione
al sacerdozio di Cristo da parte di tutti i membri del popolo
di Dio per effetto dei Battesimo.
Diversità di forme, di funzioni e di gradi nella
partecipazione attiva
Le azioni liturgiche "toccano i singoli membri in maniera
diversa, secondo la diversità degli ordini, delle
funzioni e dell'effettiva partecipazione" (SC 26).
Le diverse modalità della partecipazione alla liturgia
vanno distinte secondo il duplice profilo del tipo di partecipazione
al sacerdozio di Cristo e del tipo di azione che si compie.
In base al tipo di partecipazione al sacerdozio di Cristo
distinguiamo: la partecipazione in forma generale o comune
(sacerdozio battesimale o regale, proprio dei laici); la
partecipazione in forma ministeriale o gerarchica (sacerdozio
comunicato attraverso il sacramento dell'Ordine, proprio
del vescovo, del presbitero e del diacono).
In base al tipo di azione che si compie, distinguiamo: la
partecipazione generica (quella del numero maggiore di membri
dell'assemblea, che pur svolgendo una parte attiva, non
assolvono a un ufficio specifico); la partecipazione specifica
(quella di quanti assolvono a un ufficio preciso e ben determinato):
essa è ministeriale e non-ministeriale.
Frutti derivanti dalla partecipazione alle sacre celebrazioni:
- si può attingere abbondantemente alla vita divina
per la propria formazione cristiana (Inter oecumenici 8).
- si può alimentare la vita spirituale di intimità
con Cristo (Apostolicam actuositatem 4).
Alcuni principi generali circa la partecipazione alla
liturgia
Dovrebbe essere scontato: occorre usare ogni mezzo perché
i fedeli partecipino attivamente alle sacre celebrazioni
(Eucaristicum mysterium 46) e, quindi, preferire sempre
una celebrazione comunitaria con la partecipazione dei fedeli
(SC 27). Di qui:
- Il compito di educare i fedeli alla partecipazione attiva
alla liturgia: i pastori d'anime devono sforzarsi di attuare
con impegno e con pazienza quanto viene stabilito dalla
Costituzione liturgica sull'ducazione liturgica dei fedeli
e la loro partecipazione attiva, interna ed esterna, che
"deve essere promossa secondo la loro età, condizione,
genere di vita e grado di cultura religiosa" (SC 19).
Soprattutto devono curare l'educazione liturgica e la partecipazione
attiva di coloro che fanno parte delle associazioni religiose
di laici, tenendo presente che essi devono partecipare alla
vita della Chiesa in modo più pieno, ed essere di
aiuto ai sacri pastori anche nel promuovere convenientemente
la vita liturgica della parrocchia (SC 42).
- Come curare la partecipazione attiva:
"Per promuovere la partecipazione attiva, si curino
le acclamazioni dei fedeli, le risposte, la salmodia, le
antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento
del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, il silenzio"
(SC 30).
"Perché i fedeli partecipino attivamente alla
liturgia più volentieri e con maggior frutto, conviene
che le forme di celebrazione e i gradi di partecipazione
siano opportunamente variati, per quanto possibile, secondo
le solennità dei giorni e delle assemblee" (MS
10).
"... la partecipazione attiva di tutto il popolo, che
si manifesta nel canto, si promuova con ogni cura"
(MS 16).
- La partecipazione alla liturgia è un diritto-dovere:
"Nell'assemblea che si riunisce per la Messa, ciascuno
ha il diritto e dovere di recare la sua partecipazione in
diversa misura, a seconda della diversità di ordine
e di compiti"...
"Tutti, sia i ministri che i fedeli, compiendo il proprio
ufficio nella Messa, facciano tutto e soltanto ciò
che è di loro competenza; così che la stessa
disposizione della celebrazione manifesti la Chiesa costituita
nei suoi diversi ordini e ministeri" (PNMR 58; PNMA
59).
- Il rinnovamento liturgico favorisce una migliore partecipazione
alla Messa:
"La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non
assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero
di fede, ma che, comprendendolo bene per mezzo dei riti
e delle preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente,
pienamente e attivamente; siano istruiti nella parola di
Dio; si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano
grazie a Dio, offrendo l'ostia immacolata, non soltanto
per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino
ad offrire se stessi e, di giorno in giorno, per mezzo di
Cristo mediatore, siano perfezionati nell'unità con
Dio e tra loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in
tutti" (SC 48).
- Quale deve essere la partecipazione dei fedeli:
Prima di tutto, interna: e per essa i fedeli conformano
la loro mente alle parole che pronunciano e ascoltano, e
cooperano con la grazia divina; anche esterna: e con questa
manifestano la partecipazione interna attraverso i gesti
e l'atteggiamento del corpo, le acclamazioni, le risposte
e il canto (cfr. MS 15).
- Preparazione alla partecipazione alla liturgia:
remota, soprattutto attraverso la catechesi (Eucaristicum
mysterium 11) prossima: in particolare ordinando le celebrazioni
(PNMR e PNMA 2 e 5).
CELEBRARE
"Celebrare" è un concetto sul quale oggi
si riflette molto: si vuole meglio capire - per vivere più
intensamente - questa realtà poliedrica che chiama
in gioco dinamismi umano-divini.
La storia della salvezza
L'orientamento-base e la premessa essenziale che ci guidano
nella riflessione consistono nel tenere vivo il senso della
storia della salvezza in cui gli uomini e il mondo sono
inseriti.
Dio "vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino
alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4): questo
piano di salvezza, quest'opera di redenzione, che ha il
suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nell'Antico
Testamento, è stata compiuta in Cristo Signore.
La Chiesa
Ma parallelamente deve rimanere lucida alla nostra considerazione
la verità della Chiesa: costituita da Cristo come
sua (Mt 16, 18), che vive edificata su Cristo (1 Pt 2,5),
che è tempio del Signore e Corpo di Cristo (1 Cor
3,16-17, 2 Cor 6,6-16; Ef 2,2 1) e che - quando "la
Parola si fece carne e pose la sua tenda tra noi" (Gv
1, 1-14; cfr Gv 2,15-16) - è il luogo spirituale
del culto di Dio.
Da allora la Chiesa non tralascia di riunirsi in assemblea
per celebrare il mistero pasquale mediante l'azione di grazie
"a Dio per il suo dono ineffabile" (2 Cor 9,15)
nel Cristo Gesù, "in lode della sua gloria"
(Ef 1, 12), per virtù dello Spirito Santo (Sacrosanctum
Concilium 6). E in questo tempo della Chiesa (che è
la continuazione del tempo di Cristo), la Chiesa attua la
salvezza nella liturgia, ultimo momento della salvezza.
La liturgia
In terzo luogo, giova alla formazione del concetto di "celebrare"
la precisa cognizione teologica della liturgia della Chiesa,
fondata saldamente su Cristo sacerdote, pontefice eterno,
mediatore della Nuova Alleanza.
E il Concilio Vaticano II che offre un'analoga definizione
di liturgia, in questa linea: "Giustamente perciò
la liturgia è ritenuta come l'esercizio del sacerdozio
di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di segni sensibili,
viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata
la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal Corpo
mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle
sue membra, il culto pubblico integrale" (Sacrosanctum
Concilium 7).
La Chiesa è capace di attuare un'opera così
grande quale la redenzione perché Cristo è
presente in essa, nelle azioni liturgiche in modo speciale:
nella liturgia è sempre attiva la meravigliosa realtà
soprannaturale del piano della salvezza.
La comunità sacerdotale
e cultuale
Non deve essere neppure disatteso il concetto di Chiesa
come comunità sacerdotale e cultuale; dalla nostra
riflessione, cioè, deve trasparire, come in filigrana,
anche il dato teologico circa il sacerdozio comune e il
sacerdozio ministeriale. In questa sede basta il semplice
richiamo ad esso: l'argomento verrà sviluppato nella
trattazione dell'assemblea celebrante e della partecipazione
attiva alla liturgia.
Per attuare la celebrazione
Concretamente, per il rinnovamento della celebrazione dobbiamo
rifarci a una rivoluzione non tanto nei riti quanto nella
mentalità: per questo ci dobbiamo appellare ai fondamenti
sopra richiamati, e anch'essi calati nel contesto culturale
del nostro tempo.
"Celebrare" diventa davvero il testo di verifica
di quanto viene affermato nella Costituzione liturgica circa
la liturgia "culmine dell'azione della Chiesa e fonte
della sua virtù" (Sacrosanctum Concilium 10).
Così, "celebrare" coinvolge un complesso
dinamismo di concetti: ricordare, esaltare, accogliere il
dono del Signore, assumere precisi impegni morali, aprirsi
a orizzonti futuri... E precisamente in questo "luogo"
teologico la struttura della celebrazione riceve significato:
la comunità viene radunata da Dio, entra in dialogo
con lui e con lui stringe la nuova Alleanza nel sangue di
Cristo, e, mossa dallo Spirito Santo, ritorna in missione.
Dunque, tentando di ridurre a schema quanto una comunità
deve tenere presente per avviare un autentico rinnovamento
della celebrazione, potremmo elencare almeno i seguenti
cinque punti:
1. Coltivare la consapevolezza di essere popolo di Dio (cfr.
1 Pt 2,9), cioè di essere di fronte a una convocazione
che viene da Dio e di sperimentare l'inserzione viva in
un avvenimento di salvezza.
2. Vivere nel clima di comunione, dando risalto alla struttura
dialogica della celebrazione stessa, valorizzando i momenti
di creatività e gli inviti all'attualità.
3. Manifestare la fede nella presenza di Gesù Cristo
che salva; da questa convinzione deriva il clima di festa
(che è inseparabile dalla gioia) di ogni celebrazione.
4. Avvivare l'attenzione ai mezzi espressivi della celebrazione
(formule, gesti, canti, silenzio, atteggiamenti esterni
e interiori... sapendo cogliere il dinamismo e la forza
dei riti).
5. Instaurare un giusto rapporto tra preghiera e vita: il
dono ricevuto mediante la fede deve esprimersi nel quotidiano,
così da rinnovare il servizio della carità
e l'impegno missionario.
IL TRIDUO PASQUALE
La celebrazione, che la Chiesa compie, del triduo pasquale
del Signore Gesù Cristo crocifisso, sepolto e risorto,
inizia con la Messa "Nella cena del Signore" del
giovedì santo, passa per la contemplazione del mistero
della morte di Gesù del venerdì santo e si
conclude con l'annuncio solenne della "bella notizia"
che Cristo è risorto della veglia e della domenica
di Pasqua.
La vicenda pasquale di Cristo non è da contemplarsi
in episodi staccati l'uno dall'altro ma nella realtà
di un unico evento: il passaggio dalla morte (accettata
e non soltanto subita) alla vita nuova che fonda la nostra
speranza.
GIOVEDÌ SANTO
La Chiesa celebra il gesto di Gesù che dona se stesso,
fino al dono della sua vita: Egli si consegna agli avversari
e consegna nelle mani dei suoi discepoli il suo Corpo e
il calice del suo Sangue come "memoriale" perpetuo.
La Messa "in coena domini" apre il memoriale della
passione del Signore, che inizia nel cenacolo e si conclude
con il tradimento di Pietro (Mt 26, 17-75).
Dio, nel suo grande amore, è clemente e misericordioso
(Gio 1, 1-6. 2, 1-2,11; 3, 1-5, 10; 4, 1-11); anche l'Eucaristia
risale alla volontà e al gesto d'amore di Cristo
nell'ultima cena (1 Cor. 11, 20-34).
Mistericamente ricordiamo la più nera ingratitudine
durante la notte del più intenso amore: la Chiesa
ci presenta la sublime realtà dell'Eucaristia come
l'espressione suprema della donazione universale di Cristo.
Lavanda dei piedi: si ripete un atto di carità che
deve essere assai comune nella Chiesa; e ciò in obbedienza
al precetto di Gesù: "Vi ho dato l'esempio affinché
come ho fatto io, anche voi facciate" (Gv. 13, 15).
VENERDÌ SANTO
Celebriamo la morte redentrice di Cristo sulla croce: la
Chiesa si sofferma nella meditazione della fine, drammatica
e sofferente, del suo Signore.
Vespri con la celebrazione della Parola di Dio: l'austera
liturgia nelle due letture dal profeta Isaia (49, 24-26;
50, 1-11 e 53, 1-12) congiunte dal Salmo 2 1, offre la prefigurazione
della sofferenza del servo di Dio per espiare i nostri peccati
e trova il suo valore definitivo e universale, in ordine
alla nuova ed eterna alleanza, nella narrazione della Passione
secondo Matteo (27, 1-66).
Anche se sappiamo che ormai Cristo è nella gloria,
il fatto di celebrare la sua morte avviene con serietà,
sia perché essa è avvenuta in un momento storico
preciso - che ha segnato il massimo della iniquità
e insieme il vertice dell'amore - sia perché quella
vicenda si ripete nella vita di ciascuno di noi.
Adorazione della croce e preghiera universale
Le preghiere e gli inni contengono anche espressioni profetiche
e vibrazioni di speranza: la Chiesa vede nel santo legno
della Croce il segno glorioso della vittoria di Cristo sulla
morte e sul peccato; nel contempo, innalza a Dio una solenne
preghiera per le diverse categorie di fedeli e di uomini,
per le varie necessità della Chiesa e del mondo.
Accanto a questa celebrazione della passione e morte del
Signore la pietà popolare ha sviluppato, tra le altre
devozioni, la "via crucis": drammatizzazione del
racconto della passione.
VEGLIA PASQUALE
La Chiesa celebra la risurrezione di Cristo dai morti, momento
culminante della storia di Dio nel mondo.
La veglia pasquale è attesa da parte della Chiesa
del mistero della risurrezione di Cristo; è la notte
dell'incontro con Cristo risorto.
La veglia è una celebrazione che consente a noi di
partecipare al mistero pasquale che ogni anno diventa, in
misura maggiore, la nostra pasqua ossia il nostro passaggio
dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita, dalla terra
al cielo.
In questa notte ci immergiamo nel cuore stesso della vita
cristiana, celebriamo la "liturgia madre" di tutte
le liturgie: ci incontriamo con il mistero di Cristo che
ci porta con sé dal mondo al Padre, e ravviviamo
la nostra attesa della Pasqua finale, quando ritornerà
lo Sposo, quando la terra si trasformerà nel cielo.
Lucernario: è la preghiera per la benedizione e
l'accensione del cero, simbolo di Cristo risorto, luce del
mondo, e quindi principio di luce e di vita di tutte le
cose.
Questa preghiera consiste in un inno grandioso che sintetizza
tutti i temi della veglia pasquale.
Liturgia della Parola
E' costituita, nel rito ambrosiano, da sei letture veterotestamentarie
prefigurative dell'opera di redenzione, del sacrificio di
Cristo e della profonda rinnovazione interiore dell'uomo
peccatore per effetto della Pasqua del Signore Gesù,
resa operante attraverso il Battesimo, sacramento della
rigenerazione, e l'Eucaristia.
La serie delle letture:
Gen 1,1-2, 3a: le meraviglie della creazione come segno
della potenza di Dio
Gen 12,1-19: il sacrificio di Isacco
Es 13, 18-22; 14, 1-8: la colonna di nube e di luce che
accompagna il passaggio del Mar Rosso
Es 12,1-11: il sangue dell'agnello preserva gli ebrei dallo
sterminio
Is 54,17; 55,1-11: convocazione dei servi del Signore alle
sorgenti d'acqua e al convito
Is 1, 16-19: invito alla conversione e alla purificazione
del cuore.
Annuncio della risurrezione di cui troviamo eco e ampio
commento nelle tre letture che seguono:
At 2, 22-28: annuncio di Pietro: Gesù risuscitato
Rm 1, 1-7: il Vangelo consiste essenzialmente nell'annuncio
del Signore risorto
Mt 28, 1-7: non cercate tra i morti Colui che vive.
Liturgia battesimale
La benedizione solenne dell'acqua è una preghiera
di consacrazione che sintetizza i principali simbolismi
biblici del Battesimo. Ad essa segue la celebrazione del
Battesimo oppure la rinnovazione delle promesse battesimali
da parte di tutta l'assemblea.
Celebrazione dell'Eucaristia
Essa nella veglia ha le maggiori possibilità di comprensione
e di donazione: l'immolazione di Cristo, il vero Agnello
che portò via i peccati del mondo, distrusse la morte
mediante la sua e ci ha reso la vita mediante la risurrezione
(cfr. Prefazio), è più che mai presente e
viva, anche a livello psicologico, in questa "beatissima
notte".
Pubblichiamo alcuni passaggi trascritti dalla registrazione
dell'OMELIA che l'Arcivescovo ha tenuto in Duomo DURANTE
LA MESSA CRISMALE
Parto dal significato che la liturgia ha nella vita della
Chiesa, come "culmine verso cui tende" tutta la
sua azione "e insieme, fonte da cui promana tutta la
sua virtù" e mi domando: come giustificare,
a partire dal Nuovo Testamento, questo primato della preghiera
liturgica?,
Leggendo il Nuovo Testamento cogliamo che esso piuttosto
che sulla organizzazione del culto liturgico insiste sul
kerygma e sul comportamento etico conseguente, sulla vita
nuova in Cristo, sulle virtù dei cristiano.
Come possiamo allora affermare che la liturgia è
"la fonte da cui promana tutta la virtù"
della Chiesa, è "fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione"?
E una domanda che mi affiora soprattutto quando sono affaticato
dalle lunghe liturgie, ripetute magari di seguito in diverse
parrocchie nelle visite pastorali. Mi dico: come mi sostiene
il Nuovo Testamento in questa fatica? E che cosa dire a
tutti quei preti che partecipano con me a questa fatica?
1. Una prima osservazione: mi pare che se nei vangeli si
parla poco o nulla della liturgia cioavviene perché
essi sono di fatto una liturgia vissuta con Gesù
in mezzo ai suoi. I vangeli sono Gesù che parla ai
discepoli e alla gente, che li ascolta, che guarisce e sana,
che comunica se stesso. Sono la rappresentazione di Gesù
che soffre e muore per la moltitudine. E' questa la liturgia
dei vangeli: essere attorno a Gesù nella sua vita
e nella sua morte.
2. A mio avviso è dunque estremamente importante
cogliere nella liturgia questa fondamentale dinamica: essere
noi oggi attorno al Cristo glorioso, che ci parla, ci ascolta,
ci sana, prega a nostro nome, proprio come faceva con gli
apostoli negli anni della sua esistenza terrena.
La liturgia è stare oggi intorno alla persona del
Signore, ascoltarlo, parlargli, pregarlo, lasciarlo pregare
per noi. Potremmo dire che la liturgia è la danza
della Chiesa attorno al Cristo, un po' come la danza di
Davide attorno all'arca, è quella gratuità
gioiosa che si sprigiona dalla presenza di Gesù.
3. La liturgia è una danza attorno a Cristo che conserva
le piaghe della passione: il Risorto è il Crocifisso,
"Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati
con il suo sangue" (Ap 1,5). Ora è nella sua
vita gloriosa e noi ce ne rallegriamo facendo memoria della
sua morte come dono per noi. E danziamo a lungo attorno
a lui con l'aiuto dei salmi, dei cantici, delle orazioni;
lo ascoltiamo nelle letture, ci lasciamo inondare dalla
sua presenza, che ci possiede con la forza e l'amore con
cui, crocifisso, si è donato per noi.
4. Di conseguenza, la liturgia è anzitutto azione
di Gesù a nostro vantaggio. Non è qualcosa
che noi facciamo per Gesù; è lui ad agire
per la nostra santificazione. E' il Padre che in lui avvolge
della sua potenza. La liturgia sta a dirci che Dio ci vuole
bene, che opera in noi per la potenza dello Spirito Santo.
Essa è quindi una serie di azioni che il Cristo compie
nella potenza dello Spirito in noi, con noi e per noi. Ce
lo ripete anche il Papa nella sua lettera del Giovedì
Santo: "Senza la potenza dello Spirito, come potrebbero
infatti labbra umane far sì che pane e vino diventino
il Corpo e il Sangue del Signore fino alla fine del mondo"?
Non di rado dimentichiamo questo primato del 'Cristo Risorto'
operante per noi nella liturgia.
A me dà conforto pensare, quando mi sento affaticato
nel celebrare il terzo pontificale di una giornata, che
Gesù sta agendo, ci nutre, ci fa suoi, intercede
per noi.
5. È così anche possibile cogliere nella sua
giusta luce quell'aspetto della liturgia che viene spesso
opportunamente sottolineato, cioè l'aspetto simbolico.
Si tratta del fatto che la liturgia "mira oltre",
si spinge al di là di sé, ci sospinge oltre
noi stessi. Ma ciò va detto anzitutto di ciò
che la liturgia dice e fa da parte di Dio. Dicendo che la
liturgia è azione simbolica diciamo che essa significa
anzitutto ciò che Gesù fa e intende dire per
noi. In particolare l'Eucaristia, col simbolo del nutrimento,
del pasto, dice che Gesù vuole stare con noi, identificarsi
con noi, vivere in noi, donarci se stesso, farci vivere
l'unione mistica, cioè l'unione di volontà,
la fusione di due cuori che si amano. Dice l'infinità
dell'amore di Dio, della sua misericordia, della sua tenerezza
per me.
6. Chiarita l'attività principale del Risorto nella
liturgia, possiamo allora aggiungere che l'Eucaristia è
anche azione simbolica della Chiesa. In essa la Chiesa proclama
a Dio il suo amore mediante simboli, gesti, parole, vesti
liturgiche, segni. La liturgia dice a Dio che gli vogliamo
bene, dice a Gesù risorto che gli siamo grati per
la sua presenza. per il dono della sua morte in croce quale
culmine di tutti gli altri doni. Dice che a partire da tale
gratitudine - cioè "eucaristia" - vogliamo
stare con lui, accogliere la sua volontà di identificarci
con sé.
Perciò riteniamo - come affermava già Tommaso
d'Aquino - che non è necessario capire sempre tutto
il significato di tutte le parole che ripetiamo; ciò
che conta davvero è l'abbandonarsi al ritmo della
liturgia che ci fa dire a Dio: Ti amo, ti accolgo, voglio
essere con te, ti ringrazio di essere tra noi, uniscimi
totalmente a te.
In tal modo la liturgia è un ambito che ci accoglie,
è un vortice che ci trasporta e ci identifica con
Dio grazie all'azione dello Spirito.
7. La liturgia così intesa è azione di popolo,
che supera la nostra coscienza soggettiva, è il Corpo
stesso di Gesù che parla, ascolta, risponde, ama,
si dona. E tutto questo avviene nel flusso del tempo, senza
che noi ci pensiamo troppo, avviene col suo ripetersi, nel
rispetto dei tempi del divenire umano.
A modo di conclusione, esprimo qualche suggerimento pratico,
per il modo con cui vivere la liturgia:
- Chi celebra l'Eucaristia deve sentire lo Spirito di Cristo
che sta operando. Non misuriamo il valore della celebrazione
dai nostri stati d'animo che sono mutevoli; ammiriamo e
stupiamoci perché, pur se attraverso i nostri stati
d'animo imperfetti, lo Spirito danza, ride, crea, agisce.
- Lo stesso accade per la liturgia delle Ore. Essa, nell'intenzione
della Chiesa, è preparazione alla celebrazione eucaristica
e suo prolungamento. Ha dunque un alto valore simbolico
che ci trasporta nel mistero divino, ci nutre e ci santifica.
- Vorrei che questa certezza della presenza del Signore
fosse tenuta presente anche nella lectio divina, sia quando
la facciamo per noi come quando la facciamo per altri: è
Gesù che ci parla nelle pagine della Scrittura, le
sue parole sono spirito e vita.
- L'ultimo consiglio è per i momenti nei quali ci
capita di essere troppo affaticati e appesantiti dalle lunghe
celebrazioni. In questi momenti dobbiamo essere certi che,
qualunque cosa sentiamo o viviamo, siamo comunque in Gesù.
E lui a prendersi cura di noi allorché non riusciamo
a esprimere quei sentimenti profondi che ci piacerebbe avere
in quel momento; a noi spetta di dargli fiducia, dimenticandoci
e affidandoci alla sua presenza di crocifisso risorto e
glorioso in mezzo a noi.
La liturgia diviene allora anche l'esercizio di un distacco
da noi stessi, che dà pace e serenità anche
nei giorni eccessivamente carichi di impegni.
La liturgia è grande educatrice al primato della
fede e della grazia: è quello che chiamo l'aspetto
"mistico" della liturgia, che non vanifica il
cammino ascetico di cura minuziosa di tutte le osservanze
liturgiche, ma che ne costituisce il cuore e l'anima. Appare
allora perché la Chiesa, a partire dal Nuovo Testamento,
abbia sviluppato, codificato, interpretato e ampliato le
principali azioni liturgiche accennate nei libri sacri,
lasciandosi ispirare dalla liturgia sinagogale e dal ricco
materiale liturgico dell'Antico Testamento: affinché
la nostra debolezza venisse sostenuta e coinvolta e si lasciasse
avvolgere ogni giorno di più nel mistero del Cristo
glorioso, che auguro a tutti di poter gustare in pienezza
nella Pasqua.
IL SILENZIO LITURGICO
Il silenzio nella liturgia rappresenta un elemento strutturale,
è una delle condizioni di preghiera che va tenuta
presente nella formazione liturgica, una condizione perché
i fedeli non risultino nell'azione liturgica come estranei
o muti spettatori.
Il silenzio liturgico ha una motivazione generale: "per
promuovere la partecipazione attiva" (Sacrosanctum
Concilium 30).
In particolare, il silenzio favorisce l'ascolto della parola
e la risposta della meditazione e della preghiera, per accogliere
nei cuori la piena risonanza della voce dello Spirito Santo
e per unire più strettamente la preghiera personale
con la parola di Dio.
La natura e le funzioni del silenzio liturgico dipendono
anche dai momenti nei quali esso entra a far parte dell'azione
liturgica.
Potremmo, pertanto, indicare come esemplificazione:
- Il silenzio di raccoglimento: si ha quando tutta l'assemblea
è invitata a raccogliersi "per prendere coscienza
di essere alla presenza di Dio e formulare nel proprio cuore
la preghiera personale" (Principi e norme per l'uso
del Messale 32); è un silenzio in funzione della
preghiera personale;
- Il silenzio è appropriazione: fatto soprattutto
di ascolto e di interiorizzazione, durante le grandi preghiere
presidenziali. Abbiamo l'esempio più comune di "sacro
silenzio " nella preghiera eucaristica, pronunciata
dal sacerdote ministeriale che interpreta sia la voce di
Dio, che si rivolge al popolo, sia la voce del popolo, che
eleva gli animi a Dio.
- Il silenzio meditativo: è quello di risposta alla
proclamazione della parola di Dio; favorisce "una più
profonda intelligenza della parola di Dio e il conseguente
assenso del cuore" (Introduzione al Lezionario 28).
- Il silenzio di adorazione: quello che rende più
consapevole la nostra "vita nascosta con Cristo in
Dio" (Col 3,3) e assume una più intensa espressione
nel nostro incontro con il mistero eucaristico, sia che
i fedeli si preparino "a ricevere con frutto il corpo
e il sangue di Cristo", sia che si intrattengano dopo
la comunione "a innalzare in cuor loro lodi e preghiere
al Signore" (Principi e norme per l'uso del Messale).
Infine, circa questo argomento ci sembra di poter affermare
che è evidente la "riscoperta" del silenzio
liturgico da parte della riforma proposta dal Concilio Vaticano
II. Ci pare che la riforma liturgica abbia posto fine al
mutismo dell'assemblea cristiana ed abbia fatto rifiorire
il silenzio come momento celebrativo e come forma piena
di partecipazione liturgica. Il sacro silenzio non è
da considerarsi come elemento assoluto ed insostituibile,
di carattere magico, ma come condizione spirituale per l'inserimento
nel mistero celebrato, per l'ascolto della parola e per
la risposta dell'assemblea, momento privilegiato dello Spirito
che fa crescere la comunità in tempio santo.
Il silenzio, in pari tempo, diventa espressione di fede
e segno di riverenza con cui la comunità circonda
l'azione salvifica di Dio, e crea il clima e gli atteggiamenti
spirituali necessari all'esperienza liturgica.
Ne deriva che una maggiore ricerca del silenzio nella liturgia
è segno anche di una maggiore maturità celebrativa.
Se da una parte non si possono programmare tassativamente
tempi e spazi di silenzio (non è questione di durata
temporale, piuttosto di durata "psicologica",
quella che si vive nell'anima), dall'altra, si impone un
problema di regia, di programmazione rituale, che esige
sensibilità, tatto, sobrietà, discrezione.
Il silenzio, così, diventa costruttivo: edifica e
forma la comunità celebrante.
Questa prassi liturgica circa il silenzio è in accordo
con l'orientamento contemplativo della spiritualità
contemporanea in cui dominano raccoglimento, deserto, ascolto...
intesi come condizioni per aprirsi allo Spirito e ricalcare
il cammino di preghiera di Cristo.
Il valore del silenzio può essere sintetizzato in
questa espressione di A. Bugnini: "è vivificante
momento di grazia, in cui tace la creatura, ma parla lo
Spirito".
Il silenzio, capace di interiorizzare il gesto, di prolungare
l'ascolto della parola, di stimolare la conversione del
cuore, di sostenere il colloquio personale con Dio, di favorire
la preghiera di lode e di ringraziamento... E'questo un
campo nel quale rimane molto da fare e dal quale molto possiamo
attenderci.
IL LUOGO DELLA CELEBRAZIONE
Ci limitiamo a richiamare quanto l'Introduzione al Messale
dice a proposito della chiesa, inserendo a tempo opportuno
le indicazioni dei documenti successivi.
Disposizione della chiesa per l'assemblea eucaristica
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 270)
Il popolo di Dio, che si raduna per la messa, ha una struttura
organica e gerarchica, che si esprime nei vari compiti (o
ministeri) e nel diverso comportamento secondo le singole
parti della celebrazione. Pertanto è necessario che
la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare
in certo modo l'immagine dell'assemblea riunita, consentire
l'ordinata e organica partecipazione dì tutti e favorire
il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno. I fedeli
e la schola avranno un posto che renda più facile
la loro partecipazione attiva.
Il sacerdote invece e i suoi ministri prenderanno posto
nel presbiterio, ossia in quella parte della chiesa che
manifesta il loro ministero gerarchico, e in cui ognuno
rispettivamente presiede all'orazione, annuncia la parola
di Dio e serve all'altare.
Queste disposizioni servono a esprimere la struttura gerarchica
e la diversità dei compiti (o ministeri) ma devono
anche assicurare una più profonda e organica unità,
attraverso la quale si manifesti chiaramente l'unità
di tutto il popolo santo. La natura poi e la bellezza del
luogo e di tutta la suppellettile devono favorire la pietà
e manifestare la santità dei misteri che vengono
celebrati.
Il presbiterio
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 271)
Il presbiterio si deve opportunamente distinguere dalla
navata della chiesa per mezzo di una elevazione, o mediante
strutture e ornamenti particolari. Sia inoltre di tale ampiezza
da consentire un comodo svolgimento dei sacri riti.
L'altare
(Rito della Dedicazione della chiesa e dell'altare 152-162)
Gli antichi Padri della Chiesa, meditando sulla parola di
Dio, non esitarono ad affermare che Cristo fu vittima, sacerdote
e altare del suo stesso sacrificio. La lettera agli Ebrei
descrive infatti il Cristo come pontefice sommo e altare
vivente del tempio celeste; e l'Apocalisse presenta il nostro
redentore come agnello immolato la cui offerta vien portata,
per le mani dell'angelo santo, sull'altare del cielo.
Se vero altare è Cristo, capo e maestro, anche i
discepoli, membra del suo corpo, sono altari spirituali,
sui quali viene offerto a Dio il sacrificio di una vita
santa. Interpretazione, questa, già avvertita dai
Padri stessi, per es. da sant'Ignazio d'Antiochia, quando
rivolge quella sua mirabile preghiera: "Lasciatemi
questo solo: che io sia immolato a Dio, finché l'altare
è pronto", o da san Policarpo, allorché
raccomanda alle vedove di vivere santamente, perché
"sono altare di Dio". A queste espressioni fa
eco, accanto ad altre voci, quella di san Gregorio Magno:
"Che cos'è l'altare di Dio se non l'anima di
coloro che conducono una vita santa?... A buon diritto,
quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti
". Secondo un'altra immagine assai frequente negli
scrittori ecclesiastici, i fedeli che si dedicano alla preghiera,
che fanno salire a Dio le loro implorazioni e offrono a
lui il sacrificio delle loro suppliche, sono essi stessi
pietre vive con le quali il Signore Gesù edifica
l'altare della Chiesa. Cristo Signore, istituendo nel segno
di un convito sacrificale il memoriale del sacrificio che
stava per offrire al Padre sull'altare della croce, rese
sacra la mensa intorno alla quale dovevano radunarsi i fedeli
per celebrare la sua Pasqua. L'altare è quindi mensa
del sacrificio e del convito; su questa mensa il sacerdote,
che rappresenta Cristo Signore, fa ciò che il Signore
stesso fece e affidò ai discepoli, perché
lo facessero anch'essi in memoria di lui.
L'altare cristiano è, per sua stessa natura, ara
del sacrificio e mensa del convito pasquale:
- su quell'ara viene perpetuato il mistero, lungo il corso
dei secoli, il sacrificio della croce, fino alla venuta
di Cristo;
- a quella mensa si riuniscono i figli della Chiesa, per
rendere grazie a Dio e ricevere il Corpo e il Sangue di
Cristo.
L'altare è pertanto, in tutte le chiese, "il
centro dell'azione di grazie, che si compie con l'Eucaristia
"; a questo centro sono in qualche modo ordinati tutti
gli altri riti della Chiesa.
Per il fatto che all'altare si celebra il memoriale del
Signore e vien distribuito ai fedeli il suo Corpo e il suo
Sangue, gli scrittori ecclesiastici furono indotti a scorgere
nell'altare un segno di Cristo stesso; donde la nota affermazione
che "l'altare è Cristo". È opportuno
che in ogni chiesa ci sia un altare fisso. Negli altri luoghi
destinati alle sacre celebrazioni, l'altare può essere
fisso o "mobile". Altare fisso è quello
che fa corpo con il pavimento su cui è costruito,
ed è, come tale, inamovibile; altare mobile è
quello che si può spostare.
È bene che nelle nuove chiese venga eretto un solo
altare; l'unico altare, presso il quale si riunisce come
un solo corpo l'assemblea dei fedeli, è segno dell'unico
nostro salvatore, Cristo Gesù, e dell'unica Eucaristia
della Chiesa.
Si potrà tuttavia erigere un secondo altare in una
cappella possibilmente separata, in qualche modo, dalla
navata della chiesa e destinata a ospitare il tabernacolo
per la custodia del Santissimo Sacramento; sull'altare di
questa cappella si potrà anche celebrare la Messa
nei giorni feriali per un gruppo ristretto di fedeli. Si
dovrà comunque evitare assolutamente la costruzione
di più altari al solo scopo di ornamento della chiesa.
L'altare si costruisca separato dalla parete, in modo che
il sacerdote possa girarvi intorno senza difficoltà
e celebrarvi la Messa rivolto verso il popolo; "sia
poi collocato in modo da costituire realmente il centro
verso il quale spontaneamente converga l'attenzione di tutta
l'assemblea".
In conformità alla tradizione della Chiesa e al simbolismo
biblico dell'altare, la mensa dell'altare fisso deve essere
di pietra e precisamente di pietra naturale. A giudizio
delle Conferenze Episcopali, può essere consentito
l'uso di un'altra materia, purché sia degna, solida
e ben lavorata.
Per gli stipiti o per il basamento di sostegno della mensa,
è ammessa qualsiasi materia, purché degna
e solida.
Per sua stessa natura, l'altare è dedicato a Dio
soltanto, perché a Dio soltanto viene offerto il
sacrificio eucaristico. È questo il senso in cui
si deve intendere la consuetudine della Chiesa di dedicare
a Dio altari in onore dei santi. Lo esprime assai bene sant'Agostino:
"Non ai martiri, ma al Dio dei martiri dedichiamo altari
se lo facciamo nelle memorie dei martiri". È
una cosa, questa, da spiegare con chiarezza ai fedeli. Nelle
nuove chiese non si devono collocare sull'altare né
statue, né immagini di santi. Neanche le reliquie
dei santi, esposte alla venerazione dei fedeli, si devono
deporre sulla mensa dell'altare.
La sede per il celebrante e per i ministri, ossia il
luogo della presidenza
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 284)
La sede del celebrante deve mostrare il compito che egli
ha di presiedere l'assemblea e di guidare la preghiera.
Perciò la collocazione più adatta è
quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno
che non vi si oppongano la struttura dell'edificio e altri
elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile
la comunicazione tra il sacerdote e l'assemblea. Si eviti
ogni forma di trono. Le sedi per i ministri, invece, siano
collocate in presbiterio nel posto più adatto perché
essi possano compiere con facilità il proprio ufficio.
Il luogo dal quale viene annunciata la Parola di Dio
(Introduzione al lezionario 32-33-34)
Nell'ambiente della chiesa deve esserci un luogo elevato,
stabile, ben curato e opportunamente decoroso, che risponda
insieme alla dignità della parola di Dio, suggerisca
chiaramente ai fedeli che nella Messa viene preparata la
mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e
infine sia adatto il meglio possibile a facilitare l'ascolto
e l'attenzione dei fedeli durante la liturgia della parola.
Si deve pertanto far sì che, secondo la struttura
di ogni singola chiesa, l'ambone si armonizzi architettonicamente
e spazialmente con l'altare.
L'ambone, tenuta presente la sua struttura, venga sobriamente
ornato in modo stabile o in determinate occasioni, specialmente
nei giorni solenni.
Poiché l'ambone è il luogo dal quale viene
proclamata dai ministri la Parola di Dio, deve essere riservato,
per sua natura, alle letture, al salmo responsoriale e al
preconio pasquale. Si possono tuttavia proferire dall'ambone
l'omelia e la preghiera dei fedeli, data la strettissima
relazione di queste parti con tutta la liturgia della parola.
È invece meno opportuno che salgono all'ambone altre
persone, per esempio il commentatore, il cantore o l'animatore
del canto.
Perché l'ambone possa servire in modo adeguato alle
celebrazioni, abbia una certa ampiezza, giacché talvolta
vi debbono stare più ministri insieme. Si deve inoltre
curare che i lettori dispongano sull'ambone di una illuminazione
sufficiente per la lettura del testo e possano servirsi,
secondo l'opportunità, dei moderni mezzi tecnici
perché i fedeli li possano comodamente sentire.
Il luogo per conservare l'Eucaristia
(Comunione e culto eucaristico fuori della Messa 9-11)
Il luogo per la conservazione dell'Eucaristia si distingua
davvero per nobiltà e decoro. Si raccomanda caldamente
che sia anche adatto all'adorazione e alla preghiera personale,
in modo che i fedeli possano con facilità e con frutto
venerare, anche con culto privato, il Signore presente nel
Sacramento.
È più facile raggiungere questo scopo, se
si prepara una cappella separata dal corpo centrale della
chiesa, specialmente nelle chiese in cui si svolgono frequenti
celebrazioni di matrimoni e di funerali o che sono meta
di pellegrinaggi o di visite per i loro tesori di arte e
di storia.
La santissima Eucaristia si custodisca in un tabernacolo
solido, non trasparente e inviolabile. Di norma ci sia in
ogni chiesa un solo tabernacolo o posto sopra un altare
o collocato, a giudizio dell'Ordinario del luogo, fuori
di un altare ma in una parte della chiesa che sia davvero
nobile e debitamente ornata.
La presenza della santissima Eucaristia nel tabernacolo
venga indicata dal conopeo o da altro mezzo idoneo, stabilito
dell'Autorità competente.
Secondo la tradizione, arda sempre davanti all'altare una
lampada a olio o un cero, segno di onore reso al Signore.
Il posto dei fedeli
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 286)
Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei
fedeli, perché possano debitamente partecipare, con
lo sguardo e con lo spirito, alle sacre celebrazioni. E
bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve
però riprovare l'uso di riservare dei posti a persone
private.
Le sedie o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano
assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti
dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza
difficoltà a ricevere la santa comunione.
Si abbia cura che i fedeli possano non soltanto vedere,
ma anche, con i mezzi tecnici moderni, ascoltare comodamente
sia il sacerdote sia gli altri ministri.
L'ADEGUAMENTO DEL PRESBITERIO
DELLA BASILICA DI SAN BABILA ALLE NORME DEL CONCILIO VATICANO
II
Siamo giunti ormai alle fasi conclusive dei lavori di adeguamento
al Concilio Vaticano Il della Basilica di San Babila. Essi
riguardano il presbiterio e la cappella per la Custodia
eucaristica, e sono motivati sia teologicamente sia pastoralmente.
Infatti:
l. La Chiesa non si può considerare una generica
opera architettonica: la destinazione di essa all'azione
liturgica la qualifica radicalmente e la lega all'assemblea
del popolo di Dio che vi si raduna.
2. È l'assemblea celebrante che "genera"
e "plasma" l'architettura della chiesa.
Chi si raduna nella chiesa è il popolo sacerdotale,
regale e profetico, la comunità gerarchicamente organizzata
che lo Spirito Santo arricchisce di una moltitudine di carismi
e ministeri; è la Chiesa che proietta e imprime se
stessa nell'edificio di culto.
3. Lungo il corso dell'anno liturgico l'assemblea locale
si raduna nell'edificio di culto, in comunione con tutta
la Chiesa, per fare memoria del mistero pasquale di Cristo,
nell'ascolto delle Scritture, nella celebrazione dell'Eucaristia,
degli altri Sacramenti e dei Sacramentali e del Sacrificio
di lode.
4. L'assemblea che celebra è una realtà eminentemente
viva, dinamica, in continua trasformazione, anche se lenta.
Di conseguenza anche l'edificio della chiesa non è
definito una volta per tutte, ma si modifica nel corso dei
secoli, come testimonia ampiamente la storia dell'arte occidentale.
5. Tra assemblea celebrante e edificio nel quale avviene
la celebrazione sussiste un legame profondo: la celebrazione
della liturgia è tutt'altro che indifferente all'architettura
e, viceversa, l'architettura di una chiesa non lascia indifferente
la liturgia che vi si celebra.
Tale legame non è dato una volta per tutte ma muta
nel corso della storia: come non esiste una liturgia immutabile,
così non esiste un'architettura e un'arte per la
liturgia che siano immutabili.
6. I molteplici linguaggi ai quali la liturgia ricorre trovano
nello spazio liturgico il luogo della loro globale espressione.
La chiesa-edificio esprime la vita della comunità
cristiana nel suo incontro con Dio attraverso la liturgia
e il culto; si può considerare una "icona ecclesiologica":
di volta in volta essa è sentita come luogo della
Chiesa in festa, come luogo della Chiesa in raccoglimento
e in preghiera, come luogo della Chiesa che esprime la propria
natura intensamente corale e comunitaria.
L'attuazione del progetto di adeguamento del presbiterio
di San Babila ha un duplice scopo: consentire un agevole
svolgimento dei riti e mettere in evidenza i tre "luoghi"
eminenti del presbiterio stesso, che sono l'altare, l'ambone
e la sede del presidente della celebrazione.
L'altare
L'altare nell'assemblea liturgica non è solamente
un oggetto utile alla celebrazione, ma è il segno
della presenza di Cristo, sacerdote e vittima, è
la mensa del sacrificio e del convito pasquale che il Padre
imbandisce per i figli nella casa comune, sorgente di carità
e di unità. Per questo è necessario che l'altare
sia visibile da tutti affinché tutti si sentano chiamati
a prenderne parte ed è ovviamente necessario che
sia unico nella chiesa, per poter essere il centro visibile
al quale la comunità riunita si rivolge. La sua collocazione
è di fondamentale importanza per il corretto svolgimento
dell'azione liturgica e deve essere tale da assicurare senso
pieno alla celebrazione. In particolare, nella nostra basilica,
si è creata la necessità di spostare l'altare
nel "centro ideale" del presbiterio, ponendolo
sull'asse della navata così da ovviare pesanti disagi
soprattutto nella celebrazione dei matrimoni e dei funerali;
nel contempo si è proceduto alla riduzione delle
dimensioni dell'altare stesso, fino ad oggi sproporzionato
in rapporto all'area del presbiterio.
L'ambone
Circa l'ambone, le norme liturgiche recitano: l'ambone è
il luogo proprio dal quale viene proclamata la parola di
Dio. La sua forma sia correlata a quella dell'altare, il
cui primato deve comunque essere rispettato. L'ambone deve
essere una nobile, stabile ed elevata tribuna, non un semplice
leggìo mobile; accanto ad esso è conveniente
situare il candelabro per il cero pasquale, che vi rimane
durante il tempo liturgico opportuno.
L'ambone va collocato in prossimità dell'assemblea,
in modo da costituire una sorta di cerniera tra il presbiterio
e la navata: è bene che non sia posto in asse con
l'altare e la sede, per rispettare la specifica funzione
di ciascun segno. In ottemperanza a questi orientamenti,
abbiamo collocato l'ambone come elemento terminale della
balaustra sinistra, elevandolo di un gradino e valorizzando
l'artistico leggio bronzeo a forma di aquila.
La sede
Nel nostro presbiterio il "luogo" davvero nuovo
- come manufatto e come collocazione - è la sede
del presidente della celebrazione. Infatti, viene avanzata
verso la navata (a ridosso del pilastro destro del presbiterio).
Così la sede diventa davvero il luogo liturgico che
esprime il ministero di colui che guida l'assemblea e presiede
la celebrazione nella persona di Cristo, capo e pastore,
e nella persona della Chiesa, suo corpo. Per la sua collocazione,
essa risulta ben visibile da tutti e in diretta comunicazione
con l'assemblea, in modo da favorire la guida della preghiera,
il dialogo, l'animazione. Questa nuova disposizione, poi,
consente di meglio collocare adeguate sedi per i concelebranti
e opportune sedi per gli altri ministri liturgici e per
i ministranti, distinte da quella del presidente della celebrazione.
In particolare, la nostra nuova sede del presidente della
celebrazione consiste in una fusione in bronzo, opera dello
scultore Alessandro Nastasio.
Essa è bene intonata al monumento in cui viene inserita
ed è arricchita da due formelle scolpite che raffigurano
rispettivamente Gesù tra i dottori dei tempio e Maria
di Betania che asciuga con i capelli i piedi di Gesù,
dopo di averli cosparsi di unguento profumato e di averli
lavati con le proprie lacrime: due raffigurazioni che vengono
commentate dalla scritta "Veritatem facientes in caritate"
("Vivendo secondo la verità nella carità")
(Ef 4, 15). Queste formelle mettono in evidenza, quindi,
l'importante ruolo del presidente della celebrazione: egli,
nella Chiesa apostolica, serve la verità - nell'adesione
al magistero del Vescovo - ed è ministro della carità.
La custodia eucaristica
Nella maggior parte delle nostre chiese, per note ragioni
storiche, l'elemento centrale - dominante sullo stesso altare
- è stato, per circa quattro secoli, il tabernacolo
eucaristico.
L'adeguamento liturgico delle chiese esistenti, mirante
a esaltare il primato della celebrazione eucaristica e quindi
la centralità dell'altare, deve riconoscere anche
la funzione specifica della custodia eucaristica. Diventa
perciò necessario che, occasione dell'intervento
di adeguamento, sia dedicata particolare cura al "luogo"
e alle caratteristiche della custodia-riserva eucaristica.
Tale intervento richiede grande attenzione anche dal punto
di vista educativo. E' noto, infatti, quanto il culto per
la santissima Eucaristia abbia inciso nella formazione spirituale
del popolo cristiano e quanto l'idea stessa dell'edificio
di una chiesa cattolica sia associata alla presenza in essa
del tabernacolo.
Anche la localizzazione e la realizzazione di una nuova
custodia eucaristica devono essere parte integrante del
progetto globale di adeguamento liturgico e dovranno tener
conto di una sua facile individuazione, di un accesso diretto,
di un ambiente raccolto e favorevole all'adorazione individuale.
Nella nostra basilica, quindi, abbiamo individuato, come
luogo adatto per conservare l'Eucaristia e rispondente alle
esigenze liturgiche, la cappella absidale destra.
Infatti essa si distingue per nobiltà e decoro ed
è adatta all'adorazione e alla preghiera dei singoli
fedeli che possono con facilità e con frutto venerare
il Signore presente nel Sacramento.
LA PAROLA DI DIO NELLA CELEBRAZIONE
LITURGICA
Nella Messa, come nella celebrazione dei Sacramenti, la
Liturgia della Parola occupa ormai un posto molto importante.
Infatti, ogni volta che i cristiani si riuniscono per celebrare
il Signore, la loro riunione comporta un tempo dedicato
alla lettura delle Scritture.
Continuano così ciò che era avvenuto tra Gesù
e i discepoli di Emmaus e che l'evangelista Luca riferisce:
"E cominciando da Mosè e da tutti i profeti
spiegò loro in tutte le Scritture ciò che
si riferiva a lui" (24,27). Dal tempo dei primi cristiani
fino ai nostri giorni, dunque, la Chiesa è rimasta
fedele a questo modo di usare la Scrittura nelle sue celebrazioni.
E il Concilio Vaticano II ha voluto ridare vigore alla connessione
intima tra rito e Parola nella liturgia, e ha fatto convergere
il suo impegno di rinnovamento sui punti seguenti:
- si abbia cura, anzitutto, che la scelta delle letture
sia abbondante, più varia e meglio adattata;
- si usi la lingua locale per facilitare la comprensione
della Bibbia;
- la lettura della Scrittura sia di nuovo introdotta nella
celebrazione di alcuni Sacramenti (dai quali era praticamente
scomparsa), in particolare nel Battesimo, nella Penitenza
(anche individuale) e nell'Unzione dei malati;
- la predicazione faccia riferimento in primo luogo alle
pagine della Sacra Scrittura che vengono lette nella celebrazione;
- le letture siano fatte da lettori, che esercitano così
"un vero ministero liturgico".
Ma questi testi, pieni di speranza, sono carta stampata.
Come farli passare da Scrittura a Parola? Come migliaia
di uomini e di donne possono far sì che Dio parli
al suo popolo, riunito per ascoltarlo?
In altri termini, come trattiamo questa Parola che viene
da Dio?
Ecco le condizioni perché ciò avvenga: la
fede dei partecipanti, perché la Parola di Dio sia
compresa; il lettore che deve articolare bene, con calma,
con il giusto tono, le parole; l'ambiente, gradevole, illuminato
e sonorizzato.
Ben consapevoli dell'importanza della Liturgia della Parola
per la vita dei cristiani, desideriamo riflettere sul modo
di rendere "parlante" la Parola di Dio.
La Scrittura è presente in mille modi nella vita
dei credenti: meditazione comunitaria o individuale, riunioni
di gruppo, corsi biblici... nel ricordo vivo che ne hanno
gli uomini e le donne che vi fanno ogni giorno riferimento
nelle loro azioni e nei loro pensieri.
D'altra parte, il cristiano è una creatura la cui
esistenza è tutta permeata dalla Parola e, anche
per questo, l'annuncio della Parola di Dio è una
caratteristica essenziale del culto cristiano.
Parlare significa comunicare
Parlare significa dire qualcosa a qualcuno, comunicare,
mettere in comunicazione tra loro persone o gruppi.
La Liturgia mette in comunicazione Dio con gli uomini, Dio
con l'assemblea, Dio con ciascun partecipante e viceversa.
Allora, quando prepariamo la Liturgia della Parola, anzitutto
dobbiamo dare risposta ad alcune domande:
Chi parla? Dio che si rivela attraverso la Sacra Scrittura;
la Chiesa che spiega e medita la Parola di Dio; l'assemblea
che accoglie la Parola, dà risposta ad essa e prega
nella supplica... A chi si parla? All'assemblea concreta,
presente (grande o piccola, omogenea o diversificata ...
).
Perché si parla? Ogni celebrazione ha uno scopo diverso:
celebrazioni sacramentali, celebrazioni occasionali, Eucaristia
domenicale...
Che cosa dire? Dobbiamo comunicare la Parola di Dio. la
buona novella, la rivelazione del Dio Amore.
Come dirlo? Occorre parlare in condizioni favorevoli...
Non si parla soltanto con la parola... Occorre lasciare
il tempo necessario per l'assimilazione e l'interiorizzazione...
Si tratta di un dialogo... Per questo motivo la Liturgia
della Parola comporta sei atteggiamenti: lettura, silenzio,
canto, preghiera, parola, professione di fede.
Tutto questo perché Dio parla nella vita del suo
popolo:
Ha parlato attraverso gli avvenimenti; l'autore della lettera
agli Ebrei, infatti, annota: Dio ha parlato "molte
volte e in diversi modi", e la storia dell'Antico Testamento
lo conferma: da Abramo, a Mosè, ai profeti... e nel
Nuovo Testamento: "Dio... ha parlato a noi per mezzo
del suo Figlio" (Eb 1,1-2). Gesù ci parla sia
con le sue azioni sia con la parola, e lo Spirito (donato
da Cristo risorto ai suoi discepoli) raduna i cristiani
in comunità che vivono la parola di Dio e la trasmettono
oralmente e per iscritto.
In modo speciale, Dio parla oggi al suo popolo nella celebrazione
liturgica: ascoltando questo annuncio, i cristiani sono
indotti ad entrare nel progetto di Dio; e colui che proclama
la parola, quindi, non fa altro che ricordare i segni dell'azione
di Dio nella vita del mondo.
Dio, quando parla, agisce: "Dio disse... e così
avvenne" (Gn 1). La Parola di Dio è costruttiva,
efficace; è un "evento".
Nella liturgia i testi, scritti sotto l'ispirazione dello
Spirito Santo, rendono Cristo presente nell'assemblea che
li accoglie.
Accogliendo questa Parola, l'assemblea si converte e, rispondendo
a Dio con le parole usate dallo Spirito Santo nella Bibbia
e nella liturgia, entra nella vita stessa del Dio Trinità.
E questo il senso profondo di quanto avviene nella Liturgia
della Parola.
MOLTI TESTIMONI, MA UNA SOLA
PAROLA DA TRASMETTERE
La Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano
II, al paragrafo 7, enuncia le motivazioni profonde che
stanno alla base della Liturgia della Parola: Cristo "è
presente nella sua Parola, giacché è Lui che
parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura".
È un'affermazione che evidenzia anche la serietà
del ministero esercitato dal lettore, il quale deve far
sì che il testo scritto diventi Parola viva di Cristo
che parla di sé agli uomini e alle donne radunati
nel suo nome.
Per leggere bene bisogna rispettare il genere letterario
dei testi biblici. I libri della Bibbia, infatti, non si
assomigliano ma si completano. Rivelano, ciascuno a proprio
modo, un'esperienza spirituale che si rivolge alla fede
e invita i credenti a incontrare il Dio vivo. Il genere
letterario comporta:
Modi di espressione diversi: una legge, un'esortazione,
un testo poetico, una spiegazione, non sono redatti con
le stesse parole, né con le medesime intenzioni.
La personalità di colui che scrive o il gruppo che
si ricollega a un particolare autore: un sacerdote, un contadino,
un uomo colto, un missionario... hanno un linguaggio, una
fraseologia, delle accentuazioni, dei temi che sono propri
a ciascuno di loro.
L'età di un testo o l'epoca in cui è stato
fissato definitivamente per iscritto: sappiamo che la redazione
della Bibbia è avvenuta nel corso di parecchi secoli;
ma soltanto nel secondo secolo dell'era cristiana è
stato definitivamente stabilito l'elenco dei libri "canonici".
Il luogo d'origine e le lingue usate: Arabia, Babilonia,
Egitto, Palestina per l'Antico Testamento; Palestina, Turchia,
Italia, ... per il Nuovo Testamento. Sono altrettante lingue
diverse: ebraico, aramaico, greco...
L'anteriorità della forma orale: il messaggio è
stato predicato, vissuto dalla comunità, prima di
ricevere una forma scritta che comportava indubbiamente
aggiunte e sviluppi derivanti da tradizioni diverse.
La Bibbia si presenta quindi come una sinfonia dove ogni
musicista deve suonare la propria parte, che contribuisce
all'armonia dell'insieme. Conoscere e rispettare il "genere
letterario" di ogni testo è pertanto una questione
di verità nei confronti della Parola e dà
la possibilità di ritrovare la realtà concreta
di vita che l'ha vista nascere.
Per leggere bene bisogna anche stimolare l'ascolto.
Dal momento che è compito dei lettore dare alla Parola
di Dio la vera dimensione - che ora è annuncio e
proclamazione dei prodigi operati da Dio nella storia degli
uomini; ora è adorazione, ammirazione e giubilo;
ora esorta alla fede ed invita a viverla; ecco alcuni suggerimenti
utili:
Leggere con entusiasmo i testi di un profeta che suscitano
una speranza e annunciano la realizzazione di una promessa;
per esempio a Natale: "II popolo che camminava nelle
tenebre vide una grande luce"; dare un accento di gioia
alla lettura dell'Epifania: "Alzati, rivestiti di luce,
(Gerusalemme) perché viene la tua luce".
Tenere un ritmo più lento, un tono più semplice
quando vi sono dei testi che insegnano una verità;
per esempio a Pentecoste: "Nessuno può dire
"Gesù è Signore" se non sotto l'azione
dello Spirito Santo". Più un testo è
spiritualmente denso, più c'è bisogno che
la comprensione sia facilitata da un ritmo meditativo, sul
genere della contemplazione.
Assumere il tono dell'incoraggiamento fraterno, della conversazione
quando si tratta di esortare; per esempio: "Siate d'accordo
tra voi, vivete nella pace".
Per leggere bene bisogna avere familiarità con la
Bibbia.
Tenendo conto dei libri che il lettore deve leggere abitualmente
alla domenica, diamo alcuni cenni elementari che possono
essere di aiuto, anche se non sostituiscono un lavoro più
approfondito che si può fare ricorrendo a studi specializzati
e alle introduzioni delle diverse edizioni della Bibbia
e dei libri liturgici.
1 LIBRI DELL'A.T.
La legge: Raggruppa i primi cinque libri chiamati "Pentateuco"
(dal greco "pente" = 5), tradizionalmente attribuiti
a Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio.
1 libri storici non devono essere considerati come trattati
di storia secondo la concezione moderna, ma come testimonianza
di fede che celebrano i grandi interventi di Dio nella vita
del popolo dell'Alleanza. Sono: Libro di Giosuè,
Libro dei Giudici, Libro di Rut, 1° e 2° Libro di
Samuele, 1° e 2° Libro dei Re, 1° e 2° Libro
delle Cronache, i Libri di Tobia, Giuditta, Ester, 1°
e 2° Libro dei Maccabei.
Gli scritti sapienziali formano una ricca raccolta di insegnamenti
che si basano sull'esperienza concreta e tracciano il quadro
della vita umana animata dalla fede nel Dio dell'Alleanza.
Essi sono: il Libro di Giobbe, il Libro dei Salmi, il Libro
dei Proverbi, il Libro del Qoèlet, il cantico dei
Cantici, il Libro della Sapienza, il Libro del Siracide.
Gli scritti dei Profeti: ripropongono la predicazione dei
Profeti che sono dei veri portavoce di Dio. Questi documenti
hanno portato la rivelazione biblica ad altissimo livello
spirituale. I cristiani vedono il compimento delle profezie
nel Cristo, il Profeta per eccellenza. Sono: I Libri di
Isaia, di Geremia, delle Lamentazioni, di Baruc, di Ezechiele,
di Daniele, di Osea, di Gioele, di Amos, di Giona, di Michea,
dì Abacuc, di Sofonia, di Zaccaria, di Malachia,
di Abdia, di Naum e di Aggeo.
I LIBRI DEL N.T.
I Vangeli secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli Atti
degli Apostol; le Lettere di San Paolo (ai Romani, 1ª
e 2ª ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Colossesi,
1ª e 2ª ai Tessalonicesi, 1ª e 2ª a
Timoteo, a Tito e a Filemone); li altri scritti: Lettera
agli Ebrei, Lettera di San Giacomo, 1ª, 2ª e 3ª
Lettera di San Giovanni, 1ª e 2ª Lettera di San
Pietro, Apocalisse.
PROCLAMARE LA PAROLA
L'annuncio della parola di Dio
L'annuncio della Parola di Dio è una caratteristica
essenziale del culto cristiano; anzi, dopo il Concilio Vaticano
Il, ogni azione liturgica conosce il momento della liturgia
della Parola. Ciò significa che ogni volta che una
comunità cristiana si riunisce per pregare, se desidera
che il suo gesto sia autenticamente cristiano, deve sentirsi
innanzitutto comunità in ascolto. Il rapporto con
Dio, infatti, non nasce dal basso (da una nostra iniziativa)
ma nasce dall'alto, dall'iniziativa libera e gratuita di
Dio che si china verso di noi e ci rivolge per primo la
parola.
La nostra religione, quindi, è essenzialmente la
religione della Parola e dell'ascolto: "Dio invisibile,
nel suo grande amore, parla agli uomini come ad amici e
si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla
comunione con sé" (DV 2).
Il nostro Dio è un Dio che ha parlato e che parla.
Proclamazione della parola di Dio
La proclamazione liturgica della Parola di Dio, poi, è
il mezzo privilegiato per entrare in contatto con il testo
sacro; infatti, essa avviene in un contesto di preghiere
e di canti che crea e favorisce l'ambiente di fede e di
ascolto religioso; è arricchita dal commento (omelia)
che aiuta a cogliere il mistero annunciato; consiste in
un annuncio ufficiale da parte della Chiesa, depositaria
e interprete della Parola; assicura una particolare presenza
di Cristo: "è lui che parla, quando nella chiesa
si leggono le Scritture" (SC 7).
Perciò, il problema cruciale, in questo caso, consiste
nel focalizzare pienamente il significato della proclamazione
della Parola di Dio. Il compito del lettore è di
a) proclamare; b) la Parola di Dio.
a) Proclamare significa non soltanto leggere ad alta voce,
ma soprattutto:
1. Rendere pubblico: portare a conoscenza di quanti sono
presenti ciò che si legge; si noti che la Parola
di Dio proclamata nella liturgia è, in qualche modo,
sempre nuova, anche se già conosciuta.
2. Acclamare con solennità: la proclamazione della
Parola è una azione liturgica, un atto di culto;
quindi, si trasmette agli uomini la volontà del Signore,
ma nel contempo si acclama il Dio vivente che visita il
suo popolo.
3. Rivelare: ogni proclamazione della Parola è in
un certo senso una nuova rivelazione... è un porgere
di nuovo all'assemblea dei fedeli la rivelazione che Gesù
Cristo fa in quel preciso momento e a quegli uomini concreti.
b) L'azione del proclamare riguarda la Parola di Dio:
1. È un vero e proprio atto di culto: cioè,
contribuisce alla lode di Dio (la proclamazione della Parola
è sempre rendimento di grazie per l'economia della
salvezza che ogni pagina biblica proclamata nella liturgia
annuncia e attua) e alla santificazione dell'uomo (la Parola
di Dio nutre la fede, orienta i fedeli verso Dio, suscita
la risposta personale al Signore, condizione indispensabile
per la partecipazione fruttuosa alla liturgia).
2. La proclamazione è una funzione ministeriale nel
senso preciso del termine: una azione strumentale tramite
la quale Cristo continua a svolgere la sua missione di annunciatore
della Parola del Padre.
Nella celebrazione liturgica la Parola di Dio manifesta
la sua attualità e la sua vitalità (si riprenda,
ad esempio, il messaggio di SC 7 sulle modalità della
presenza di Cristo): la Bibbia ci tocca da vicino, è
l'annuncio di salvezza qui, adesso, per me, in questa particolare
situazione, sempre unica e irrepetibile.
3. Si tratta di una funzione particolarmente efficace: produce
sempre qualche cosa, è una forza che opera, è
un germe carico di vita. Infatti, se Cristo è presente
e operante quando si proclama la Parola di Dio, la sua è
certamente una presenza efficace, operosa, santificatrice
perché è presente nell'esercizio del suo sacerdozio.
L'annuncio della Parola è salvezza (Is 55, 10-11),
produce speciali disposizioni nei fedeli ed è fonte
della loro risposta e della loro preghiera (SC 33).
Circa l'efficacia della proclamazione della Parola, non
va dimenticato che le letture costituiscono, insieme con
la liturgia eucaristica, un unico atto di culto: le letture
ricordano, proclamano e attuano l'avvenimento salvifico
che la celebrazione eucaristica renderà presente
in pienezza.
IL LETTORE
Sacrosanctum Concilium 29: Anche i ministranti, i lettori,
i commentatori e i membri della scuola dei cantori svolgono
un vero ministero liturgico. Essi perciò esercitano
il proprio ufficio con quella sincera pietà e con
quel buon ordine che conviene a un così grande ministero
e che il popolo di Dio esige giustamente da essi.
Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 67: Il
lettore, anche se laico, ha un suo ufficio proprio nella
celebrazione eucaristica, che deve esercitare lui stesso,
anche se sono presenti dei ministri di ordine superiore.
Introduzione al lezionario 52: L'assemblea liturgica non
può fare a meno dei lettori, anche se non istituiti
per questo compito specifico. Si cerchi quindi di avere
a disposizione alcuni laici, che siano particolarmente idonei
e preparati a compiere questo ministero. Se ci sono lettori
e si devono proclamare più letture, è bene
distribuirle fra i vari lettori (cfr Pnmr 71, Pnma 72).
Introduzione al lezionario 55: Perché i fedeli maturino
nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e
vivo amore della sacra Scrittura, è necessario che
ì lettori incaricati di tale ufficio, anche se non
ne hanno ricevuta l'istituzione, siano veramente idonei
e preparati con impegno.
Questa preparazione deve essere soprattutto spirituale;
ma è anche necessaria quella propriamente tecnica.
La preparazione spirituale suppone almeno una duplice formazione:
quella biblica e quella liturgica. La formazione biblica
deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel
loro contesto e a cogliere il centro dell'annunzio rivelato
alla luce della fede. La formazione liturgica deve comunicare
ai lettori una certa facilità nel percepire il senso
e la struttura della liturgia della parola e le motivazioni
del rapporto fra la liturgia della parola e la liturgia
eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i lettori
sempre più idonei all'arte di leggere in pubblico,
sia a voce libera, sia con l'aiuto dei moderni strumenti
di amplificazione.
I documenti sopra riportati ci consentono di rilevare che:
- All'ufficio del lettore compete il carattere di vero ministero
liturgico, ministero che si verifica non soltanto nel caso
del lettore istituito. Questa affermazione è basilare:
non soltanto l'ecclesiastico, ma anche il laico debitamente
abilitato è vero ministro liturgico cioè via
e canale attraverso il quale la Chiesa compie il culto pubblico,
strumento mediante il quale Cristo, nell'azione liturgica,
continua l'esercizio del suo sacerdozio (cfr. SC 7). Il
laico che funge da lettore non esercita un ruolo di supplenza,
ma svolge il suo ministero liturgico in forza di una vera
deputazione della Chiesa.
- Viene sottolineata la necessità, per coloro che
svolgono il ministero del lettore, di una pietà sincera
e di una solida vita morale e spirituale.
La cosa è talmente evidente che ci limitiamo a ricordare
che il laico, per svolgere un ministero liturgico, deve
essere commendevole per i suoi costumi, e ben istruito.
Per il lettore si verifica la necessità di una solida
formazione liturgica e di una reale competenza tecnica.
Se dovessimo delineare la fisionomia del Lettore, potremmo
esprimerci così: il lettore è il ministro
liturgico al quale è confidato l'annuncio della Parola
di Dio contenuta nell'Antico Testamento e negli Scritti
apostolici (Lettere apostoliche, Atti degli Apostoli, Apocalisse),
ad eccezione dei quattro Vangeli.
Al lettore, secondariamente, compete la funzione di salmista.
Per svolgere questo compito nell'ambito della liturgia,
il lettore deve essere formato seriamente e questa medesima
formazione deve radicarsi in una autentica vita spirituale.
Una prima formazione riguarda la competenza tecnica, per
così dire professionale: il lettore deve innanzi
tutto farsi intendere, leggere con voce alta e chiara, articolare
distintamente le sillabe, tenere un tono di voce conveniente,
osservare le debite pause e i dovuti silenzi, curare l'accentuazione
delle parole e la pronuncia di esse... Ci limitiamo a ricordare
che questo tipo di formazione è assai più
necessaria, complessa, difficile, lunga e continua di quanto
si creda; è un preciso dovere di onestà nei
confronti della Parola e dell'assemblea.
Ma vi è un secondo tipo di formazione su cui, pure,
deve porsi la nostra attenzione: è la formazione
allo spirito liturgico, alla vita interiore, alla pietà
cristiana.
La necessità di essa scaturisce dal fatto che il
lettore deve "proclamare" la Parola di Dio. Cioè,
lo scopo cui mira il lettore non consiste nell'informare,
piuttosto nel rendere possibile la "conversione del
cuore" attraverso un annuncio che deve essere una vera
rivelazione personale e sconvolgente... Quale ministro della
Parola di Dio, il lettore, quindi, dovrà lasciarsi
dominare dalla Parola che proclama, sentendosene in pari
tempo il banditore, il tramite, il canale.
Dunque, il lettore dovrà acquisire quella formazione
che gli consente di addentrarsi nel possesso della sacra
Scrittura e nella comprensione di essa; non solo, ma dovrà
conoscere bene l'anno liturgico e i singoli tempi che lo
costituiscono, la storia della formazione della Messa, i
contenuti e le finalità delle singole parti che compongono
i formulari della Messa... Mezzo primario e indispensabile
per iniziare e continuare la preparazione specifica e la
formazione a una autentica vita spirituale e a un vero spirito
liturgico è il buon funzionamento del gruppo dei
lettori.
L'ANIMATORE LITURGICO
Sacrosanctum Concilium 35: Negli stessi riti siano previsti,
quando necessario, brevi didascalie da farsi con formule
prestabilite o simili, dal sacerdote o dal ministro competente,
ma solo nei momenti più opportuni.
Principi e norme per l'uso del Messale 69a: l'animatore,
...rivolge ai fedeli spiegazioni ed esortazioni per introdurli
alla celebrazione e meglio disporli a comprenderla e a seguirla.
Gli interventi dell'animatore siano chiari e sobri. Nel
compiere il suo ufficio, l'animatore sta in un luogo adatto
davanti ai fedeli, ma non sale all'ambone.
Introduzione al lezionario 57: Vero ministero liturgico
è anche quello esercitato dall'animatore; da un luogo
adatto, egli propone all'assemblea dei fedeli opportune
spiegazioni e monizioni, chiare, sobrie, preparate con cura,
normalmente scritte e approvate in precedenza dal sacerdote.
L'ufficio dell'animatore è una novità, anche
se di esso si parlò per la prima volta circa quaranta
anni fa (cfr. Istruzione sulla Musica Sacra del 3 settembre
1958, n. 86).
L'ufficio
È un ufficio orientato a dirigere la preghiera del
popolo di Dio e a sostenerne l'attenzione; ha come scopo,
quindi, di ottenere più facilmente la partecipazione
dei fedeli all'azione liturgica. Considerata la natura della
liturgia, ogni celebrazione può trovare in questo
ufficio un aiuto più che valido: da quella meno consueta
e più complessa (e quindi poco conosciuta) a quella
più frequente e usuale (da riscattare, quindi, dalla
monotonia e dalla passività).
Ci troviamo di fronte a un vero ministero liturgico: anche
in questo caso, come per il lettore, si verifica la necessità
di portare nello svolgimento di questo ministero una pietà
sincera e un conveniente buon ordine; in secondo luogo,
viene richiesta una solida educazione allo spirito liturgico
e una seria formazione perché si possa svolgere in
modo soddisfacente questo ministero.
Chi è?
L'animatore è, pertanto, il ministro liturgico che
stimola la partecipazione dell'assemblea soprattutto attraverso
l'interpretazione o la spiegazione dei riti, delle letture
e delle preghiere, la direzione della partecipazione dei
fedeli.
La sua presenza e il suo compito (occorre sottolinearlo
con chiarezza) saranno attuati all'insegna della massima
discrezione.
Anche se sembra ovvio, è bene ribadire che se manca
la persona idonea oppure il tempo sufficiente per preparare
le monizioni, se, in concreto, si rischia di ostacolare
piuttosto che di facilitare la partecipazione, sarà
meglio rinunciare alla presenza dell'animatore liturgico.
Monizioni e didascalie
1 documenti sopra citati portano a riflettere circa la formulazione
delle monizioni e delle didascalie.
Il ricorso a un buon dizionario della lingua italiana ci
consente di situare questo tipo di interventi tra le esortazioni,
gli ammaestramenti, i richiami, gli avvertimenti rivolti
da chi ha un'autorità morale o da chi esercita in
modo informale un'autorità giuridica.
In modo più preciso, la "monizione" accentua
l'aspetto di autorevolezza, la "didascalia" sottolinea
l'aspetto esplicativo dell'intervento.
I medesimi documenti invitano a considerare attentamente
il genere letterario e la struttura delle monizioni e delle
didascalie: esse devono aiutare l'assemblea liturgica ad
esercitare rettamente la propria ineludibile attività
ermeneutica, a correggere le eventuali precomprensioni e
a porsi nell'atteggiamento più idoneo per cogliere
il messaggio che, nella situazione concreta, proviene dal
testo biblico e dal contesto liturgico.
In pari tempo, non devono essere di tipo esortativo (considerazioni
personali, pie elevazioni, delucidazioni tecniche... sono
per lo meno inutili), né di tipo contenutistico (non
devono oscurare in alcun modo il celebrante e gli altri
attori liturgici, non devono sostituirsi ad altre formule
o invadere il campo di altri
tutto questo è
fuorviante).
Brevi, concise, sobrie, chiare, le didascalie o le monizioni,
poco numerose, devono essere proposte nella semplice forma
espositiva. Sotto la guida e la responsabilità del
presidente, l'animatore liturgico preparerà i suoi
interventi per iscritto: essi verranno pronunciati a tempo
opportuno, con tono di voce conveniente e con volume moderato,
evitando ogni sovrapposizione alle preghiere, ai canti,
alle letture...
LA PROCLAMAZIONE LITURGICA DI UN TESTO SACRO
La lettura in pubblico di un testo sacro durante la celebrazione
liturgica è il risultato di due operazioni che tutti
fanno correntemente: leggere e parlare, che rispettano,
però, tre condizioni:
- non si legge in pubblico come si legge per proprio conto
un giornale o un romanzo;
- non si parla in pubblico come in una conversazione tra
due o tre persone;
- è il Signore che parla quando nella Chiesa si legge
la Sacra Scrittura (Sacrosanctium Concilium 7).
Che il Signore parli e sia presente nell'assemblea, dipende
dunque, almeno in parte, dal modo con cui il lettore adempie
la propria funzione: è una grave responsabilità
che richiede preparazione spirituale (cui abbiamo già
fatto cenno) e competenza tecnica (di cui tratteremo in
questa sede).
Per poter preparare una lettura, bisogna sapere anzitutto
che cosa si dovrà leggere!
Tale preparazione non può esser considerata facoltativa:
è necessaria. In proposito, occorrerà formare
il gruppo dei lettori e stabilire, se possibile, un turno
di lettura, cercando di evitare di scegliere un lettore
tre minuti prima della celebrazione. È un sistema
che, oltre ad evitare il rischio di far leggere qualcuno
senza essersi assicurati che ne sia capace, permette a un
maggior numero di fedeli di fungere da lettori.
Evitando così all'assemblea di vedere e ascoltare
sempre le medesime persone, il maggior numero di lettori
offre l'occasione a un maggior numero di cristiani di entrare
più profondamente nell'azione liturgica.
La preparazione remota:
- il lettore deve in primo luogo leggere il testo per capirne
il significato (può lodevolmente ricorrere a un buon
commento): meglio si capisce il testo, più si è
capaci di comunicarne il senso;
- il lettore deve poi individuare il genere letterario del
testo. Dio, attraverso la Bibbia, ci parla, ma ha mille
modi di parlarci. Succede anche per la Bibbia ciò
che accade per la letteratura italiana: non si legge allo
stesso modo una pagina del Manzoni, o una poesia di Montale
o un sermone del Savonarola!
- la tappa successiva consiste nel cercare le parole chiave
ed eventualmente la frase più importante che la lettura
dovrà mettere in evidenza;
- per ultimo, dopo aver fatto tutto ciò, il lettore
leggerà diverse volte ad alta voce il suo testo perché
solo così si potrà rendere conto di un gran
numero di difficoltà (la parola "Nabucodonosor",
ad esempio, è facile da leggere mentalmente, ma difficile
da pronunciare!); se necessario, il lettore leggerà
in presenza di un ascoltatore, o anche davanti a quel testimone
spietato che è il registratore a cassetta.
Le tecniche di lettura
Le pause: Durante la sua preparazione, il lettore individua
anche le pause lunghe o brevi che deve fare. In proposito
ricordiamo che è sempre preferibile ripassare la
lettura sul Lezionario, perché:
- è il testo che sarà usato durante la celebrazione;
- la sua disposizione tipografica è in funzione della
lettura in pubblico.
Le pause sono necessarie perché durante queste l'ascoltatore
comprende, dal momento che i suoni che giungono alle sue
orecchie hanno il tempo di arrivare al cervello e di assumere
un significato. I silenzi nel corso della lettura permettono
a chi non legge di comprendere ciò che ascolta.
Il lettore deve sempre tenere presente che se lui ha il
testo sotto gli occhi, non l'ha invece chi ascolta. Ricordi,
inoltre, che oltre alle pause sintattiche, che vengono stabilite
in base alla sintassi della frase, vi sono le pause espressive
che non sono soggette a regolamentazioni precise ed il cui
uso è a discrezione del lettore.
Il ritmo
Così come la frase musicale, anche la frase di un
testo ha un ritmo che il lettore deve saper rendere. La
maggior parte dei lettori legge troppo in fretta.
Ricordiamo che chi ascolta ha bisogno di tempo per poter
organizzare i suoni in una frase dotata di senso.
Il volume
La lettura in pubblico richiede che si parli anche con un
volume più alto di quello che si userebbe nella comune
conversazione: bisogna parlare ad alta voce, spingendo la
voce "in avanti" (proiettando il suono lontano,
davanti a sé).
L'intonazione
È indispensabile evitare la cantilena (che ricorda
il modo di recitare le poesie nella scuola elementare) o
il "recto-tono" delle letture nel refettorio dei
conventi. Si tratta di trovare un'intonazione abbastanza
sobria quanto alle variazioni, ma molto sostenuta e interiore.
Inoltre, occorre fare attenzione perché le sillabe
finali siano pronunciate chiaramente: la finale di una frase
non è caratterizzata da una caduta di voce, ma dal
mantenimento della stessa intonazione fino al punto fermo.
Il colore
Il lettore che legge la Parola di Dio non può esimersi
dall'interpretare la lettura, dal dare colore ad essa: lo
deve fare, però, con grande senso della misura.
Non si deve leggere in modo piatto (come se non ci interessasse
ciò che leggiamo), né eccedere nel colore
(quasi a voler dare un'interpretazione troppo personale).
L'articolazione
Il lettore deve essere capito perfettamente. Quindi:
- deve essere curata la pronuncia di tutte le consonanti;
- bisogna fare particolare attenzione all'articolazione
della "s" e della "z", che può
essere sorda o aspra (es.: segno, spesso, grazia, bellezza)
oppure sonora o dolce (es.: risveglio, centesimo, bizzarro,
zanzara);
- è necessario che le vocali siano pronunciate in
modo molto chiaro; occorre tenere presente che sia le "e"
che le "o" hanno un diverso accento fonico: una
pronuncia chiusa o acuta ed una aperta o grave.
A questo proposito esistono regole generali che hanno però
le loro eccezioni.
IL COMPORTAMENTO DEL LETTORE
Osserviamo il comportamento del lettore dal momento in
cui si avvia verso il luogo da cui leggerà.
Non lasci il proprio posto prima che sia concluso ciò
che precede (orazione o salmo), cioè si muove per
raggiungere l'ambone mentre l'assemblea, dopo l'orazione
di inizio, si siede o dopo che l'assemblea ha cantato l'ultimo
ritornello dei salmo responsoriale.
Il vedere il lettore spostarsi con calma prepara l'assemblea
ad ascoltarlo attentamente.
Arrivato al luogo della lettura, il primo gesto del lettore
è riservato al microfono: regolarne l'altezza, assicurarsi
che funzioni guardando l'interruttore on/off.
Il secondo gesto è per il libro (lezionario): assicurarsi
che sia aperto alla pagina giusta.
Il lettore, poi, si mette in posizione di lettura: ben diritto,
spalle e petto eretti, ben piantato sui due piedi, testa
alta, mani posate ai lati del libro o del leggio.
Il lettore chiede la benedizione al presidente della celebrazione
dicendo (al microfono): "Benedicimi, padre" e
volgendosi verso il presidente, fa il segno della croce
senza nulla dire.
Il lettore, quindi, guarda con calma l'assemblea, come per
presentarsi; prima di leggere, inizia con il respirare...
Facciamo presente che un comportamento corretto e una buona
respirazione, uniti a una seria preparazione, fanno aumentare
la probabilità di riuscire a vincere o per lo meno
a ridurre il panico.
Il registratore a cassetta è uno strumento prezioso
che si deve usare senza esitazione sia per provare la lettura,
sia per verificarne l'esecuzione.
Come usare la sonorizzazione
Il volume dovrà essere regolato tenendo conto dell'edificio,
dell'assemblea e della potenza vocale di chi dovrà
fare uso dell'impianto.
Il volume troppo forte diventa una "aggressione"
nei confronti dell'uditore. La disposizione del microfono:
il microfono deve essere posto a circa 20 cm. dalla bocca
di chi parla, più o meno all'altezza delle spalle,
e leggermente rivolto verso l'alto (prima di regolarne l'altezza,
sarà bene chiudere l'interruttore del microfono per
evitare rumorii. fastidiosi).
L'uso del microfono
Chi usa il microfono, pur rimanendo fermo, deve però
avere una certa mobilità rispetto ad esso per poterne
sfruttare tutte le risorse.
In proposito, potremmo distinguere tre zone corrispondenti
a tre distanze:
- zona dell'intimità (da 2 a 10 cm di distanza):
si parla al microfono come se si parlasse in una conversazione
a tu per tu;
- zona della conversazione (da 15 a 20 cm.): è come
se si parlasse a un piccolo gruppo;
- zona del parlare in pubblico, della proclamazione, del
tono oggettivo (da 30 a 35 cm.): si parla come se non ci
fosse impianto di sonorizzazione.
Se si sanno sfruttare queste tre zone si può creare
un vero rilievo sonoro, fonte di varietà e di vitalità
di espressione.
Si ricordi, comunque, che il lettore dovrà osservare
le leggi della dizione e il cantore quelle della tecnica
vocale.
Alcuni consigli al riguardo:
- il lettore e il cantore trovino il tempo di regolare il
microfono all'altezza giusta;
- si faccia attenzione ad articolare bene le parole: la
diffusione, infatti, "mangia" le sillabe che il
lettore avrà "mangiato", e farà
cadere in un silenzio quasi totale le finali di frase pronunciate
lasciando cadere la voce;
- per rendersi conto in che cosa consista una buona articolazione
delle consonanti, sarà utile esercitarsi a leggere
e a parlare a bassa voce davanti a un microfono acceso:
se il lettore riesce a farsi capire, allora la sua articolazione
è buona.
Cantare e parlare "con discrezione" al microfono
Normalmente l'animatore (anche del canto) di assemblea sappia
cantare e parlare a mezza voce e pensi anche all'opportunità
di allontanarsi dal microfono.
Se l'assemblea ha l'impressione che l'animatore riempia
la chiesa con la sua voce, tenderà a tacere per ascoltare.
UN LUOGO PER LA PAROLA
"Alla mensa del Signore riceviamo in nutrimento il
Pane di Vita... Ma alla mensa delle letture domenicali siamo
nutriti della dottrina del Signore!" (S. Ilario)
"Cristo è presente nella sua Parola, giacché
è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra
Scrittura" (Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium
7).
Questi due testi, mentre ci ricordano il posto che occupa
la Parola di Dio nelle celebrazioni, ci fanno sentire l'importanza
che deve avere il luogo da cui tale Parola viene proclamata.
E' un'importanza molteplice: importanza del luogo e dell'ambiente
circostante, importanza dell'arredamento e degli oggetti,
ecc.
Importanza del luogo
Recita il Messale: "L'importanza della Parola di Dio
esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale
essa venga annunciata e verso il quale, durante la liturgia
della Parola, spontaneamente si rivolga l'attenzione dei
fedeli. Conviene che tale luogo sia generalmente un ambone
fisso e non un semplice leggìo mobile. Tenuta presente
la struttura di ogni chiesa, l'ambone deve essere disposto
in modo che i ministri possano essere comodamente visti
e uditi dai fedeli" (Principi e norme per l'uso del
Messale, n. 272). Occorre dunque trovare il luogo più
adatto per la proclamazione della Parola di Dio. Esso deve
essere scelto in modo tale che il lettore o il predicatore
vedano coloro aì quali si rivolgono e abbiano l'uditorio
vicino, alla loro portata.
E'importante che tale luogo sia bene evidenziato e non ridotto
a un semplice leggìo mobile senza consistenza e significato.
Occorre, poi, illuminare bene il luogo della Parola. L'attenzione
dei fedeli si rivolgerà ancora più spontaneamente
verso il luogo della Parola se questo è bene illuminato.
Non si può parlare di scelta del luogo della Parola
senza segnalare alcuni errori da evitare:
- un leggìo troppo grande o troppo alto non favorisce
la "comunicazione diretta", così come un
leggìo mal fatto, con strutture troppo alte, che
trasforma il lettore in un mezzo busto.
- Bisogna fare anche attenzione che l'ambone non copra gli
altri elementi del presbiterio: la sede presidenziale, l'altare...
La sistemazione del luogo della Parola si deve fare dopo
seria riflessione e dopo alcuni esperimenti, in modo da
creare nel presbiterio un insieme equilibrato, armonioso
e bello.
Un segno
Ciò che vediamo ci deve parlare di quanto accade
durante le assemblee e dell'importanza di ogni elemento.
È ovvio che il luogo della Parola può raggiungere
questo scopo soltanto se è "bello". Questa
"bellezza" esprime la presenza: è "segno".
L'ambone dovrà dunque avere un vero valore estetico
per la forma, il volume, le proporzioni equilibrate, il
materiale di cui è fatto, il modo in cui è
ornato e soprattutto per l'armonia dei diversi elementi
che lo compongono.
Ma la ricerca estetica non basta. È necessario che
l'arredamento sia funzionale. L'ambone dunque deve essere
concepito in modo da adempiere la sua funzione. Il lettore
o il predicatore vi sì devono sentire a proprio agio.
Il leggìo deve essere abbastanza grande, orientabile,
con un piano d'appoggio. L'ambone sarà ancora più
adatto alla sua funzione se, prima della celebrazione, si
avrà cura di prepararlo, di metterlo in ordine, affinché
tutto sia a posto e funzioni perfettamente. "Dall'ambone
si fa la proclamazione delle letture, del salmo responsabile
e del preconio pasquale; vi si può tenere l'omelia
e la preghiera universale o dei fedeli. Non conviene però
che salga all'ambone il commentatore, il cantore o l'animatore
del coro" (Principi e norme per l'uso del Messale n.
272). Come è possibile infatti mettere in evidenza
l'importanza della Parola se dal luogo che le è riservato
si compiono altre azioni, senza alcuna distinzione?
Non bisogna dimenticare che un ambone fisso ha sempre il
vantaggio di segnare con maggiore evidenza il luogo della
Parola e di sottolineare l'importanza che esso ha per la
comunità, anche quando non vi sono celebrazioni,
a imitazione degli antichi pulpiti.
Questo luogo deve essere un "segno vivo": deve
significare che i cristiani vivono della Parola come dell'Eucaristia,
che questa Parola li convoca, li riunisce, li chiama a conversione,
li nutre e che essi l'ascoltano e le rispondono. L'ambone
deve avere un'importanza da mettere in relazione con quella
dell'altare.
"La liturgia della Parola è legata alla liturgia
eucaristica: ciò che la Parola annuncia è
un aspetto del mistero che l'Eucaristia celebra e attualizza,
e la fede, che si nutre e si fortifica alla mensa della
Parola, permette di partecipare con frutto alla mensa del
Corpo del Signore" (Celebrare con il Messale del Vaticano
II, L.D.C., p. 59).
Il luogo della Parola deve dunque evidenziare il legame
che esiste tra le due mense, quella della Parola e quella
dell'Eucaristia.
Importanza degli oggetti
Il principale "oggetto" della lettura è
il Libro della Parola di Dio della quale è segno.
Non può essere segno della Parola un libretto tirato
fuori di tasca sul momento, neppure un foglietto volante,
o peggio, un libro logoro, slabbrato e sporco. Non bisogna
dimenticare gli altri oggetti che contribuiscono alla bellezza
della celebrazione; ad esempio, i candelabri, il turibolo...
Per non parlare delle vesti liturgiche...
Anche la collocazione del microfono deve essere ben studiata.
Non è di secondaria importanza la decorazione: un
tappeto, un mazzo di fiori freschi...
Per concludere: in queste righe abbiamo insistito molto
sulla "bellezza" che dovrebbe contraddistinguere
sia la sistemazione del luogo della Parola, sia la celebrazione
della medesima.
Tale "bellezza" è fondamentale: essa sola
può dare a una buona sistemazione quel potere spirituale
che contribuisce a rivelare Dio.
Bellezza dell'arredamento, degli oggetti, dei riti: è
urgente riflettere su questo problema.
L'efficacia pastorale si fonda sulla qualità dell'espressione
della fede. Qualità che è verità. La
ricerca della bellezza, l'arte, sono elementi che introducono
questa qualità nel compimento del rito. Per questo
la Chiesa li mette al servizio della celebrazione.
MUSICA E VITA FRATERNA
Musica e canto hanno senso soltanto all'interno di una
grande festa popolare dove si acclama Dio e ci si trova
tra fratelli: nella celebrazione liturgica, appunto. E,
allora, come possiamo chiedere di cantare a un'assemblea
che prima non si sia riconosciuta come comunità di
fratelli?
Cerchiamo di fotografare le nostre assemblee:
- Se le persone arrivano in chiesa senza il desiderio di
stare insieme, senza la volontà di accogliersi reciprocamente,
di fare qualcosa insieme, non ci sarà né festa,
né musica. Così, se in una chiesa la gente
è tutta dispersa, sarà impossibile cantare...
e qualsiasi tentativo musicale manifesterà una chiesa
morta e individualista.
- Se invece nell'assemblea ciascuno si rende attento all'altro
ed è contento di ritrovarsi con gli altri, si verificherà
maggior coinvolgimento nella celebrazione comunitaria. Fare
assemblea, infatti, significa per prima cosa suscitare questo
atteggiamento di amicizia.
- Ci avvediamo, allora, di quanto sia importante tutto quello
che precede una celebrazione: l'accoglienza dei fedeli da
parte del sacerdote o del gruppo di animazione liturgica;
il servizio del coro per l'immediata preparazione alla liturgia;
la presenza dell'animatore liturgico-musicale che, raggiante
di buon umore e ricco di verità interiore, può
salutare chi arriva e mettere a loro agio gli intervenuti,
richiamare l'attenzione su un canto, risvegliare l'interesse
e il desiderio di ascoltare la Parola..., suscitare la disponibilità
al canto... Una preparazione che tocchi il profondo del
cuore.
Musica per un'assemblea
Il canto è uno spazio per comunicare. Il canto è
fatto per la festa e fa la festa; è luogo di contatto
e costruisce l'assemblea; è spazio di comunione...
Nella liturgia la musica trasforma il popolo che canta in
popolo che celebra e permette all'assemblea di esprimere
la propria fede.
La musica è a servizio della preghiera e della comunione
fraterna. Il canto aiuta a vivere insieme la liturgia, a
comunicare e a condividere. Grazie al canto, i cristiani
radunati prendono coscienza di essere una comunità
di credenti.
Ma la musica non è soltanto un elemento che crea
comunione, è anche un mezzo privilegiato per esprimere
in noi ciò che va al di là delle parole e
delle idee. Però, facciamo attenzione: un'assemblea
che canta deve credere in ciò che dice. Proporre
un testo ad un'assemblea non è cosa indifferente
nei riguardi dell'espressione della sua fede e della sua
preghiera. Curare la qualità e renderci conto dell'importanza
di quel che cantiamo vuol dire in primo luogo preoccuparsi
dei testi che scegliamo.
Celebrare Gesù Cristo esige di non dire la prima
cosa che capita... L'assemblea ha bisogno di canti con parole
che dicano qualcosa all'uomo d'oggi e siano anche una strada
che conduce al vangelo di Gesù Cristo.
Resta da trovare l'equilibrio tra testo, melodia, ritmo;
infatti, il cantare è diverso dal parlare: il nostro
essere è coinvolto in maniera diversa perché
la musica riesce ad arricchire il testo di una dimensione
nuova.
Dunque, non basta sollecitare l'intelligenza, occorre che
il suono, il ritmo e gli accordi facciano zampillare la
sorgente nel cuore di ciascuno.
La musica dà spazio e durata alle parole, creazione
di rilievo e di risonanza.
Il canto diventa come il corpo della preghiera.
Sappiamo, però, che una bella melodia può
nascondere lo squallore di un testo mediocre; così
pure un buon testo può uscire appiattito o soffocato
dalla musica. Il rapporto testo-melodia è dunque
un problema permanente nella liturgia: occorre fare in modo
che parole e musica siano accessibili al maggior numero
possibile di persone, e che le tocchino nel profondo del
loro essere, suscitando sentimenti di supplica o di lode,
di adorazione o di ringraziamento, richiamando ciascuno
alla propria libertà, per essere se stesso davanti
a Dio.
Al di là delle parole e delle idee, degli accordi
e dei suoni, l'assemblea che loda diventa lode essa stessa,
l'assemblea che acclama e supplica, diventa acclamazione
e supplica. Che se è Dio. che mette la lode nel cuore
e sulle labbra dei credenti, l'assemblea che canta diventa
anch'essa creatrice della propria lode.
Allora, la musica "viva" è quella che nasce
dall'assemblea, che si fa nell'assemblea, e che esprime
ciò che l'assemblea vive. Di conseguenza, è
bene non sottovalutare mai le possibilità dell'assemblea
e non minimizzarne il ruolo; anzi, occorre saperla responsabilizzare
e mettersi al servizio del dinamismo dello Spirito presente
in essa. Così, non è bene adottare, senza
il minimo spirito critico, tutto quello che è di
moda, o credere che basti un canto bello e allegro perché
il cuore si apra ai richiami del Vangelo: ciò non
sarebbe degno del rispetto dovuto a un'assemblea che celebra.
Allo stesso modo infine, si deve ricordare che l'animatore
liturgico-musicale ha il compito di animare, non di manipolare
l'assemblea imponendo se stesso con la voce e con il gesto;
deve tenere ben presente che quando l'assemblea ha preso
coscienza di ciò che fa, bisogna sapere mettersi
da parte.
Canto e Musica nella liturgia
Sc 112: "La tradizione musicale di tutta la Chiesa
costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle
tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il
fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte
necessaria e integrale della liturgia solenne".
"Il canto sacro è stato lodato sia nella Sacra
Scrittura, sia dai Padri, sia dai Romani Pontefici che recentemente,
a cominciare da S. Pio X hanno sottolineato con insistenza
il compito ministeriale della musica sacra nel servizio
divino. Perciò la musica sacra sarà tanto
più santa quanto più strettamente sarà
unita all'azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente
la preghiera o favorendo l'unanimità, sia arricchendo
di maggior solennità i riti".
Ms 5: "La musica sacra ha formato oggetto di considerazione
da parte del Concilio Vaticano Il, per gli aspetti che hanno
relazione con la riforma liturgica. Il Concilio, infatti,
ne ha messo in rilievo i compiti nel culto divino, fissando
in proposito vari principi e varie norme nella costituzione
sulla sacra liturgia, e dedicandole un intero capitolo nella
medesima costituzione".
Ms 5: "L'azione liturgica riveste una forma più
nobile quando è celebrata in canto, con i ministri
di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e con la
partecipazione del popolo. Infatti, in questa forma di celebrazione:
- la preghiera acquista un'espressione più gioiosa;
- il mistero della sacra liturgia e la sua natura gerarchica
e comunitaria vengono manifestati più chiaramente;
- l'unità dei cuori è resa più profonda
dall'unità delle voci;
- gli animi s'innalzano più facilmente alle cose
celesti per mezzo dello splendore delle cose sacre;
- tutta la celebrazione prefigura più chiaramente
la liturgia che si svolge nella Gerusalemme celeste".
Ms 9: "La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche
nessun genere di musica sacra, purché corrisponda
allo spirito dell'azione liturgica e alla natura delle singole
parti, e non impedisca una giusta partecipazione dei fedeli".
Pnmr 19 Pnma 19: "Nelle celebrazioni si dia quindi
grande importanza al canto, anche se non è sempre
necessario cantare tutti i testi che per loro natura sono
destinati al canto".
"I fedeli si radunano nell'attesa della venuta del
Signore, sono esortati dall'Apostolo a cantare insieme salmi,
inni e cantici spirituali. Infatti il canto è segno
della gioia del cuore. "il cantare è proprio
di chi ama"; "chi canta bene, prega due volte"
(S. Agostino).
I documenti sopra riportati servono semplicemente all'avvio
di una riflessione, ben lontana dall'essere completa ed
esaustiva, circa il ruolo che il canto e la musica sacra
compiono nell'azione liturgica.
Essi rimandano alla lettura dei capitolo VI della "Sacrosanctuni
Concilium" interamente dedicato al problema, ovviamente
condotta nell'ampio contesto della riforma e del rinnovamento
liturgico, e allo studio dei principali documenti successivi
alla costituzione conciliare sulla liturgia.
I medesimi documenti citati ci consentono, anzitutto, di
giungere a una precisa e articolata conclusione: la liturgia
non può prescindere dal canto e dalla musica anzi,
essi saranno sacri nella misura in cui saranno uniti all'azione
liturgica, cioè, al rito attuato da una determinata
assemblea, alla celebrazione dell'assemblea liturgica.
Problema pastorale
La celebrazione deve attuarsi secondo il suo "ordinamento
autentico" (Ms 6), secondo la debita divisione degli
uffici liturgici e nel rispetto delle varie componenti rituali,
raggiungendo così la vera solennità, propria
delle azioni sacre, che non dipende tanto dalla quantità
o dalla qualità di musica eseguita (né dallo
sfarzo delle cerimonie) ma dal modo degno e autentico di
condurre la celebrazione, con l'inserimento appropriato
del canto, a tempo debito e nella maniera giusta (Ms 11).
Ci troviamo di fronte a un vero e proprio compito riguardante
la pastorale liturgica che da una parte deve conservare
e incrementare il patrimonio della musica sacra e dall'altra
deve essere aperta alle istanze della spiritualità
odierna; che deve promuovere con impegno le "scholae
cantorum" (Ms 114) e non deve disattendere un'educazione
musicale di tutto il popolo di Dio (Ms 115); che si trova
a mediare, nel settore degli strumenti musicali, tra l'uso
dell'organo a canne (che tradizionalmente offre "notevole
splendore" alle cerimonie della Chiesa) e l'introduzione
nelle azioni liturgiche di altri strumenti, "purché
adatti all'uso sacro" e utili a favorire "l'edificazione
dei fedeli" (Ms 120); che, soprattutto, è attenta
a ricondurre anche la musica e il canto al ruolo di servizio
nella liturgia, grazie al quale la riunione del popolo di
Dio per la celebrazione dei misteri dì Cristo si
possa risolvere in un autentico atto di culto al Padre e
in un'espressione sincera della spiritualità dì
una comunità che vive e palpita in una cultura decifrabile
nei suoi contenuti.
La riforma liturgica, pertanto, non richiede soltanto una
riflessione condotta dagli esperti circa la bontà
della musica sacra e del canto liturgico, ma postula soprattutto
un'attenzione da parte dei pastori e della comunità
circa l'opportuno inserimento nella celebrazione di forme
musicali e di espressioni di preghiera in canto, quale modalità
non semplicemente artistica ma anche di partecipazione.
Siamo chiamati a occuparci del problema con impegno, e in
special modo sul piano della produzione, della scelta e
dell'esecuzione del canto liturgico e della musica sacra
(Ms 118):
- la schola cantorum "deve curare l'esecuzione esatta
delle parti proprie... e favorire la partecipazione attiva
dei fedeli" (MS 19);
- è bene che l'assemblea partecipi sia ai canti dell'Ordinario
che a quelli del proprio (cfr. MS 33-34);
- il cantore e il salmista, che propongono canti semplici
per la partecipazione del popolo e guidano e sostengono
opportunamente i fedeli nell'esecuzione di quanto loro spetta
(cfr. MS 21);
- l'animatore e l'organista assumono una vera e propria
funzione liturgica nell'assemblea e sono punti di riferimento
nella programmazione dei canti liturgici e nell'auspicato
dialogo tra popolo e assemblea...
Abbiamo aperto soltanto una finestra sull'ampio panorama
rappresentato dalla presenza del canto e della musica nell'assemblea
liturgica. Anzi, abbiamo soltanto elencato alcuni tra i
principali punti nodali che ci sembra doveroso affrontare,
a cui dobbiamo dare una pertinente risposta.
Ci sembra di dover ricordare che il problema si pone nel
contesto più a largo respiro della preghiera personale
e comunitaria che, trattando di cose mirabili, i "mirabilia
Dei", assume pure uno stile adeguato. Ci avvediamo,
allora, che non si tratta di accompagnare un rito o di incastonare
una azione sacra in una cornice di poesia melodiosa che
intenerisce il cuore, ma di "cantare il Signore"
con il cuore ardente di fede; meglio, prestare voce al Verbo,
inno di lode al Padre che dall'eternità irrompe nel
tempo.
Produzione
Accanto al repertorio "tradizionale" fiorisce
la linea "nuova" rappresentata dalla composizione
di canti religiosi e popolari del postconcilio. Ci si trova
di fronte a proposte spesso non soddisfacenti (nella musica
e nei testi), tuttavia indicanti orientamenti e ricerca
di forme e di contenuti in sé apprezzabili.
In generale, più di una volta ci imbattiamo in composizioni
non degne della perfezione artistica; in qualche caso veniamo
messi di fronte a veri e propri "abusi"... Sono
fatti che non devono provocare la condanna o la chiusura
da parte dei compositori di professione anzi, devono stimolare
alla revisione di certi criteri e al raggiungimento di certe
méte anche in fatto di musica per la liturgia e di
partecipazione canora delle assemblee. Affermando questo,
tuttavia, non si vuole invitare a rinunciare al debito,
rigoroso (e al tempo stesso duttile) senso critico.
Scelta ed esecuzione
Si impone, tra la produzione ricca e varia dei canti, il
lavoro delicato della scelta. Nell'espletare questo dovere
siamo guidati anzitutto dal criterio che conduce ad esaminare
il valore testuale dei canto e della musica: perché
essi entrino nella liturgia devono garantire un'adeguata,
consona forma musicale, e presentare un testo teologicamente
concordante con l'ortodossia.
In secondo luogo dobbiamo appellarci al criterio della funzionalità
liturgica: la scelta del canto e della musica può
avvenire in modo appropriato soltanto se essi vengono messi
in rapporto con il rito cui devono essere legati, con la
celebrazione il cui mistero deve essere commentato, con
l'assemblea (e le sue effettive capacità ed esigenze)
chiamata a partecipare attivamente all'azione sacra.
Concretamente, occorrerà badare se il canto è
in funzione della Messa o di un altro Sacramento; in occasione
di una Domenica "per annum" di una Domenica di
Quaresima o di Pasqua, oppure di una festa, della Madonna
o dei Santi; se si tratta di un "alleluia" o di
un "Gloria", oppure di un "salmo responsoriale"
o di un canto "di comunione"; se l'assemblea è
composta prevalentemente da fanciulli, oppure da persone
della terza età o da un'ordinaria comunità
parrocchiale; ecc. Per nostra buona fortuna, in questi ultimi
tempi abbiamo assistito a una vera e propria fioritura di
"repertori" nazionali, regionali, interdiocesani,
ecc.: dobbiamo riconoscere che essi favoriscono e guidano
il lavoro orientato a discernere, nelle concrete circostanze,
il brano musicale o il canto adatto; senza considerare che
essi hanno il merito di creare quel minimo-comune-denominatore
tra i canti usati in più parrocchie, creando un livello
comune in diocesi o in regione; è un'opera organizzativa
che, a nostro modesto parere, va al di là dell'offerta
di un sussidio-testo, assumendo il ruolo di guida competente,
vocale e strumentale, che, con parole e melodia, promuove
la partecipazione con il canto alla celebrazione.
Va da sé che l'affrontare questo capitolo di pastorale
liturgica significa anche aprire il discorso circa una regìa
della musica nella liturgia, così che si possa sempre
meglio comprendere il motivo per cui si fa della musica
nella liturgia e il significato della musica e del canto
nelle celebrazioni liturgiche; una regìa che metta
in rilievo l'espressione gioiosa della preghiera liturgica
di una comunità gerarchicamente organizzata e comunitariamente
compaginata, di una Chiesa che fa festa perché, attendendo
la "beata speranza", pregusta il dono della salvezza
offerta dal suo Signore.
E di pari passo, questo problema si dipana insieme con lo
sforzo di risolvere il delicato nodo della progressiva educazione
dell'assemblea a partecipare con il canto alla liturgia:
popolo, schola, cantore, salmista, animatore dell'assemblea,
organista o strumentista rappresentano i principali ruoli
che si attuano nella celebrazione liturgica; e tutti questi
riescono a fare unità grazie alla funzione presidenziale
del sacerdote nell'assemblea stessa.
Infatti:
- il primo animatore di assemblea è il presidente
che occupa un posto particolare nell'assemblea (MS 14).
MUSICA E CANTO NELL'AZIONE LITURGICA
I parroci, i direttori di coro, gli organisti, gli animatori
liturgico-musicali, i laici, le religiose, i religiosi...
hanno il compito di preparare con senso di responsabilità
ogni esecuzione musicale e canora nella celebrazione liturgica.
Questa preparazione richiede sacrifici - soprattutto da
parte del coro che si accolla il gravoso impegno delle prove,
programmate con metodo e regolarità - pur sostenuti
da una vera passione per il canto e la liturgia.
Vorrei proporre alcune indicazioni destinate al ruolo del
coro, per renderlo sempre più aderente alla natura
e al senso delle celebrazioni liturgiche.
Dopo il Concilio Vaticano Il molto è stato fatto
per aggiornare, sensibilizzare e promuovere la musica sacra,
e sempre meglio è emerso il ruolo ministeriale del
"coro liturgico"; è a servizio delle celebrazioni
ed è sostegno e guida del canto dell'assemblea. Il
coro liturgico si è affermato ormai come organismo
di animazione liturgica.
Richiamiamo allora alcune idee di fondo che devono guidare
la nostra riflessione in proposito.
l. Il Coro fa parte dell'Assemblea liturgica
L'affermazione dice che:
- l'assemblea dei fedeli risulta dalla convocazione e dalla
riunione ordinata e organica dei fedeli presenti in una
determinata chiesa, intenti al compimento di un'azione liturgica
propriamente detta. L'assemblea è segno e manifestazione
della Chiesa: per questo partecipa alla natura sacramentale
della Chiesa stessa;
- il coro fa parte dell'assemblea: purtroppo, in concreto,
non lo è sempre, soprattutto quando si pensa in termini
di divisione e contrapposizione tra coro e assemblea. In
realtà l'uno e l'altra formano l'unica, santa assemblea
di Dio, il soggetto visibile e integrale di ogni azione
liturgica. Occorre dunque ricordare che il canto dell'assemblea
diventa primario e si costituisce come vero elemento di
solennità. Recita l'istruzione sulla musica Sacra
( 1967): "Non c'è niente di più solenne
e festoso nelle sacre celebrazioni di un'assemblea che tutta
esprime con il canto la sua pietà e la sua fede.
Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che
si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo
questo ordine: a) comprenda prima di tutto le acclamazioni,
le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri ed alle
preghiere litaniche; inoltre la antifone ed i salmi, i versetti
intercalati o ritornelli, gli inni ed i cantici; b) con
un'adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca
gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi
alla piena partecipazione a tutto ciò che gli spetta;
c) si potrà tuttavia affidare alla sola Schola alcuni
canti del popolo, specialmente se i fedeli non sono ancora
sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni
musicali a più voci, purché il popolo non
sia escluso dalle altre parti che gli spettano. Ma non è
da approvarsi l'uso di affidare per intero alla Schola Cantorum
tutte le parti cantate del "Proprio" e dell'"Ordinario",
escludendo completamente il popolo dalla partecipazione
nel canto" (n. 16).
2. Il Coro svolge un vero ministero liturgico
La Costituzione conciliare sulla sacra liturgia precisa
che "tutti i membri del coro svolgono un vero ministero
liturgico" (SC. 29).
A partire da questa convinzione la Chiesa esorta a promuovere
cori e solisti che propongano almeno dei canti semplici
per la partecipazione del popolo, guidino e sostengano opportunamente
i fedeli (Musicam Sacram 21).
Se il coro svolge un prezioso servizio nella liturgia e
se questo servizio corrisponde a un particolare carisma,
allora i responsabili e i membri dei cori sono chiamati
a coltivare in se stessi un autentico spirito liturgico
e ad acquisire una formazione spirituale e rituale idonea.
Educazione e formazione liturgica sono esigenze naturali
anche ad ogni nostra corale parrocchiale. E' molto significativo
che la Chiesa riconosca ai membri di queste corali e alle
loro prestazioni la qualità di un vero ministero
ecclesiale.
3. Il Coro è luogo di cultura
Quest'affermazione contiene la grande verità - documentata
dalla lunga storia delle "cappelle musicali" -
che per molti secoli ha custodito e sviluppato un patrimonio
di inestimabile valore. Ed è opportuno che tale patrimonio
sia fatto conoscere e gustare da tutta l'assemblea liturgica;
per questo il coro è luogo di espressione e di formazione
culturale, dove le opere del passato, le nuove esigenze
e le nuove forme musicali sono studiate e fatte conoscere
al popolo di Dio.
La riforma liturgica - per quanto concerne il settore dell'arte
musicale - ha riaffermato una necessaria gerarchia di valori:
nelle attuali celebrazioni l'arte è al servizio della
liturgia e il talento musicale deve favorire l'assemblea
orante.
In questa luce vanno considerati anche i cosiddetti "concerti
spirituali" che possono essere programmati per preparare
o concludere celebrazioni liturgiche, per caratterizzare
le solennità, le feste e i tempi liturgici, per creare
una cornice adatta alla liturgia della Parola o ad una lettura
di brani biblici o spirituali. In questo modo potrà
essere valorizzato e divulgato il patrimonio musicale della
Chiesa.
IL COMPITO DEL CORO NELLE CELEBRAZIONI
LITURGICHE
Nelle direttive conciliari e in altri documenti e note
esplicative la Chiesa ribadisce la necessità di un
gruppo di cantori che nell'assemblea liturgica siano intermediari
tra i sacri ministri e i fedeli
La riforma liturgica considera il compito del coro come
parte necessaria ed integrante dell'azione cultuale, non
inferiore per dignità a quello degli altri partecipanti
alla celebrazione.
Per aiutare il coro nell'esercizio corretto del suo ruolo,
propongo alcune indicazioni pratiche.
Il Coro è guida e sostegno del canto dell'assemblea
La partecipazione attiva da parte dell'assemblea alla celebrazione
comporta anche una condivisione dei testi, delle parole,
dei gesti e del canto per favorire l'unità dell'assemblea
e la preghiera comunitaria.
In particolare, il coro è chiamato a guidare e a
sostenere questa partecipazione "corale" dell'assemblea.
Il Messale, in Principi e norme, così recita: "Tra
i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico il coro a
cui spetta eseguire a dovere le parti che gli sono proprie,
secondo i vari generi di canto, e favorire la partecipazione
attiva dei fedeli nel canto".
Ne consegue che i membri del coro devono cantare con l'assemblea
e non estraniarsi o, peggio, tacere quando tutti sono invitati
a rispondere, a pregare e a cantare.
Il coro non deve temere di "abbassarsi" o di "contaminarsi"
cantando con l'assemblea (mescolando le sue voci più
belle e più educate con quelle meno formate del popolo):
il coro è chiamato a trascinare e a sostenere il
canto dell'intera assemblea.
Il Coro deve alternarsi col popolo
L'alternanza tra popolo e coro è un metodo efficace
per educare il popolo stesso a cantare bene, coinvolgendolo
anche in canti nuovi e in composizioni meno conosciute.
Quest'alternanza favorisce l'intensa vivacità della
preghiera e diventa significativa espressione del dialogo
liturgico.
Per ottenere questo, ad esempio, sarebbe sufficiente far
eseguire dall'assemblea un ritornello conosciuto e lasciare
al coro l'intervento in canto delle strofe, anche a più
voci.
Il dialogo coro-assemblea non è facile e non si improvvisa,
ma è possibile e richiede che l'assemblea sia educata
a cantare (tramite prove di insieme), soprattutto con la
collaborazione del sacerdote-presidente della celebrazione
e dell'animatore liturgico-musicale.
Il Coro esegue anche da solo alcuni canti
La riforma liturgica, ridando a ciascuno la parte che gli
compete nell'azione cultuale, ha fatto riscoprire anche
il corretto ruolo del coro ed ha affermato la convenienza
che il coro esegua alcuni canti da solo.
I momenti nei quali è permesso l'intervento del solo
coro si possono individuare attraverso l'esame della struttura
dei riti e del tipo di assemblea.
Per questi momenti il parroco e il direttore del coro dovranno
scegliere i canti adatti.
L'Istruzione sulla Musica nella Sacra Liturgia Musicam Sacram
(1967) recita: "I canti che costituiscono l'ordinario
della Messa, se sono cantati su composizioni musicali a
più voci, possono essere eseguiti dal coro nel modo
tradizionale, cioè o "a cappella" o con
accompagnamento, purché, tuttavia, il popolo non
sia totalmente escluso dalla partecipazione al canto"
(34).
Bisognerà talvolta aver il coraggio di sacrificare
anche pagine di valida e buona musica pur di raggiungere
il fine primario della liturgia.
A proposito poi delle parti che il coro può eseguire
da solo, sarà bene persuaderci che durante le celebrazioni
liturgiche è nostro dovere "pregare" e
non eseguire concerti. Ne consegue il dovere da parte dei
pastori e degli organisti di procedere, nella scelta dei
brani, secondo criteri liturgici.
Concludo con l'invito perché il coro trovi dignitosamente
il suo equilibrio nel rispetto delle finalità che
gli sono proprie e perché la scelta dei canti per
le celebrazioni liturgiche si faccia, insieme con il parroco,
lasciandosi guidare dai seguenti criteri di giudizio:
- forma musicale adeguata alla celebrazione e alle reali
possibilità del coro;
- testo teologicamente corretto e collocazione liturgica
esatta.
MUSICA E CANTO NELLA LITURGIA
1. Significato teologico della musica e del canto nell'azione
liturgica
La riflessione teologica riguarda il significato e il valore
della musica e del canto nell'azione liturgica. Ogni celebrazione
è una presenza speciale di Dio e di Gesù Cristo.
E un momento di storia della salvezza. La liturgia è
per sua natura un'azione teologica, è un dono di
Dio, è offerta di salvezza che parte da Dio; solo
dopo, in un secondo momento, diventa risposta dell'uomo.
La Costituzione liturgica conciliare dice: "Giustamente
la liturgia è ritenuta quell'esercizio dell'ufficio
sacerdotale di Gesù Cristo, mediante il quale con
segni sensibili viene significata e, ìn modo proprio
a ciascuno, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene
esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè
dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale.
Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera
di Cristo sacerdotale e del suo Corpo, che è la Chiesa,
è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione
della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo
e allo stesso grado" (S.C. 7): musica e canto sono
parti integranti e necessarie della liturgia, nel più
vasto quadro di quel segno sostanziale che è l'assemblea
liturgica.
Si può ben dire che Gesù Cristo, Capo delle
sue membra, assume e conferisce dignità di segno
e di strumento efficace per la salvezza anche alla musica
e al canto. L'assemblea liturgica si distingue da ogni altro
tipo di umano raggruppamento o di convegno, dove non ci
sono la presenza e l'azione salvifica di Gesù.
Così, musica e canto, mentre entrano nel dinamismo
di un'assemblea liturgica, diventano strumenti ed espressione
della fede, della speranza e dell'amore cristiano che impregnano
spiritualmente i fedeli delle nostre assemblee e li uniscono
al sacrificio e alla lode dì Cristo.
Di qui si comprende non solo la dignità della musica
e del canto nella liturgia, ma anche i criteri che occorre
adottare per valutare un genere di musica che, alla qualità
dell'ispirazione, deve unire un intrinseco rapporto con
l'azione liturgica.
2. Aspetti spirituali della musica e del canto nella
liturgia e formazione dei cantori
I membri del coro parrocchiale hanno bisogno di un'adeguata
formazione musicale; lo esige un dovere quasi professionale
e il senso religioso e sacro dell'azione liturgica, nella
quale i cantori vengono inseriti.
Dobbiamo essere riconoscenti ai direttori, agli organisti
e ai membri dei Cori parrocchiali, pensando al duro lavoro
delle prove, reso più arduo dal fatto che quasi tutti
i nostri cantori sono dilettanti. Da parte mia sono consapevole
che la dignità e la bellezza di certe esecuzioni
sono frutto di molti sacrifici.
La formazione musicale è indispensabile ma insufficiente
per i membri di un coro: è necessario che essa sia
integrata dalla formazione liturgica e da quella spirituale.
Lo indica e quasi lo prescrive l'Istruzione sulla musica
nella Sacra Liturgia: "Oltre alla formazione musicale,
si dia ai membri della Schola Cantorum una formazione liturgica
e spirituale, in modo che dall'esatta esecuzione del loro
ufficio liturgico, derivi non soltanto il decoro dell'azione
sacra e l'edificazione dei fedeli, ma anche un vero bene
spirituale per gli stessi cantori" (Musicam Sacram
24).
L'impegno della formazione liturgica e spirituale dei cantori
costituisce una mèta pastorale del programma diocesano.
Un contributo alla formazione liturgica viene offerto alla
diocesi attraverso la scuola per gli Animatori liturgici
e quella per gli Operatori pastorali.
Per realizzare questa formazione nella vita concreta della
parrocchia è necessario che il coro si senta parte
viva della comunità parrocchiale, che conosca le
iniziative catechistiche destinate ai giovani e agli adulti,
che programmi degli incontri in piena comunione con il parroco,
cui spetta la prima responsabilità della formazione
dei laici e della vita liturgica.
I parroci amino e tengano in dovuta considerazione il coro;
i cori, a loro volta, vivano in comunione con i parroci
e partecipino alle attività formative, sia di ordine
catechistico che di ordine più strettamente spirituale
(giornate di spiritualità, ritiri spirituali, esercizi,
ecc.).
Tra gli effetti benefici che il coro produce nella liturgia
c'è quello dell'unità; l'unità delle
voci, che tocca e investe l'unità dei cuori. Attraverso
la musica e il canto il coro fa sì che tutta l'assemblea
si senta un cuor solo e un'anima sola; crea un'anima comune,
favorisce l'unanimità.
Pensiamo dunque ai cori parrocchiali come a vere scuole
di preghiera, come a strumenti di apostolato della preghiera
liturgica. A questo ci esortano le parole dell'apostolo
Paolo: "Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi
a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando
e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo
continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome
del Signore nostro Gesù Cristo" (Ef 5,18-20).
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
Anche il sacramento della Penitenza è entrato nel
quadro del lavoro generale di revisione della Liturgia (SC
21), dopo che la Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio
Vaticano Il aveva formulato questo voto (SC 72).
La revisione dei riti penitenziali ha seguito
precisi criteri contenuti in diversi pronunciamenti conciliari
(LG 1l; PO 5; SC 109) da cui si può desumere la preoccupazione
di sottolineare che:
- il peccato è, allo stesso tempo, offesa a Dio e
ferita nel corpo della Chiesa;
- nella Penitenza il peccatore si riconcilia con Dio e con
la Chiesa;
- tutta la Chiesa collabora nella conversione e nella riconciliazione
del fratello che ha peccato.
Dalle indicazioni generali sulla riforma liturgica proviene
l'invito a tenere presenti ulteriori elementi:
- l'importanza della Sacra Scrittura e della sua proclamazione
nella celebrazione dei Sacramenti (SC 24,33,35);
- la dimensione comunitaria della liturgia, specialmente
dei Sacramenti (SC 26, 27);
- la preferenza per un rito semplice e sobrio (SC 34) che
nel medesimo tempo abbia una certa nobiltà o dignità,
come pure una certa bellezza.
A questo proposito, di fatto, come veniva praticata fino
a poco tempo fa, nella celebrazione della penitenza non
si conosceva la lettura della Parola di Dio, era andato
svanendo quell'aspetto ecclesiale che l'aveva tanto caratterizzata
nei primi tempi, e il rito era eccessivamente povero; e
la sua ripetizione per lunghe ore da parte dello stesso
"confessore" portava a un ritmo rapido e alla
scomparsa quasi totale della preghiera, del gesto di perdono
mediante l'imposizione della mano, ecc.
Infine, nella revisione dei riti penitenziali, si è
tenuto conto degli orientamenti della teologia attuale che
ha messo in evidenza il ruolo centrale del mistero pasquale
di Cristo, l'azione dello Spirito Santo nella vita della
Chiesa, l'amore e la misericordia del Padre come fonte della
salvezza del mondo.
Penitenza o riconciliazione
Il nome del Sacramento: è molto importante perché
serve a identificarlo, ad esprimerne il contenuto.
Dal nome "confessione" - l'elemento che ha prevalso
nella catechesi e nella prassi pastorale è stato
appunto la confessione dei peccati, soprattutto a motivo
del diffondersi della celebrazione "privata" dei
Sacramento e del progressivo ridursi della penitenza o soddisfazione
e dell'insistenza sul dovere dell'accusa integra - si passa
al nome "penitenza", che significa conversione
o cambiamento profondo di vita (va purificato, quindi, dal
significato di opera afflittiva o di espiazione del peccato).
Appare anche il nome "riconciliazione": (usato
nella Sacra Scrittura per designare il perdono del fratello:
Mt 5, 23-24; l'opera di Dio che riunisce gli uomini tra
di loro: Ef 2, 14-16; e con se stesso per mezzo della croce
di Cristo: Col 1, 20 e Rm 5, 10; termine che si riferisce
anche all'azione ministeriale dell'Apostolo che agisce in
nome di Dio: 2 Cor 5, 18-20) sembra mettere maggiormente
in evidenza l'azione di Dio che riconcilia gli uomini tra
di loro e con se stesso per mezzo di Cristo; o, meglio ancora,
il termine "riconciliazione" esprime il rapporto
bilaterale di incontro vicendevole che è proprio
dei sacramenti cristiani in cui Dio si fa incontro all'uomo
con il suo dono di salvezza per mezzo di Cristo che agisce
nella sua Chiesa, e l'uomo, nella stessa Chiesa e per mezzo
dello stesso Cristo, accoglie in sé nella fede la
salvezza e il dono di Dio.
Per questo, mentre si parla di Ordo paenitentiae, si è
recepito l'uso del termine riconciliazione nei titoli dei
diversi riti in esso contenuti.
Questa piccola innovazione può prestarsi ad una più
felice presentazione catechetica del Sacramento, e anche
a una pastorale che metta maggiormente in evidenza l'aspetto
gioioso dell'incontro con Dio, e non soltanto l'aspetto
negativo (anche se indispensabile) della detestazione della
colpa e della sua espiazione; l'incontro del figlio con
il padre, e non solo il cammino per ritornare a lui.
Il mistero della salvezza
Desumiamo le premesse teologiche e pastorali di questo Sacramento
dai Praenotanda che devono essere considerati (come in ogni
libro liturgico) una vera e propria introduzione teologico-pastorale
ai riti stessi. In essi troviamo la presentazione, in sintesi,
dei punti fermi e acquisiti della dottrina tradizionale
della Chiesa in questo campo:
a) Il Sacramento della Penitenza è posto in una visione
globale del mistero della salvezza (si ricollega alla riconciliazione
dell'uomo con Dio compiuta in Cristo, e che si attua continuamente
nella Chiesa specialmente nel Battesimo e nell'Eucaristia:
nn. 1, 2).
b) Il Sacramento della Penitenza viene descritto a partire
dalla Chiesa e dal suo incessante sforzo di purificarsi
e di rinnovarsi. Il peccatore che "ritorna" alla
vita divina e alla piena comunione con la Chiesa, viene
inserito nello sforzo di continua conversione e sempre più
completa attuazione della grazia battesimale che costituisce
uno degli atteggiamenti fondamentali della Chiesa di Cristo:
nn. 3, 4.
c) Gli elementi costitutivi del Sacramento della Penitenza
sono presentati secondo l'insegnamento tradizionale della
Chiesa: pentimento, accusa, riparazione, assoluzione: n.
6.
d) Si distingue chiaramente il caso in cui la celebrazione
del Sacramento della penitenza è necessaria (per
colpe "gravi" o "mortali") e l'uso facoltativo
di questo Sacramento altamente raccomandato per fomentare
l'impegno di continua conversione della Chiesa. Questo Sacramento
è la continua celebrazione della vittoria di Cristo
sul peccato e un canto di lode alla potenza e misericordia
di Dio che continuamente purifica il suo popolo e lo rinnova
con la grazia del suo perdono.
Di grande importanza sono le norme circa l'adattamento della
liturgia penitenziale: esso non è soltanto una possibilità
ma un preciso dovere dei pastori (il Vescovo è "moderator
disciplinae paenitentialis": LG 26) e delle loro comunità
(esse, con i loro presbiteri, sono invitate a trovare di
volta in volta i momenti e i modi concreti più opportuni
per la celebrazione della Penitenza nelle sue varie forme,
salva sempre la struttura fondamentale dei riti e la formula
di assoluzione, secondo le none delle Conferenze episcopali:
nn. 38-40).
STRUTTURA DEL RITO DELLA PENITENZA
Come tutti gli altri sacramenti e tutte le altre celebrazioni
liturgiche, anche il Sacramento della Penitenza è
una vera celebrazione e comporta un certo rito esteriore,
la cui struttura fondamentale può essere così
descritta:
l. Riti iniziali di accoglienza
Dovrebbero essere particolarmente espressivi, dal momento
che fanno diretto riferimento a numerosi e significativi
testi evangelici (accoglienza del figlio prodigo da parte
del padre: Lc 15, 11-32 - specialmente 20-24; atteggiamento
di Gesù nei confronti di Zaccheo: Lc 19, 1-10, della
peccatrice in casa di Simone fariseo: Lc 7, 36-50, del paralitico:
Lc 5, 17-26, di Levi: Lc 5, 27-32, della samaritana: Gv
4, 1-42, dell'adultera: Gv 8, 1-11, degli stessi Dodici:
Gv 21).
La libertà di gesti e di testi suggerita, costituisce
un invito a dare a questo momento celebrativo l'importanza
che esige, cosicché l'assemblea o il singolo penitente
siano introdotti nell'atmosfera dell'ineffabile divina accoglienza
per ogni figlio che si converte e torna al Padre. Il clima
di gioia dovrebbe sottolineare la certezza del perdono del
padre e la riammissione alla sua mensa con i fratelli.
2. Celebrazione della Parola di Dio
Anche questo momento è caratterizzato da una grande
libertà sia nella scelta delle letture sia nell'impostazione
celebrativa. Il Lezionario che accompagna l'Ordo, pertanto,
ha puramente carattere indicativo. D'altra parte, gli aspetti
teologici principali della Riconciliazione possono guidare
nella scelta delle letture, al di fuori del lezionario indicato.
In particolare, desideriamo ricordare che in una celebrazione
comunitaria non dovrebbe mai mancare l'omelia che attualizzi
per la comunità concreta la parola proclamata. La
medesima cosa va detta anche per il silenzio, in cui ciascuno
confronta con la Parola il proprio modo di camminare davanti
al Signore e nella comunità.
3. Rito della Riconciliazione
Si presenta diviso in tre parti:
a) Confessione generale dei peccati - Prece litanica - Padre
nostro.
La confessione generale è un elemento rituale da
non sottovalutare: è il gesto di risposta della comunità
che ha ascoltato la parola e vi si è confrontata
(ricorda la grande liturgia di espiazione di Ne 9, 1-3 che
fa seguito alla lettura della Torah: Ne 8).
La prece litanica opportunamente potrebbe essere sostituita
da una "confessione" delle "misericordie"
di Dio nella storia (cfr. Ne 9, 4-37), che verrebbe conclusa
assai bene dalla recita comune della più grande preghiera
comune cristiana: il Padre Nostro, preghiera possibile solo
nello Spirito che grida nel cuore dei credenti (Gal 4, 6)
o che fa gridare (Rm 8,15): "Abbà", Padre!
(cfr. Lc 10,21; 11,13). In questa prospettiva il Padre nostro
può essere considerato soprattutto come preghiera
battesimale, eucaristica ed escatologica, preghiera ecclesiale
di Riconciliazione.
b) Formula di assoluzione.
E composta di due parti: la prima parte (di carattere ottativo)
è redatta alla terza persona con soggetto Dio, la
seconda parte (di carattere imperativo) è invece
alla prima persona con soggetto Io (= il ministro). Il tono
della formula è dunque chiaramente giudiziale.
Quanto al contenuto teologico: la prima parte costituisce
un progresso notevole per la sua impostazione economico-trinitaria.
Al Padre è attribuita l'iniziativa degli interventi
misericordiosi nella storia (Padre delle misericordie: cfr.
2 Cor 1, 3) culminanti nella Morte e Risurrezione del Figlio,
mediante il quale ha riconciliato a sé il mondo (cfr.
Rm 5, 20; 2 Cor 5, 17-19) ed ha effuso lo Spirito santo
per la remissione dei peccati (cfr. At 2, 38; Gv 20, 23).
In questa parte viene anche richiamato l'aspetto ecclesiale
del Sacramento che viene espresso in modo più ampio
dal fatto dell'assemblea radunata intorno al ministro nella
sua specifica funzione di segno visibile di Cristo Capo
del Corpo, dal comune "ascolto" della parola,
dalla comune intercessione.
La seconda parte riprende la formula del Rituale precedente.
c) Imposizione delle mani.
Questo gesto, ridotto a ben poco nel precedente rituale,
viene ristabilito in tutta la sua possibilità espressiva
perché accompagna una formula che ne esprime il senso:
"Dio, Padre... ha effuso lo Spirito santo per la remissione
dei peccati
"
Per il significato del gesto, si rimanda al senso dell'imposizione
delle mani nell'Antico e nel Nuovo Testamento, nelle liturgie
orientali e occidentali, e in particolare nei riti sacramentali
(Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Ordinazione, Riconciliazione):
si rimanda perciò ai manuali di storia liturgica
o alle voci dei grandi dizionari.
Il rito viene così descritto: "Il sacerdote
tenendo stese le mani (o almeno la mano destra) sul capo
del penitente, dice ... ". La prima conseguenza immediata,
dal punto di vista celebrativo, è che questo gesto
deve essere pienamente percepibile da parte del penitente.
La percezione è facilitata dalla catechesi tesa a
presentare questo gesto che ottimamente viene commentato
dalle parole da cui viene accompagnato.
L'essenziale è che questo gesto (come ogni altro)
sia, per quanto possibile, pienamente e chiaramente espressivo
della realtà salvifica celebrata; nel nostro caso:
la comunicazione del Dono divino della vita nuova in Cristo,
attraverso la Riconciliazione nella sua Morte e Risurrezione
con il Padre e con i fratelli: lo Spirito del Kyrios.
d) Riti conclusivi: proclamazione della lode per la misericordia
di Dio - Congedo
Il canto di lode dopo l'esperienza del dono divino della
Riconciliazione è una conclusione del tutto naturale:
ricorda un tipico ritornello di Luca, l'evangelista della
misericordia e della lode divina: dai cantici dei due primi
capitoli (in particolare: Lc 1, 46-56), alla lode gioiosa
per i "segni" operati da Gesù (il paralitico:
Lc 5, 25; la donna curva: 13, 17; la pecorella smarrita:
15, 5-7; il lebbroso: 17, 16; il cieco di Gerico: 18, 43;
Zaccheo: 19, 6; lo storpio alla porta del tempio: At 3,
8s), alla vita della comunità, ormai formata per
l'azione dello Spirito effuso dal Padre mediante il Signore
Risorto (At 2, 46-47), che "spezza il pane" e
si ciba con gioia e semplicità di cuore lodando Dio.
Il motivo della gioia, che proviene dalla Riconciliazione,
è infatti eucaristico-escatologico: si è riammessi
al Convito del Padre.
La comunità così si congeda permanendo però
nella comunione con il suo Signore e con i fratelli (Gv
15, 9-17).
CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA
Pubblichiamo il contenuto della scheda che i fedeli possono
usare per le confessioni nella Basilica di San Babila, avvertendo
che essa propone brani della Sacra Scrittura, preghiere
e suggerimenti scelti dal Rito della Penitenza.
Lettura della Parola di Dio
Il fedele si dispone a fare l'esame di coscienza leggendo
qualche testo della sacra Scrittura, in cui si parla della
misericordia di Dio e viene rivolto all'uomo l'invito a
convertirsi:
Mt 6, 14-15
Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe,
il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli uomini,
neppure il Padre vostro
perdonerà le vostre colpe.
Mc 1, 14-15
Dopo che Giovanni fu arrestato,
Gesù si recò nella Galilea
predicando il vangelo di Dio e diceva:
"Il tempo è compiuto
e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete al vangelo".
Rm 5, 8-9
Dio dimostra il suo amore verso di noi
perché, mentre eravamo ancora peccatori,
Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora,
giustificati per il suo sangue,
saremo salvati dall'ira per mezzo di lui.
Ef 5, 1-2
Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi,
e camminate nella carità,
nel modo che anche Cristo vi ha amato
e ha dato se stesso per noi,
offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
Col 1, 12-14
Ringraziamo con gioia il Padre
che ci ha messi in grado di partecipare
alla sorte dei santi nella luce.
È lui infatti che ci ha liberati
dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti
nel regno del suo Figlio diletto,
per opera del quale abbiamo la redenzione,
la remissione dei peccati.
Confessione dei peccati e accettazione della soddisfazione
Quando il penitente si presenta per fare la sua confessione,
il sacerdote lo accoglie con bontà e lo saluta con
parole cordiali.
Quindi il penitente, insieme con il sacerdote, si fa il
segno della croce, dicendo:
Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo. Amen.
Il Sacerdote invita il penitente alla fiducia in Dio, con
queste parole o altre simili:
Il Signore,
che illumina con la fede i nostri cuori,
ti dia una vera conoscenza dei tuoi peccati
e della sua misericordia.
Il penitente risponde:
Amen.
Oppure:
Ti accolga con bontà il Signore Gesù,
che è venuto per chiamare e salvare i peccatori.
Confida in lui.
Il penitente risponde:
Amen.
Il sacerdote aiuta il penitente a fare una confessione
integra, gli rivolge consigli adatti e lo esorta alla contrizione
dei suoi peccati, ricordandogli che per mezzo del sacramento
della Penitenza il cristiano muore e risorge con Cristo,
e viene così rinnovato nel mistero pasquale.
Gli impone quindi un esercizio penitenziale, e il penitente
l'accetta in soddisfazione dei suoi peccati e per l'emendamento
della sua vita.
Preghiera del Penitente e Assoluzione
Il sacerdote invita il penitente a manifestare la sua contrizione:
e il penitente recita l'atto di dolore o qualche altra formula
simile, per esempio:
Mio Dio, mi pento e mi dolgo
con tutto il cuore dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i tuoi castighi,
e molto più perché ho offeso te,
infinitamente buono
e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo col tuo santo aiuto
di non offenderti mai più
e di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Signore, misericordia, perdonami.
Oppure:
Pietà di me, o Signore,
secondo la tua misericordia;
non guardare ai miei peccati
e cancella tutte le mie colpe;
e rinnova in me
uno spirito di fortezza e di santità.
Oppure:
Signore Gesù, Figlio di Dio,
abbi pietà di me peccatore.
Il sacerdote tenendo stese le mani (o almeno la mano destra)
sul capo del penitente, dice:
Dio, Padre di misericordia,
che ha riconciliato a sé il mondo
nella morte e risurrezione del suo Figlio,
e ha effuso lo Spirito Santo
per la remissione dei peccati,
ti conceda, mediante il ministero della Chiesa,
il perdono e la pace.
E io ti assolvo dai tuoi peccati
nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo.
Il penitente risponde:
Amen.
Rendimento di grazie e congedo del Penitente
Dopo l'assoluzione il sacerdote prosegue:
Lodiamo il Signore perché è buono.
Il penitente conclude:
Eterna è la sua misericordia.
Quindi il sacerdote congeda il penitente riconciliato,
dicendo:
Il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va' in pace.
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
Presentiamo alcune note pastorali desunte da "Cantemus
Domino" - Libro per la preghiera e il canto delle comunità
ambrosiane, Milano 1992 - utili alla fruttuosa celebrazione
del sacramento della Penitenza.
Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono
dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte
a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale
hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla
loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera
(Lumen Gentium, 11).
La conversione e il perdono dei peccati
Ogni uomo fa l'esperienza del peccato. Anche se tenta di
nascondere la presenza del male e di giustificare le sue
azioni, avverte il peso delle mancanze.
La Bibbia mostra che il peccato è presente nella
storia umana fin dalle origini. Rivela, però, il
progetto di Dio sull'uomo peccatore. Dio non priva le sue
creature del dono della libertà anche quando vogliono
allontanarsi da lui, ma neppure le abbandona. Egli è
ricco di misericordia (Ef 2, 5), il suo amore resta sempre
fedele: "Convertitevi a me - dice il Signore - e io
mi convertirò a voi" (Zc 1, 3).
Il Vangelo annunzia il compimento di questo progetto di
salvezza. Gesù dà inizio alla sua predicazione
con l'invito: "Convertitevi e credete al vangelo"
(Mc: 1, 5). La "buona notizia evangelica" è
il regno di Dio, l'alleanza tra Dio e l'umanità.
Con la vita e il sacrificio in croce di Gesù Cristo
si compie il piano della misericordia divina. "È
stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in
Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe" (2
Cor 5, 19).
Perciò il cammino di conversione, che dà la
speranza al peccatore, conduce a Cristo crocifisso e risorto,
"l'Agnello che toglie il peccato del mondo" (Gv
1, 29).
Egli ha vinto per noi il peccato. L'umanità potrà
sempre esultare di questa vittoria, poiché il Signore
risorto ci ha donato lo Spirito Santo "per la remissione
dei peccati" (Gv 20, 23) e ha affidato agli apostoli,
come testimoni della sua risurrezione, la missione di predicare
"a tutte le genti la conversione e la remissione dei
peccati" (Lc 24, 47).
La celebrazione della Penitenza
La Chiesa, che continua la missione degli apostoli, non
ha mai tralasciato di "chiamare gli uomini dal peccato
alla conversione e di manifestare, con la celebrazione della
Penitenza, la vittoria di Cristo sul peccato" (Rito
della Penitenza, 1).
Il Battesimo fa risplendere questa vittoria chiamando l'uomo
dalle tenebre del peccato alla luce mirabile della grazia,
ossia della partecipazione alla vita divina. Rigenerato
in Cristo, l'uomo entra a far parte del suo Corpo Mistico,
la Chiesa: appartiene al popolo santo di Dio.
La Penitenza richiama l'uomo, caduto in peccato dopo il
Battesimo, all'amore misericordioso di Dio. E ancora Dio
che suscita nel cristiano, che ha perso la piena comunione
con Cristo e la sua Chiesa, il desiderio del perdono. Per
lui, in modo particolare, la Riconciliazione è un
ritorno: "ritorno al Padre, che per primi ci ha amati,
al Figlio che per noi ha dato se stesso, e allo Spirito
Santo, che in abbondanza è stato effuso su di noi"
(Rito della Penitenza, 5).
Perciò il cammino di conversione porta il battezzato
ad assumere un serio atteggiamento penitenziale: con il
peccato egli ha tradito l'amore di Cristo e ha inflitto
una ferita alla Chiesa.
E la Chiesa, a immagine di Dio misericordioso, accompagna
e sostiene il penitente con la preghiera, la carità,
le iniziative di bene, le sofferenze e gli atti meritori
dei suoi figli, e soprattutto con l'Eucaristia che è
"sacrificio di riconciliazione", al quale è
finalizzato, come tutti i sacramenti, il sacramento della
penitenza.
La liturgia di questo sacramento mostra che la mediazione
della Chiesa non è data soltanto dalla presenza del
suo ministro, il sacerdote che ascolta la confessione dei
peccati e impartisce l'assoluzione, ma comporta la partecipazione
di tutto il popolo di Dio che celebra la vittoria di Cristo
sul peccato e il dono dello Spirito di santità.
La celebrazione del sacramento della Penitenza può
essere individuale o comunitaria.
La celebrazione individuale pone in maggior rilievo l'impegno
personale di incontrare Cristo giudice e salvatore.
La celebrazione comunitaria valorizza di più il carattere
ecclesiale della Riconciliazione.
Ciascuna delle due forme, quella individuale e quella comunitaria,
prevede la lettura della Parola di Dio.
Per celebrare bene la Penitenza
La confessione suppone nel penitente la volontà di
aprire il cuore al ministro di Dio. Perché sia un
segno vivo della Riconciliazione del cristiano con Dio e
con la Chiesa, l'accusa dei peccati deve dar luogo a un
vero colloquio spirituale.
Il primo momento di un buon colloquio penitenziale è
la "confessione di lode". In preghiera davanti
a Dio e alla Chiesa, prima di confessare le colpe al sacerdote,
riconosciamo i doni che Dio ci ha dato. Siamo così
invitati a ringraziare, a considerare noi stessi sullo sfondo
dell'amore di Dio; perché il peccato non è
semplicemente in rapporto con una legge astratta, ma è
storia del dialogo con Dio, che parte dal bene che lui ci
vuole. Allora risalterà maggiormente o la corrispondenza
o l'ingratitudine verso i suoi doni, in condizione non di
ansia, ma di distensione interiore.
Il secondo momento è la "Confessione della vita",
davanti al ministro della Chiesa, vivificata da una domanda
fondamentale:
"che cosa, dall'ultima confessione, soprattutto mi
pesa? Che cosa vorrei che non ci fosse stato nella mia vita,
che vorrei non aver commesso e mi causa disagio e amarezza?".
Così l'accusa dei peccati riuscirà sincera
e spontanea, senza aspettare che il sacerdote faccia domande.
Il colloquio penitenziale è una vera "confessio
vitae" se soddisfa al bisogno di manifestare le colpe
più gravi, ed aiuta a togliere il male alla radice
ricercandone le cause profonde e a indirizzare sulla strada
della conversione nella fedeltà alle promesse battesimali.
Il colloquio diventa perciò una "Confessione
di fede". Infatti, se ci accostiamo al sacramento della
Penitenza è perché Dio faccia ciò che
noi non siamo capaci di fare.
È la Pasqua di Gesù che ci raggiunge in questo
sacramento: la stessa Pasqua che come forza unitiva e formatrice
della carità ci raggiunge nell'Eucaristia.
Il sacerdote ricorda che per mezzo del sacramento della
penitenza il cristiano muore al peccato e risorge a vita
nuova con Cristo.
Il penitente accoglie con fiducia questo invito alla conversione;
accetta la proposta di "Penitenza" o soddisfazione,
in riparazione dei peccati e per l'emendamento della vita;
manifesta il pentimento con una preghiera, e riceve l'assoluzione.
Il perdono dei peccati
I fedeli che celebrano il Sacramento della Penitenza o Riconciliazione
ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese
fatte a Lui e nello stesso tempo si riconciliano con la
Chiesa che, ferita dal peccato, coopera alla conversione
del peccatore tramite la carità, l'esempio e la preghiera.
La consapevolezza di essere peccatori porta alla conversione
e alla richiesta del perdono.
La storia ci insegna che ogni uomo fa l'esperienza del peccato:
anche noi ben sappiamo come la Bibbia mostri che il peccato
è presente nella storia umana fin dalle origini.
Nel contempo, però, la Sacra Scrittura rivela il
progetto dì Dio sull'uomo peccatore: Dio non priva
le sue creature del dono della libertà, ma neppure
le abbandona, anzi il suo amore resta sempre fedele e nel
dialogo con l'uomo manifesta sempre la ricchezza della sua
misericordia.
Nel Vangelo addirittura leggiamo che Gesù dà
inizio alla sua predicazione con la 'buona notizia' dell'alleanza
tra Dio e l'umanità, del Regno di Dio, rivolgendo
a tutti l'invito: 'Convertitevi e credete al Vangelo'.
Con il sacrificio della Croce il Signore Gesù porta
a compimento il piano della misericordia divina: Dio riconcilia
il mondo in Cristo.
Di conseguenza il cammino di conversione, che dà
speranza e fiducia al peccatore, conduce a Cristo crocifisso
e risorto, l'"Agnello che toglie il peccato dal mondo"
(Gv 1,29).
L'umanità potrà sempre esultare per questa
vittoria di Cristo sul peccato; infatti, il Signore risorto
ci ha dato lo Spirito Santo "per la remissione dei
peccati" (Gv 20,23), affidando agli Apostoli la missione
di "predicare a tutte le genti la conversione e la
remissione dei peccati" (Lc 24,47).
La celebrazione della Penitenza
La Chiesa, continuando la missione degli Apostoli, non ha
mai tralasciato di manifestare, con la celebrazione della
Penitenza o Riconciliazione, la vittoria di Cristo sul peccato.
Una vittoria che la Chiesa celebra, in prima istanza, nel
Battesimo, che chiama l'uomo dalle tenebre del peccato alla
luce della grazia: l'uomo, rigenerato in Cristo, entra a
far parte del suo Corpo mistico, la Chiesa, e appartiene
al popolo di Dio.
In seconda istanza, la Chiesa celebra la vittoria di Cristo
sul peccato tramite la Penitenza che richiama l'uomo caduto
nel peccato dopo il Battesimo all'amore misericordioso di
Dio. Per il peccatore la Riconciliazione, quindi, è
un ritorno al Padre, che per primo ci ha amati, al Figlio,
che per noi ha dato se stesso, e allo Spirito Santo, che
in abbondanza è stato effuso su di noi.
La Chiesa accompagna il penitente nel cammino di conversione
a Dio con la preghiera, la carità, le sofferenze,
gli atti meritori dei suoi figli e, soprattutto, con l'Eucaristia,
sacrificio di riconciliazione.
E questa mediazione della Chiesa viene espressa nel sacramento
della Penitenza dalla presenza del sacerdote e comporta
la partecipazione di tutto il popolo di Dio che celebra
la vittoria di Cristo sul peccato e il dono dello Spirito
Santo.
In questo contesto ecclesiale, la partecipazione personale
alla celebrazione del sacramento della Penitenza viene opportunamente
orientata secondo progressivi atteggiamenti spirituali che
consentono di fare una 'buona confessione'.
Il penitente inizierà col fare la 'confessio laudis':
con l'aiuto di qualche pagina biblica, si dispone a riconoscere,
nella verità di Dio, i doni da Lui ricevuti e per
questi lo ringrazia e lo loda.
Passerà quindi alla 'confessio vitae' mettendo davanti
a Dio quanto vorrebbe non ci fosse, le situazioni che pesano
sul cuore perché si è riscontrata una certa
fatica nell'amare, nel perdonare, nel servire gli altri:
un esercizio che si può compiere confrontando la
vita con i comandamenti o altri schemi concreti.
Infine si disporrà a ricevere il perdono di Dio con
la 'confessio fídei': conosciuti i propri peccati
alla luce del Vangelo, il penitente li enumererà
non tanto come una lista di colpe, ma come espressione di
ciò che non vorrebbe fosse in lui.
Dopo i consigli rivoltigli dal sacerdote e accettato l'esercizio
penitenziale da lui imposto per l'emendamento della sua
vita, il penitente manifesterà la sua contrizione
recitando l'atto di dolore o un'altra formula simile e riceverà
l'assoluzione da parte del sacerdote.
La celebrazione del sacramento della Riconciliazione opportunamente
si concluderà con un sincero ringraziamento al Signore
perché ancora una volta ha compiuto meraviglie per
noi, soffermandosi in preghiera, spontanea o guidata da
un salmo o da un altro testo proposto dalla Chiesa.
L'INDULGENZA
L'Anno Santo ha abituato i fedeli a confrontarsi con la
realtà dell'indulgenza, legata al cammino di conversione
giubilare.
Non sempre, tuttavia, essa è bene conosciuta e vissuta.
A questo proposito, dunque, ci sembra indispensabile un
chiarimento.
Per rettamente comprendere la realtà delle indulgenze,
occorre rifarsi a due capisaldi teologici: la dottrina cattolica
della Comunione dei Santi e la disciplina penitenziale della
Chiesa.
Il fraintendimento di questa dottrina ha purtroppo causato,
nella storia della Chiesa, abusi anche gravi e dolorose
divisioni.
Fin dall'antichità è sempre stata vissuta
dai discepoli di Cristo una fraterna ed amorosa solidarietà
spirituale nei confronti dei peccatori, come pure dei defunti
ancora bisognosi di purificazione.
Inoltre la potestà suprema del successore di Pietro
è sempre stata vista come estesa anche al cosiddetto
"tesoro della Chiesa", da intendersi non già
in un senso ingenuamente materiale, ma piuttosto come l'immenso
valore che presso Dio hanno i meriti di Cristo morto e risorto,
unico Redentore, cui si vengono ad associare anche le preghiere
e le buone opere della Vergine Maria e di tutti i Santi,
uniti al Signore nel mistero pasquale.
In simile orizzonte si deve collocare l'indulgenza, che
viene così definita: "la remissione davanti
a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi
quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto,
e a determinate condizioni, acquista per intervento della
Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa
ed applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni
di Cristo e dei Santi" (Cdc, can. 992).
Quando l'indulgenza consiste nella remissione dell'intera
pena temporale dovuta per i peccati si dice plenaria; si
dice parziale negli altri casi.
Ogni indulgenza può sempre essere applicata a suffragio
dei defunti. Non invece a vantaggio di altre persone ancora
in vita. L'indulgenza plenaria si può avere una sola
volta al giorno (fa eccezione quella in articulo mortis);
la parziale anche più volte nello stesso giorno,
in assenza di contraria determinazione. Per l'acquisto dell'indulgenza
si richiede da parte del fedele (battezzato e non scomunicato):
a) l'amore di Dio e la detestazione del peccato, anche di
quello veniale;
b) il compimento della pratica indulgenziata prescritta
(es.: visita al cimitero, ad un santuario o ad altra chiesa
indicata, ecc., a seconda dei casi);
c) la confessione sacramentale;
d) la comunione eucaristica;
e) la preghiera secondo le intenzioni del Papa (bastano
il Pater e l'Ave).
Alle tre ultime condizioni indicate (confessione, comunione,
preghiera secondo le intenzioni del Papa) il fedele può
assolvere anche alcuni giorni prima o dopo il momento della
pratica indulgenziata; è però buona cosa che
si collochino nello stesso giorno. Mentre con una sola confessione
sacramentale possono acquistarsi più indulgenze plenarie
(ad es. durante l'ottava dei defunti), con una sola comunione
ed una sola preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice
non si acquista che un'unica indulgenza plenaria. Quando
l'indulgenza è collegata con una determinata festa,
essa inizia di norma già alle ore 12 del giorno precedente
(es.: dal mezzogiorno del 1 agosto); quando è collegata
ad un determinato luogo di culto (da piamente visitarsi),
occorre che il fedele reciti in esso il Pater e il Credo.
È ormai caduta, in riferimento alle indulgenze parziali,
ogni determinazione quantitativa di giorni o anni anticamente
collegata a un effettivo periodo di tempo, nel quale al
penitente era assegnata una determinata pratica penitenziale,
che veniva, con l'indulgenza, progressivamente ridotta o
totalmente condonata.
VIVERE LA LITURGIA
Molte volte sentiamo ripetere che non è sufficiente
porre in atto un 'rito' (fatto di gesti, di parole, di silenzi...)
per compiere un atto di culto a Dio: ci viene richiesto,
infatti, di passare dal 'rito' alla 'celebrazione' che,
a sua volta, domanda l'adesione di fede a ciò che
si sta compiendo, nella consapevolezza di vivere in clima
di festa, come Chiesa, un momento speciale della storia
della salvezza. Di norma, poi, abbiamo avvertito l'esigenza
di tradurre nella 'vita' concreta quanto nella celebrazione
ci viene chiesto e ci viene donato, proprio perché
nella quotidianità abbiamo la verifica di un culto
al Signore davvero autentico.
Comprendere la liturgia
Ci domandiamo: per noi - che siamo battezzati e normalmente
frequentiamo la Messa domenicale - quel susseguirsi di parole
e di gesti, che vengono ripetuti continuamente, ha significato?
E quale?
Ci avvediamo che la liturgia nasconde più ricchezze
di quelle che spesso ci dà da vedere, da intendere,
da vivere; incominciamo a scoprire che l'azione liturgica
domanda ai partecipanti un vero interesse, supportato dalla
fede.
Soprattutto chiede che non ci si metta di fronte ad essa
esercitando soltanto la nostra facoltà intellettiva:
ci lasciamo coinvolgere dalla liturgia non solo, ma ci lasciamo
'afferrare' da essa, indicando con questo verbo tutta la
profonda emozione nell'essere rapito, anima e corpo, meglio,
per dire che anche il cuore e la simpatia hanno un ruolo
importante nell'azione liturgica (dove il Signore è
il protagonista) come in ogni attività umana.
E dal momento che la liturgia designa soprattutto l'atto
della celebrazione, si chiede di comprendere come essa sia
strutturata, per essere afferrati da ciò che essa
propone (offre e dona).
Quale comprensione?
Quale tipo di comprensione ci viene richiesta nell'ambito
della liturgia?
Per molti i testi e i riti sono pressoché incomprensibili...;
del resto, la liturgia non pretende che si comprenda tutto
appena lo si ascolta o lo si vede!
Mi pare che essa ci chieda quell'atteggiamento interiore
grazie al quale noi la lasciamo parlare e l'ascoltiamo con
simpatia. Come si fa con le opere d'arte: tutto il nostro
essere è messo in allerta così che si crea
una dinamica che suscita la voglia di aprirci al dialogo
e di arricchirci dei doni che in esse ci vengono dischiusi.
Allora le difficoltà attribuite al linguaggio liturgico
vengono a cadere e i simboli liturgici ci raggiungono con
efficacia perché li viviamo dal di dentro, vitalmente
inseriti nella celebrazione liturgica.
Liturgia, attività ludica
La liturgia è un'attività globale, simbolica,
ludica. Bisogna conoscerla per potersi avventurare in una
realizzazione, fatta con flessibilità, in cui si
attua una sinergia umano-divina; un'occasione dunque per
ritrovarsi, per scambiarsi e condividere progetti, per tessere
legami di amicizia e di ecclesialità.
La liturgia attua un rapporto tra esteriorità e interiorità,
così che quanto si compie viene a coinvolgere il
nostro spirito. E come dire che nella celebrazione bisogna
lasciarsi prendere da un'azione fatta di parole e di gesti
destinati a trasformare le nostre idee e tutta la nostra
vita.
L'idea si legge già in Sant'Ambrogio che, descrivendo
il mistero eucaristico, rileva: "E tu dici: "Amen",
ossia "è vero". La mente nel suo intimo
riconosce ciò che dice la bocca: provi il sentimento
dell'anima ciò che esprime la parola" (I misteri,
IX, 53).
RIFLESSIONI SULLA DOMENICA
Presentiamo la sintesi del commento di don Lorenzo Cattaneo
alla lettera apostolica "Dies Domini".
La domenica è:
o Giorno della Risurrezione e giorno del Signore; i due
aspetti sono intimamente legati perché solo con la
Risurrezione Gesù, che prima era Maestro, Rabbì,
diventa il Kyrios, il Signore del mondo. Il giorno del Signore
non è solo ricordo dell'evento della Risurrezione,
ma anche esperienza attuale della presenza del Risorto in
mezzo ai cristiani radunati per l'Eucaristia e profezia
del giorno futuro in cui la signorìa del Cristo si
estenderà su tutto l'universo.
o Giorno del Sole: nel giorno dopo il sabato, nell'ambiente
ellenico-romano, sotto l'influsso di certi culti orientali,
era diventato molto diffuso il culto del sole. I Padri della
Chiesa diedero un significato cristiano a questo culto:
Gesù è il vero sole che non tramonta mai (l'espressione
"dies solis" ha lasciato una traccia nel termine
tedesco "Sonntag" e in quello inglese "Sunday").
o Primo giorno della creazione e giorno della nuova creazione
(cominciata con la Risurrezione di Gesù), giorno
cioè in cui è stata compiuta sia la creazione
materiale sia la creazione soprannaturale.
Elementi che rendono problematica la celebrazione del giorno
del Signore
Oggi viviamo in una società pluralista che modifica
i comportamenti collettivi e introduce nuovi ritmi di vita
non più dettati da motivazioni cristiane. Il ritmo
settimanale della Chiesa rischia di essere messo in crisi
dalla possibilità, non troppo remota, di modificare
il carattere festivo attuale della domenica, e dalla diffusione
della pratica dei week-end, in cui la domenica viene inglobata;
il week-end introduce due elementi di novità rispetto
al tradizionale modo di celebrare la domenica:
1) assume prevalentemente un significato di svago e di evasione
rispetto al ritmo frenetico dei giorni feriali, e questo
significato prevalente rischia di offuscare il senso religioso
della domenica quale giorno di riposo. Per evitare che i
cristiani non confondano la celebrazione della domenica
col "fine settimana" "sembra più che
mai necessario recuperare le motivazioni dottrinali profonde
che stanno alla base del precetto ecclesiale perché
a tutti i fedeli risulti ben chiaro il valore irrinunciabile
della domenica nella vita cristiana" (Dies Domini,
4).
2) segna una rottura rispetto agli altri giorni della settimana
e quindi si perde il senso dell'armonia con cui la domenica,
pur come giorno unico e distinto nella settimana, si collegava
ai giorni infrasettimanali e in un certo senso faceva recuperare
ad essi il loro senso.
Dalla fede cristiana scaturisce un ritmo settimanale che
trova il proprio culmine nel giorno del Signore. Questo
ritmo settimanale è il ritmo della Chiesa. E se un
cristiano ha un ritmo personale diverso, ha il dovere di
confrontarlo con il ritmo della Chiesa.
Inoltre è innegabile che una regolarità nei
ritmi sociali è necessaria per strutturare un'esistenza
comune; così, affermando l'importanza della domenica,
i cristiani assicurano un autentico servizio alla società
e testimoniano il loro rispetto dell'uomo in rapporto con
il tempo.
- La mobilità è una realtà del nostro
tempo che caratterizza in modo particolare la domenica.
Alla riunione domenicale vi possono essere infatti fedeli
occasionali non appartenenti alla parrocchia, e l'anonimato
che ne consegue, con la difficoltà di trovare animatori
per ogni Messa, pesa sulla qualità della celebrazione.
Tre suggerimenti per ovviare a questo problema potrebbero
essere:
adattare a questa situazione l'animazione dell'assemblea;
- inventare i modi e i mezzi per un'accoglienza discreta
ma efficace, che deve manifestare che non avviene un assembramento
di gente riunita a causa di progetti o convinzioni identiche,
ma una riunione di persone convocate dal Signore;
- assumere positivamente il rinnovamento frequente dei membri
dell'assemblea.
Certo la partecipazione regolare alla stessa assemblea costituisce
una ricchezza per la vita cristiana; anche se l'assemblea
liturgica sorpassa le comunità umane, essa non può
fare astrazione da una realtà comunitaria locale,
che la sostiene e che contribuisce a evangelizzare e santificare.
È bene quindi esortare i fedeli a partecipare all'Eucaristia
là dove si sono celebrati i sacramenti dell'iniziazione
cristiana o dove avviene la catechesi.
- La cultura consumistico/tecnologica dominante nelle nostre
società occidentali può arrivare a vedere
il tempo come il grande nemico all'interno di una società
dominata dai miti della produttività e dell'efficienza
e caratterizzata dallo slogan "tutto e subito";
ma una società segnata dalla lotta contro il tempo
rischia di rinchiudere le aspirazioni umane nell'ambito
del tempo e si configura come una società in cui
"non si ha più tempo". Una patologia che
in fondo significa idolatria: non l'uomo ordina il tempo,
ma il tempo schiavizza l'uomo.
Contro questa mentalità è opportuno recuperare
la convinzione che la domenica è anche giorno di
riposo. Il riposo per l'uomo è un comando esplicito
inserito nel decalogo (Es 20,8-11), è una cosa sacra,
essendo per l'uomo la condizione per sottrarsi al ciclo
talvolta totalmente assorbente degli impegni terreni e riprendere
coscienza che tutto è opera di Dio, e, nella celebrazione
della domenica, può aiutare a far emergere l'opera
per eccellenza fatta dal Signore: la Risurrezione del Figlio.
Il riposo domenicale è prefigurazione del giorno
del riposo eterno nella comunione con Dio, è anticipazione
escatologica del destino cui è chiamato ogni uomo:
l'uomo è destinato al riposo eterno.
Dice Enzo Bianchi nel suo libro Giorno del Signore e giorno
dell'uomo:
"Il riposo è richiesto alla domenica per vivere
in pienezza la gioia pasquale e la gioia dell'incontro con
i fratelli, e perché l'ottavo giorno dispiega tutta
la sua valenza escatologica di profezia del "giorno"
del riposo nel Regno".
Quand'anche una legge dello stato imponesse come giorno
non lavorativo un altro giorno, per il cristiano è
la domenica che, pur lavorativa, resterebbe il giorno da
santificare con l'assemblea eucaristica. Proprio come hanno
fatto per secoli i cristiani in ambiente pagano fino a Costantino,
celebrando l'eucaristia in orari tali che consentivano poi
lo svolgimento del loro lavoro e celebrandola a rischio
della vita in periodi di persecuzione.
Inoltre, il legame tra il giorno del Signore e il giorno
del riposo nella società civile ha un'importanza
e un significato che vanno al di là della prospettiva
propriamente cristiana; l'alternanza infatti tra lavoro
e riposo è un'esigenza inscritta nella natura umana;
perciò celebrando il riposo domenicale si offre anche
un servizio e un beneficio alla società e ad ogni
uomo.
Suggerimenti per la messa domenicale
Tre domande provocatorie:
1) Come far sentire le riunioni domenicali come una necessità
vitale e non come un obbligo estrinseco alla vita del cristiano?
2) Non abbiamo forse troppo sottolineato l'obbligo della
Messa senza far capire che era un invito, un cammino d'amore?
3) Come far capire che la necessità dell'assemblea
domenicale è indipendente dalla voglia che si ha
e dall'idea personale che ce se ne è fatta?
- Si potrebbe proporre una riflessione sulla qualità
e l'intensità della fede dei cristiani a proposito
della Chiesa. La Chiesa è il luogo di nascita e il
luogo di vita dei cristiani; fuori dalla Chiesa, corpo di
Cristo, non c'è vita cristiana. È necessario
per questo che la Chiesa viva, ma perché viva, è
necessario che mostri essa stessa la sua esistenza (assemblea)
e attinga la sua vita alla sorgente (sacramenti). Se cresce
la consapevolezza che l'appartenenza alla Chiesa è
costitutiva dell'identità cristiana, ciò favorirà
la comprensione del senso e dell'importanza della domenica.
Il Papa osserva:
"Perché la presenza di Gesù risorto in
mezzo ai suoi sia annunciata e vissuta in modo adeguato,
non basta che i discepoli di Cristo preghino individualmente
e ricordino nel segreto del loro cuore la morte e risurrezione
di Cristo...
E importante che si radunino per esprimere l'identità
stessa della Chiesa, la Ekklesia, l'assemblea convocata
dal Signore risorto che ha offerto la sua vita per 'riunire
insieme i figli di Dio che erano dispersi' (Gv 11,52)".
V'è una dimensione pasquale salvifica nel concreto
passaggio dal proprio luogo di vita al luogo comune del
raduno eucaristico: questo passaggio materiale è,
nella fede, simbolico di un passaggio dalla dispersione
all'unità.
Il pensare alla Messa domenicale in termini di obbligo rivolto
al singolo rischia di rinchiuderla in una prospettiva individualistica
di faccenda personale, svuotando il contenuto comunionale
costitutivo dell'assemblea. In realtà la partecipazione
alla celebrazione domenicale è una questione di identità
cristiana: come può dirsi cristiano chi non sente
il bisogno di unirsi agli altri fratelli nella confessione
dell'unico Signore, di vivere il mistero di un solo corpo
in Cristo, di esprimere che siamo membra gli uni degli altri?
Nella vita cristiana non è possibile passare una
domenica senza assemblea, per questo non è possibile
celebrare individualmente la domenica isolandosi dalla comunità.
Il giomo del Signore è il giorno della Chiesa e non
si può vivere la comunione con il Signore, senza
la comunione con la Chiesa.
A questo proposito, si può affermare che la riunione
domenicale gioca, dall'origine della Chiesa, un ruolo che
i sociologi chiamano "di identificazione": partecipando
all'eucaristia il credente prende le misure di ciò
che è per grazia e trova appoggio sui suoi fratelli
commensali.
Perché l'assemblea radunata nel giorno domenicale
viva e manifesti la sua qualità di comunità
del Signore, essa richiede, come condizione necessaria,
la riconciliazione reciproca tra i credenti.
Il giorno della domenica, che è manifestazione della
Chiesa, corpo del Signore, diventa necessariamente anche
manifestazione della carità, che è vincolo
che unisce le membra di tale corpo; ma per la Scrittura,
una condizione essenziale e irrinunciabile perché
la Chiesa sia davvero Chiesa di Dio e non semplice entità
sociale, gruppo umanitario o ente filantropico ed assistenziale,
è che la Chiesa viva della e nell'agape e sia plasmata
e strutturata dalla carità prima di essere soggetto
di organizzazione di carità. La domenica è
sorgente di carità.
- Il Concilio Vaticano II ha voluto auspicare una partecipazione
"attiva, cosciente e fruttuosa"; ciò non
vale unicamente per coloro che hanno qualcosa da fare nella
celebrazione, ma per tutti i membri dell'assemblea; la partecipazione
consiste innanzitutto e per tutti nell'ascolto, nel canto
e nel raccoglimento nei vari gesti.
Forse la crisi della partecipazione all'eucaristia domenicale
non riguarda tanto la liturgia in se stessa, quanto il modo
con cui essa è concretamente vissuta, forse non c'è
tanto bisogno di una riforma liturgica, ma di una riforma
di stile della sua animazione, del suo svolgimento.
- Per aiutare i fedeli a partecipare più consapevolmente
alla celebrazione domenicale può essere utile:
o invitarli a prepararsi alla celebrazione con la lettura
dei testi biblici in settimana
o formarli al senso del sacramento come atto di Cristo tra
noi e al senso di riconoscenza e di lode
o rendere cosciente ogni fedele che ciascuno è pietra
viva della Chiesa, ne è personalmente responsabile
con gli altri, e che quindi dipende da ciascuno che la celebrazione
sia una vera manifestazione di Chiesa, e per fare questo
può essere utile:
a) richiamare i fedeli a questa responsabilità (per
esempio nell'omelia)
b) approfittare di avvenimenti particolari (per esempio
celebrazioni straordinarie) per risvegliarla
c) dare alla celebrazione quella vitalità che susciti
l'impegno
d) fare in modo che i diversi attori liturgici lavorino
in équipe, cerchino di promuovere la partecipazione
di tutta l'assemblea, facciano apparire nella celebrazione
la vitalità della comunità locale, abbiano
cura di suscitare sempre nuovi collaboratori
- Per favorire la partecipazione dei giovani è importante:
1) aiutarli a scoprire il 'ritmo ecclesiale'; una riflessione
sullo sviluppo storico e sugli aspetti specifici della domenica
cristiana può essere una proposta affascinante e
una fonte di impegno per i giovani
2) adattare le celebrazioni domenicali al modo di esprimersi
dei giovani, perché una maggiore partecipazione ed
un maggior coinvolgimento di tanto in tanto faccia nascere
in loro il desiderio di restare con la comunità intera
anche le altre domeniche, ciò chiede agli adulti
di accogliere con comprensione dei modi di esprimersi che
non sono naturalmente i loro e possono non essere del tutto
condivisi, e di far esprimere ai giovani ciò che
vivono nei loro gruppi
3) favorire le Messe straordinarie, cioè fatte apposta
per i giovani (l'iniziazione più importante all'Eucaristia
è quella che si fa vivendo l'Eucaristia), perché
esse danno largo posto a ciò che ne tiene assai poco
nelle abituali celebrazioni domenicali: il tempo dato all'incontro
tra le persone, la parola liberamente espressa, lo scambio,
l'ascolto, l'evocazione di ciò che si vive, la coscienza
dell'avventura in cui si è impegnati nella ricerca
della fede; i partecipanti raccontano la loro vita, dicono
il loro incontro con il Signore, la loro gioia di credere,
i loro problemi, il senso dei loro limiti
4) responsabilizzarli di più nei vari momenti delle
celebrazioni
I giovani probabilmente non disertano la chiesa, ma vi cercano
un posto.
- Per favorire la partecipazione dei bambini può
essere opportuno:
a) aiutare i genitori a sentire la propria responsabilità
(in quanto la partecipazione dei bambini alla messa dipende
dalla loro partecipazione), magari con un uso sapiente di
"Messe per le famiglie"
b) dare ai bambini un momento durante la celebrazione, far
fare loro un piccolo gesto, rivolgere direttamente a loro
una parola, facendo talvolta preparare loro le intenzioni
per le preghiere dei fedeli (le loro formule dirette spesso
sono capaci di rimuovere il cristiano dalla sua abitudinarietà),
valorizzando il peso che possono avere nel canto; essi devono
sentire di avere un posto riconosciuto e importante nella
celebrazione. Più che inventare attività speciali
da far fare ai bambini nella celebrazione, è comunque
più opportuno farli più partecipi nello svolgimento
della stessa, come si fa con gli adulti.
- È bene rendere presenti alla celebrazione gli assenti
"per scelta" (per esempio nella preghiera dei
fedeli; nell'omelia del sacerdote con un'attenzione a quello
che costituisce la vita di tutta l'umanità e non
solo al mondo praticante) e gli assenti "per forza",
come gli ammalati, (parlando di loro o facendo sentire anche
la loro parola con mezzi e modi diversi, per esempio registrandola;
ricordandoli nella celebrazione eucaristica; portando loro
notizie della comunità).
ASSEMBLEA EUCARISTICA E COMUNITA
PARROCCHIALE
San Leone Magno, in un suo sermone, afferma che la partecipazione
al Corpo e al Sangue di Cristo ha come effetto che ci mutiamo
in ciò che riceviamo.
Questa trasformazione riguarda l'individuo e la comunità
ecclesiale: ne deriva che "l'assemblea eucaristica
è il centro della comunità dei cristiani presieduta
dal presbitero" (Presbyterorum Ordinis 5).
Nella celebrazione della Messa troviamo, dunque, la fonte
di quella grazia che sostiene i fedeli, nutriti dei Sacramenti
pasquali, nel vivere in comunione tra loro e nel testimoniare
nel quotidiano quanto hanno ricevuto nel professare la loro
fede.
In altre parole, l'Eucaristia celebrata dai fedeli forma
e costruisce i medesimi in comunità.
Ce ne possiamo fare una ragione riflessa scorrendo velocemente
il Rito della Messa.
- I Riti di introduzione ci dicono che i fedeli si riuniscono
per la celebrazione perché convocati dal Signore:
essi, sentendosi conosciuti e amati, rispondono all'invito
divino riunendosi in comunità di preghiera. Si tratta
dell'iniziativa di Dio cui si risponde con fiduciosa obbedienza.
- L'esercizio dei diversi ministeri, nell'assemblea liturgica,
manifesta la volontà di tutti di costruire una vera
comunione di persone, fondata sull'amore di Dio e sull'amore
vicendevole. I credenti, in forza dei Battesimo, si riconoscono
figli di Dio, sia pure con doni e carismi diversi, creati
per formare il popolo radunato nel nome dell'unità
e della trinità di Dio.
Su questa interazione e interdipendenza si fonda la solidità
della comunità parrocchiale che a sua volta progetta
la pastorale della partecipazione e della corresponsabilità.
- La Liturgia della Parola, nella dinamica proclamazione-ascolto
della Parola di Dio, evidenzia quello scambio vitale - tra
Dio e l'uomo - che trasmette nuovo vigore all'uomo che si
alimenta alla Rivelazione.
La comunità parrocchiale si scopre inserita nel progetto
salvifico e dalla Rivelazione attinge i contenuti della
professione di fede.
Dalla Parola sono illuminate le aree pastorali dell'evangelizzazione,
della catechesi agli adulti e ai minori, l'apostolato biblico,
la predicazione, la pastorale della cultura...
- La Liturgia eucaristica, poi, celebra la rinnovazione
dell'alleanza di Dio con gli uomini, introducendo "i
fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma
con essa" (Sacrosanctum Concilium 10): tutta la pastorale
caritativa, con la testimonianza e il concreto servizio
dei fratelli bisognosi, viene impostata a partire dalla
partecipazione alla Messa; inoltre, dal sacramento celebrato
e dalla Comunione eucaristica deriva alla Chiesa, alla nostra
comunità, un rinnovato slancio di dinamismo spirituale.
Infatti, coloro che vivono questo vertice dell'Eucaristia
e fanno la Comunione sono gradualmente inseriti nella vita
e nella missione di Cristo, vengono inseriti dallo Spirito
Santo in una prospettiva di perfezionamento.
- Anche il momento in cui, terminata la Messa, l'assemblea
raggiunge l'uscita (congedo) è importante e prezioso:
i fedeli non si disperdono ma ciascuno di essi, restando
dimora di Dio (ricevuto nei segni sacramentali), assume
responsabilmente una missione da svolgere nel mondo, nelle
innumerevoli pieghe delle vicende umane. La comunità
parrocchiale, infatti, è da Gesù Cristo inviata
a tutti i fratelli per promuovere la crescita del Regno
di Dio.
Per concludere, nella celebrazione liturgica, soprattutto
per mezzo del mistero pasquale perpetuato nel sacrificio
eucaristico, si attua la perfetta glorificazione di Dio;
nel contempo, l'Eucaristia, introducendo nel mondo il germe
della vita nuova, consegna il mandato ai fedeli di "andare"
a recare l'annuncio del Risorto.
Dall'Eucaristia, quindi, la comunità cristiana trae
forza per uscire da sé: è chiamata ad ascoltare
lo Spirito per rinnovare in Cristo il mondo intero.
MINISTERIALITA LITURGICA: ESPRESSIONE
DEL SERVIZIO ECCLESIALE
La Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium del
Concilio Vaticano II dedica un intero capitolo al tema "Il
popolo di Dio" aiutandoci a prendere coscienza del
senso di appartenenza alla Chiesa e a riflettere sul significato
di essere "comunità" cristiana che è
chiamata a studiare modi e tempi per la nuova evangelizzazione:
con essa si intende raggiungere non soltanto coloro che
si sono allontanati dalla Chiesa, ma anche animare i fedeli
che si sforzano di crescere nella fede e infondere il coraggio
di rendere ragione della speranza cristiana davanti a tutti.
In quest'ottica si può considerare l'importanza della
Parrocchia intesa come presenza concreta della Chiesa nel
territorio. E l'efficacia di questa presenza affonda le
sue radici nella lettura quotidiana della Sacra Scrittura,
nel generoso impegno nell'ambito del volontariato, soprattutto
caritativo, e si manifesta nella singolare fioritura dei
ministeri nell'ambito del laicato.
Verso un'ampia ministerialità...
In questi ultimi cinque anni, ormai trascorsi, anche la
nostra comunità parrocchiale ha conosciuto un forte
impulso orientato a incrementare la ministerialità
tra i fedeli laici. Siamo impegnati a far sì che,
al di là dei ministeri liturgici ufficialmente riconosciuti
dalla Chiesa, la celebrazione della Messa e dei Sacramenti
conosca l'esercizio ampio e illuminato dei ministeri di
fatto e di servizi da parte di persone (uomini e donne)
che, tramite la partecipazione specifica alla liturgia,
esprimono in modo esemplare la lode a Dio e la materna premura
della Chiesa nelle situazioni che reclamano la coerente
fedeltà al Vangelo.
La nostra comunità, infatti, è animata dai
catechisti e dalle catechiste, impegnati nelle varie fasce
di età e diversi ambiti, da coloro che guidano la
celebrazione con il canto e gli strumenti musicali, con
la proclamazione delle letture e delle intenzioni della
preghiera dei fedeli, con il servizio all'altare e all'assemblea
liturgica, con la raccolta delle offerte in denaro e con
la processione dei doni, con l'accoglienza dei fedeli alle
porte della chiesa, con le persone incaricate di portare
la Comunione eucaristica ai malati e agli anziani, con la
visita alle persone sole e bisognose...
In questa articolazione ministeriale nell'ambito della parrocchia
meglio si esprime il volto materno della Chiesa che, fedele
al mandato ricevuto da Gesù, si protende verso tutti
gli uomini, senza eccezione, perché non manchi loro
l'annuncio del Vangelo e la proposta della carità
di Dio.
La premessa perché i fedeli, nell'ambito della parrocchia,
possano intrattenere rapporti fraterni e solidali e avvertano
di essere protagonisti della pastorale parrocchiale, è
rappresentata appunto dall'esercizio dei ministeri durante
la celebrazione liturgica.
"Servire" non "supplire"...
Sostenuti dalla grazia accolta nel mistero celebrato, i
fedeli laici, nell'esercitare la ministerialità in
forza del battesimo, esprimono il servizio di carità,
testimoniando l'amore di Dio e la verità del Vangelo.
È un modo concreto per manifestare nella comunità
ecclesiale la cordiale condivisione di gioie, fatiche, dolori
e speranze degli uomini nella ferialità della vita.
Siamo di fronte a una speciale manifestazione della vitalità
della Chiesa come popolo di Dio. L'articolata impostazione
pastorale della parrocchia: dall'ascolto della Parola e
dalla celebrazione dei Sacramenti (soprattutto dell'Eucaristia)
ricevono ispirazione e vigore quelle persone e quei gruppi
aperti al dialogo per annunciare la salvezza del Signore
Gesù, per proporre itinerari di approfondimento della
vita cristiana, per aiutare coniugi e famiglie ad attuare
il disegno che Dio ha tracciato per loro, per vivificare
il servizio in favore della dignità umana e del valore
della vita...
Il momento liturgico è sì il culmine dell'adorazione
e della lode a Dio da parte dei fedeli, ma è anche
fonte da cui promana tutto il dinamismo ministeriale anche
da parte dei laici chiamati ad essere protagonisti e promotori
della pastorale. E come nella celebrazione liturgica ciascun
componente l'assemblea è chiamato a svolgere il ruolo
di sua competenza, così nella comunità parrocchiale
ogni battezzato è investito della missione dell'annuncio
del Vangelo e della carità di Dio nella concreta
quotidianità.
I laici dunque hanno la responsabilità del ministero
non per supplire alla carenza dei sacerdoti o dei religiosi,
ma in forza di una "dignità" e vocazione
propria: essi sono soggetti capaci di testimoniare la speranza,
di comunicare la fede, di vivere la carità non soltanto
negli ambiti che gravitano attorno all'edificio-chiesa,
ma anche nelle zone e nei centri in cui si svolge la loro
vita di lavoro, di famiglia, di relazione con gli altri.
IL MINISTERO DEL LETTORE
Poiché la Parola di Dio è così urgente
e necessaria per vivere, non insisteremo mai abbastanza
sulla cura che le spetta quando la proclamiamo nella liturgia.
Non dovremo lasciar cadere neppure una briciola di questa
Parola come badiamo che ciò non accada con il Pane
eucaristico. Proprio per questo prendiamo come utili le
indicazioni per il prezioso ministero del lettore.
l. La Liturgia della Parola
1.1. La celebrazione della Messa è strutturata
in quattro parti:
o Riti d'introduzione
o Liturgia della Parola
o Liturgia eucaristica
o Riti di Comunione
1.2. Struttura della liturgia della Parola nella Messa
festiva con i diversi ruoli
- Prima lettura ( il "profeta", cioè dall'Antico
Testamento o, nel tempo pasquale, dagli Atti degli Apostoli):
un lettore;
- Salmo responsoriale: salmista + assemblea
- Seconda lettura ("l'apostolo", cioè dalle
lettere del Nuovo Testamento o dall'Apocalisse): un altro
lettore
- Acclamazione al Vangelo: assemblea (+ solista)
- Vangelo: diacono presidente o celebrante
- Omelia: presidente o altro celebrante o diacono
- Professione di fede: assemblea
- Preghiera dei fedeli: presidente + diacono (o altri) +
assemblea
La liturgia della Parola è, quindi, estremamente
varia; essa richiede sei atteggiamenti diversi: lettura,
canto, parola, professione di fede, preghiera, silenzio.
L'equilibrio di questi atteggiamenti è indispensabile
perché la liturgia della Parola venga trasmessa e
recepita. La liturgia della Parola deve sempre essere in
stretto rapporto con la liturgia eucaristica: non sono due
parti separate, anzi la liturgia eucaristica deve sempre
agganciarsi, in tutti i modi possibili, alla liturgia della
Parola (cf SC 56). A questo proposito l'introduzione al
messale è molto chiara: Cristo è realmente
presente tanto nella sua Parola, quanto sotto le specie
eucaristiche; inoltre è realmente presente nell'assemblea
dei fedeli e nella persona del sacerdote che presiede la
celebrazione (cf SC. 7; PNM 5)
1.3. Le letture
La riforma liturgica ha istituito per la Messa festiva tre
letture perché i diversi passi della Scrittura s'illuminino
a vicenda e perché è impossibile capire il
Nuovo Testamento senza conoscere l'Antico. È molto
importante che vi siano lettori diversi per ogni lettura:
la varietà dei lettori, i movimenti che essa provoca
nel presbiterio, l'eventuale alternarsi di una voce maschile
e di una femminile sono elementi che servono a rompere la
monotonia e contribuiscono a suscitare l'attenzione nell'assemblea.
Chi sono i lettori? Il miglior sistema è quello di
permettere al maggior numero di fedeli adulti di fungere
da lettori, a condizione però che non si faccia leggere
qualcuno senza essersi assicurati che ne sia capace e che
sia adeguatamente preparato. I documenti del dopo Concilio
in tema di liturgia insistono ripetutamente sulla necessità
che i lettori siano "veramente idonei e preparati con
impegno "(cf PNM 67) attraverso un cammino di formazione
"biblica, liturgica, e tecnica". (cf OLM 55).
Lo scopo di tale formazione non è certo quella di
creare professionisti della lettura, ma di far capire anzitutto
che l'azione liturgica del leggere la Parola di Dio ha un'importanza
fondamentale nell'economia della celebrazione, poiché
è soprattutto da come vengono lette le letture che
dipende se la Parola di Dio giunge al cuore dei fedeli oppure
no: ciò è fondamentale affinché la
Parola agisca e sia efficace. È inutile aver ridato
alla Parola di Dio un posto importante nella liturgia se
poi non ci impegniamo ad ottenere una buona lettura.
Il lettore deve anzitutto investirsi della sua funzione,
deve prendere coscienza che l'impegno di leggere la Parola
di Dio non può esaurirsi in un semplice atto da compiere,
ma deve diventare un vero e proprio ministero, coinvolgente
l'intera vita di chi lo compie. Il lettore, pertanto, non
può occuparsi della Parola di Dio solo quando si
accinge a leggerla, ma deve "porsi in ascolto"
ben prima, deve fare (come ogni cristiano dovrebbe) della
Parola di Dio il nutrimento della propria vita. Il lettore
è l'altoparlante di Dio, il suo inviato affinché
la sua Parola, diventata Scrittura, ridiventi Parola oggi;
è il servitore dell'Alleanza tra Dio e il suo Popolo,
che si manifesta nel continuo dialogo testimoniato dalla
Scrittura, è colui che fa sì che Dio parli
al suo popolo, riunito per ascoltarlo.
Alcuni consigli pratici:
- Le letture devono essere lette dall'ambone messo bene
in evidenza e dal lezionario, non da fogli volanti, libri
vari ecc.
- Il lettore deve sempre preparare la lettura con cura e
sotto ogni aspetto.
- Prima di iniziare a leggere è bene attendere sempre
che l'assemblea sia seduta, in silenzio, in disposizione
di ascolto; anche scenograficamente è importante
uno stacco per distinguere i riti d'introduzione alla liturgia
della Parola. Se c'è anche qualche secondo di silenzio,
meglio!
- Non è bene che i lettori siano tutti ammassati
nell'ambone uno accanto all'altro, Sia l'avvicinamento sia
l'allontanamento all'ambone devono essere fatti con calma,
lentamente e senza intralciare gli altri.
- Giunto all'ambone, prima di iniziare a leggere, il lettore
regola alla propria altezza sia il leggìo sia il
microfono, poi guarda in faccia la gente, come per presentarsi,
e solo quando tutto è a posto e l'assemblea in silenzio,
chiede la benedizione e comincia a leggere.
- Non leggere mai ciò che è scritto in rosso
(es. prima lettura, salmo responsoriale, ecc.) sono cose
da farsi, non da dirsi!
- Il titolo deve essere staccato dalla lettura mediante
una pausa; il titolo è un'insegna che deve essere
pertanto anche evidenziata con un cambiamento di tono e
di volume. Al termine della lettura bisogna far risaltare
anche la frase "Parola di Dio" facendola precedere
da una pausa, cambiando tono e guardando in faccia alla
gente mentre la si dice.
Mettiamoci ora dalla parte dell'assemblea: che cosa deve
essere in grado di fare l'assemblea mentre il lettore sta
leggendo la Parola di Dio?
- Sentire materialmente: è una questione di volume,
di ritmo, di impianto di sonorizzazione.
- Ascoltare, cioè prestare attenzione; ciò
esige dal lettore che legga bene. Il lettore non legge per
sé, ma per gli altri, è una differenza radicale
poiché sono due azioni diverse: nella prima si può
anche non usare la voce, nella seconda la voce è
fondamentale. L'obiettivo del lettore non è la sua
personale comprensione (perché quando legge la lettura
deve già averla capita e studiata), ma è che
gli altri, attraverso la comunicazione orale, ascoltino,
si trovino interessati al testo e non si annoino.
- Capire, il che non è per nulla automatico come
alcuni ritengono, per il semplice fatto che in qualche modo
è stata letta una pagina della Bibbia. Dipende invece
dal modo in cui il lettore si è preparato a leggere
il brano e da come lo ha effettivamente letto. È
quindi questione di ritmo (pause, velocità), intonazione,
articolazione, interpretazione (colore). Senza questa preparazione
difficilmente certi testi non facili e complessi riescono
comprensibili a chi li ascolta. Pertanto dobbiamo lasciare
il tempo alle parole non soltanto di essere pronunciate,
ma soprattutto di essere capite. La regola fondamentale
è: adagio e con senso.
1.4. Il salmo responsoriale
Come l'acclamazione al Vangelo costituisce uno dei cosiddetti
canti "interlezionali", che hanno lo scopo di
creare un dialogo tra Dio che parla ed il suo popolo radunato
per ascoltarlo. Bisogna farvi molta attenzione poiché
spesso il salmo responsoriale è la cenerentola della
liturgia della Parola. Le modalità di esecuzione
più utilizzate sono le seguenti:
- Salmo letto, ritornello detto. È la soluzione minima,
di pura esecuzione, da non raccomandarsi. Anzitutto non
si deve dire: "Salmo responsoriale/ritornello".
Bisogna inoltre fare molta attenzione, perché in
questo caso si corre il rischio che il salmo diventi una
quarta lettura: la lettura dev'essere fatta con stile lirico,
come si declama una poesia (senza cantilena però);
dev'essere interiorizzata, pregata, ben diversa da quella
delle due letture.
- Salmo letto, ritornello detto. È la forma più
usata. Ricordiamo che nei tempi forti è suggerito
l'uso di salmi comuni (es.: Avvento, salmo 24; Quaresima,
salmo 50).
- Salmo letto con sottofondo musicale, ritornello cantato
o detto.
- Salmo cantato, ritornello cantato. È la forma più
appropriata per eseguire il salmo, poiché i salmi
in origine erano preghiere cantate; il momento del salmo
deve pertanto essere un momento lirico, poetico, che comporta
anche l'elemento musicale. Chi canta il salmo? Non il coro,
ma il salmista, cioè un solista, con l'intervento
dell'assemblea nel ritornello. La scelta della forma di
esecuzione fra quelle citate o fra altre ancora, non è
assoluta, dev'essere fatta in base a criteri ben precisi
(il testo del salmo, la sua natura spirituale, il contesto
liturgico, il tipo di assemblea), preferendo, ove possibile,
il canto sia del ritornello sia delle strofe (cf PNM 35).
1.5. L'acclamazione al Vangelo
È un'acclamazione, un grido, un canto di gioia. Normalmente
si usa l'alleluia. (alleluia è un termine di origine
ebraica che significa "lodate Dio"). In Quaresima,
invece, si canta un'altra acclamazione.
Non deve mai essere recitata! Non ha nessun senso limitarsi
a dirlo, perché per sua natura è un'acclamazione
(cf PNM 36). Al più si può dire il versetto
inframmezzato al ritornello cantato (però solo quando
non vi sono strofe cantate).
Essendo un'acclamazione, non dev'essere troppo lunga, anzi,
dev'essere breve, intensa (non un canto con quattro o cinque
strofe!).
È bene ripetere l'acclamazione anche dopo il Vangelo,
inserendo il canto proprio previsto dal Messale Ambrosiano,
per inquadrare la lettura del Vangelo al fine di sottolinearne
l'importanza.
1.6. Il Vangelo
È il momento culminante della liturgia della Parola
(ma non l'unico importante!), poiché è Cristo
stesso che ci parla. Spetta al diacono o ad un sacerdote
non celebrante o, in assenza di entrambi, al sacerdote celebrante.
1.7. L'omelia
L'omelia ha come fonte la Parola di Dio è come meta
la vita, cioè ha come scopo principale l'attualizzazione
della Parola di Dio proclamata nelle letture. Rappresenta
pertanto l'anello di congiunzione tra liturgia della Parola
e liturgia eucaristica. È importante che l'omelia
venga preparata comunitariamente dai sacerdoti assieme agli
animatori liturgici (lettori, commentatori, cantori, ecc.)
e ai fedeli che lo desiderano, ad esempio durante le riunioni
settimanali del gruppo liturgico. È necessario, inoltre,
che vi sia una stretta correlazione tra omelia, introduzione,
monizioni, ecc... L'importante è che tutti questi
interventi svolgano pochi temi e concetti, ma in modo chiaro
e unico, non dispersivamente.
1.8. La preghiera dei fedeli.
E' detta anche preghiera universale in quanto in essa si
prega per l'intera umanità. Le intenzioni, che possono
essere liberamente formulate, devono essere semplici, brevi,
veramente universali (salvo rari casi realmente importanti
per la comunità). Se si vuole che più persone
propongano le intenzioni, vi dovrebbe essere un'effettiva
libertà ed autenticità. La risposta dell'assemblea
è bene che ogni tanto sia variata (evitare di usare
sempre "Ascoltaci, o Signore") e, almeno nelle
feste importanti, sarebbe bene che fosse cantata.
1.9. Il silenzio
Sono troppo pochi i momenti di silenzio durante la Messa!
Ve ne dovrebbero essere almeno dopo l'omelia e dopo la Comunione,
ma anche durante l'atto penitenziale, dopo ogni lettura,
ecc. (cf PNM 23). Altrimenti le nostre celebrazioni rischiano
di diventare un fiume di parole che si riversano sull'assemblea,
ma che difficilmente rimangono, perché non hanno
tempo di fare presa.
1. 10. Il commentatore
È un animatore liturgico molto importante, soprattutto
in celebrazioni caratterizzate da assemblee vaste ed eterogenee.
Il suo compito è quello di guidare l'intera celebrazione,
di essere il "cordone ombelicale" tra il rito
e l'assemblea, attraverso alcuni brevi interventi fatti
in modo opportuno e al momento opportuno (cf PNM 69; OLM
57).
Oltre all'introduzione iniziale della celebrazione, vi può
essere una monizione prima di ogni lettura (ed eventualmente
del salmo) oppure un'unica monizione all'inizio della liturgia
della Parola. Queste monizioni sono spesso indispensabili
al fine di fornire all'assemblea una chiave di lettura che
l'aiuti ad entrare in sintonia con i testi che verranno
proclamati e di conseguenza al fine di consentire all'omelia
di avere un saldo punto di partenza in letture ascoltate
e capite da tutti.
Le introduzioni o monizioni alle letture devono essere:
brevi, semplici, chiare (non anticipazioni all'omelia o
mini-omelie), preparate con cura; non semplici riassunti
ma testi avvincenti che cerchino di evidenziare l'aggancio
con l'attualità, con ciò che stiamo celebrando
oggi, eventualmente messe sotto forma di domanda in modo
da stimolare l'attenzione. Per certe letture (soprattutto
per quelle più difficili) l'introduzione è
indispensabile. Non dovrebbero mai essere lette (al più
si può avere davanti una traccia): sono inviti, non
proclamazioni, e quindi devono essere dette con tono colloquiale,
come in una discussione tra amici.
Inoltre vi possono essere anche altri brevi interventi all'atto
penitenziale, alla presentazione dei doni, alla Comunione,
prima di alcuni canti, ecc.
Il commentatore dev'essere una persona diversa (quando è
possibile) dai lettori; non deve salire all'ambone, ma stare
in disparte perché non proclama la Parola di Dio.
È indispensabile che sia un animatore esperto e ben
preparato, dotato di un vivo senso di responsabilità,
che non si limiti a leggere monizioni scritte da altri e
che sappia essere sobrio e discreto, evitando ogni forma
di protagonismo. Quando non c'è il commentatore,
il commento alle letture può essere fatto opportunamente
anche dal presidente.
2. Le tecniche di lettura
2. 1. Comunicare con l'assemblea
Molto spesso, anzi quasi sempre, si usa la stessa parola
"leggere" per indicare due azioni molto diverse:
leggere per sé e leggere pubblicamente, per gli altri.
Nella prima azione si può anche non usare la voce,
mentre per la seconda la voce è indispensabile. Questa
confusione di significati comporta diversi equivoci, primo
fra tutti il ritenere che non sia necessaria alcuna competenza
specifica, né che ci si debba preparare, per leggere
durante una celebrazione liturgica.
Le conseguenze di questi equivoci le conosciamo tutti: persone
che vengono incaricate di leggere alcuni secondi prima della
celebrazione (o addirittura a celebrazione già iniziata);
lettori che, giunti all'ambone, vedono per la prima volta
il brano da leggere (quante volte succede che viene letto
un brano della domenica precedente o di quella successiva!);
lettori che leggono male (troppo in fretta, senza senso,
con cantilena, in modo non adatto al tipo di lettura, senza
tener conto di avere un microfono, ecc. ...); letture affidate
a bambini e ragazzi, che ovviamente non possono comprenderle
a fondo e quindi nemmeno trasmetterne il contenuto, e tante
altre disfunzioni analoghe.
Tutto ciò comporta una conseguenza precisa: la Parola
di Dio non giunge all'assemblea e la liturgia della Parola
viene così ad essere decapitata. Inoltre anche l'omelia
perde parte della sua efficacia, poiché è
molto arduo, se non impossibile, spiegare ed attualizzare
letture che non sono state capite e forse nemmeno ascoltate.
Che cosa si può fare per cercare di risolvere problemi
così importanti? Anzitutto far sì che i lettori
si rendano conto che il lasciarsi andare all'impreparazione,
all'improvvisazione, alla trascuratezza equivale a "prendere
in giro" Dio e l'assemblea; che un tale modo di comportarsi,
umanamente parlando, non è serio e, cristianamente,
è irriguardoso sia verso la Parola di Dio, sia verso
i fratelli nella fede.
L'aver preso coscienza di quanto siano importanti le leggi
della comunicazione per la lettura in pubblico comporta
poi che il lettore si sforzi di acquisire un'adeguata competenza
tecnica, allo scopo d'imparare ad usare correttamente la
propria voce e quindi consentire e favorire la trasmissione
del messaggio che è chiamato ad annunciare attraverso
la comunicazione orale, cioè la Parola di Dio. Quindi
la tecnica usata, cioè il modo di leggere, d'interpretare
il testo non è un di più, un lusso: è
invece la prima condizione perché sia suscitato un
minimo interesse di ascolto.
2.2. La preparazione delle letture
A questo punto ci si può chiedere: in pratica che
cosa deve fare un lettore per prepararsi a leggere una lettura?
Si può rispondere suggerendo una serie di operazioni
che gli consentono di studiare e approfondire progressivamente
e sotto i diversi aspetti il testo.
1. Sapere con congruo anticipo quando e che cosa si dovrà
leggere: ciò comporta l'esistenza del gruppo lettori,
che si deve occupare anche di stabilire turni di lettura;
bisogna fare di tutto per evitare di scegliere un lettore
poco prima della celebrazione (o addirittura a celebrazione
già iniziata).
2. Leggere e studiare il testo per capirne bene il significato,
aiutandosi eventualmente con un commento e partecipando
inoltre alle riunioni del gruppo liturgico parrocchiale
(per poter fare ciò è indispensabile che ogni
lettore possegga un messalino).
3. Individuare il "genere letterario" del testo,
facendosi almeno un'idea del libro da cui è stata
tratta la lettura e del tipo di lettura.
4. Cercare le parole o frasi chiave del brano, perché
è su di esse che dovrà centrare l'intera lettura.
5. Studiare il testo dal punto di vista tecnico allo scopo
di leggerlo correttamente, ovvero: andare alla ricerca della
cosiddetta "punteggiatura orale" della lettura
(pause, incisi, cambiamenti di intonazione, di ritmo, ecc.),
mettere in evidenza le parole di difficile pronuncia, il
tipo d'interpretazione adatto, ecc.
6. Leggere la lettura ad alta voce più volte, cioè
fare vere e proprie prove, possibilmente di fronte a qualche
ascoltatore o anche al registratore.
Di fronte a questa scaletta di preparazione il lettore non
deve, ovviamente, spaventarsi: come in tutte le cose non
è necessario fare tutto subito. Ma è bene
procedere per gradi, cercando di assimilare questi principi
progressivamente e soprattutto verificandoli ogni domenica
attraverso l'esperienza diretta. Ciò che non deve
mai venir meno è lo sforzo continuo di mettere in
pratica, un po' per volta, tutte queste cose, cominciando
con il preparare ogni volta la propria lettura, con costanza
ed impegno. Se si trova il tempo di fare molte altre cose,
spesso assai meno importanti, perché non trovarlo
anche per le letture?
Data l'importanza di questo lavoro settimanale, riassumiamo
i vari passi in uno schema che potrebbe essere utilmente
distribuito a tutti i lettori come promemoria.
Sei domande per preparare bene una lettura
1) Quale brano verrà letto, oggi?
- procurarsi il testo
2) Di che cosa parla?
- leggere il testo
3) Posso avere qualche notizia in più?
- leggere l'introduzione al brano sul messalino
- leggere l'introduzione alla celebrazione sul messalino
- leggere sulla Bibbia l'introduzione al libro da cui è
tratto il brano
- consultare sussidi (ad es.: "Servizio della Parola")
4) Quali sono le parole, le frasi chiave?
- leggere il testo sottolineandolo
5) Come posso leggere il brano?
- leggere il testo sillabandolo, provando volume e ritmo;
- leggere il testo applicando volume, ritmo e pause;
- leggere il testo mettendo in rilievo le frasi chiave;
- leggere il testo "vedendo le immagini".
6) La mia lettura è "ascoltabile"?
- leggere il testo ascoltandosi, verificando se con il proprio
modo di leggere l'assemblea è in grado di: sentire,
capire, ascoltare.
2.3. La respirazione
È molto importante imparare ad effettuare una respirazione
corretta, ossia addominale e non soltanto toracica (cosa
che si ottiene facendo ampio uso del diaframma), e sufficientemente
profonda. Solo così si riesce ad emettere una voce
valida sia qualitativamente sia quantitativamente. Si ricordi,
inoltre, che una buona respirazione può favorire
il rilassamento e quindi aiutare a vincere la paura e la
tensione.
2.4. La voce
Sulla base di una corretta respirazione, si tratta di utilizzare
al meglio le possibilità dell'apparato vocale. Una
buona voce dev'essere robusta e non debole, sicura e non
tremolante, calda e non acuta e stridente. Per evitare,
ad esempio, voci "ingoiate" o nasali, occorre
apprendere come si sfruttano i risonatori naturali (cavità
orale, seni nasali, ecc.). Per ottenere, poi, una voce veramente
personale, ciascuno dovrebbe individuare in quale registro
(acuto, medio o grave) essa risuona più naturalmente.
È ovvio che solo attraverso una serie di esercizi
specifici si possono ottenere risultati apprezzabili.
2.5. L'analisi della frase e del periodo
E' essenziale rendersi conto, anche senza soffermarsi a
lungo, di come sono costruite le frasi e i periodi che compongono
il testo da leggere. Ad esempio, un periodo in cui prevalga
la paratassi (ovvero la successione lineare delle frasi
una dietro l'altra, suddivise da pause o da congiunzioni
come: e, o, quindi, ma, ecc.) come, ad esempio, in molte
pagine dei Vangeli, deve essere letto in modo ben diverso
da un periodo in cui prevalga l'ipotassi (ovvero l'ordinamento
gerarchico delle frasi in cui ad una frase principale sono
legate altre, dette secondarie, per mezzo di congiunzioni
come: che, perché, se, quando, mentre, ecc.), come,
ad esempio, in molte pagine delle lettere di san Paolo.
2.6. La pause
Per leggere bene bisogna fare le pause al momento giusto,
nel modo giusto. Preparare una lettura significa quindi,
anzi tutto, studiarla al fine d'individuare le pause che
dovranno essere fatte, distinguendo quelle lunghe e quelle
brevi e poi segnarle con una o più sbarrette a matita
(il numero di sbarrette è proporzionale alla loro
lunghezza), nei punti opportuni.
Le pause si suddividono in: pause sintattiche e pause espressive.
Le pause sintattiche vengono stabilite in base alla sintassi
della frase e quindi in base alla punteggiatura " ,
; : . ! ? - ( ) " " e sono più o meno lunghe
in base al segno che vogliono esprimere; vi possono però
essere variazioni che dipendono dalla lettura in questione
e dall'interpretazione che ne vogliamo dare. Si può
ritenere comunque che la maggior parte delle pause lunghe
corrisponda alla fine dei periodi. Le pause espressive,
invece, non sono soggette a regolamentazioni precise ed
il loro uso è a discrezione del lettore; la loro
importanza però non è di certo minore.
2.7. Il ritmo
Così come la frase musicale, anche la frase di un
testo ha un ritmo che il lettore deve saper rendere. Si
tratta del modo in cui viene regolata la successione delle
sillabe e delle parole. La maggior parte dei lettori legge
troppo in fretta: la velocità con cui si legge dev'essere
decisamente più lenta che nella comune conversazione.
Inoltre la velocità deve variare secondo il genere
letterario del testo che si legge (la poesia, ad esempio,
un salmo, si legge più lentamente che l'epopea, ad
esempio il passaggio del Mar Rosso): ogni pagina ha il suo
ritmo! Dobbiamo in ogni caso lasciare sempre il tempo alle
parole non soltanto di essere pronunciate, ma soprattutto
di essere capite. Agli effetti di chi ascolta c'è
un ritmo diverso di assimilazione rispetto a chi parla.
La regola fondamentale è: "adagio e con senso".
Attenzione, inoltre, ad evitare l'errore di una lettura
a strappi, caratterizzata da pause troppo nette; il ritmo
della frase dev'essere sempre scorrevole e uniforme.
2.8. Il volume
La lettura in pubblico richiede anche che si parli con un
volume più alto di quello che si userebbe nella comune
conversazione, anche in presenza di un microfono. D'altra
parte, in pubblico, bisogna sempre parlare rivolgendosi
alle persone dell'uditorio che sono più lontane,
sia per aumentare la "portata" della voce, sia
per abbracciare con il nostro sguardo l'intera assemblea.
2.9. L'intonazione
Bisogna fare attenzione a leggere con un'intonazione media,
cioè quella per noi più naturale e più
comoda; capita spesso, invece, che si legga in pubblico
in un tono diverso da quello che per noi è abituale
(normalmente più alto), con il risultato di apparire
innaturali e di affaticare la voce. È indispensabile
evitare sia la cantilena sia gli sbalzi eccessivi dai toni
acuti a quelli gravi e viceversa: in altre parole, bisogna
imparare ad usare correttamente la "modulazione"
della voce.
Un esempio molto importante che illustra la necessità
di cambiare intonazione è quello delle frasi incidentali
(molto comuni, ad esempio, nelle lettere paoline) che richiedono
un'intonazione diversa (normalmente più bassa) dal
resto della frase, allo scopo di evidenziarle. Si faccia
attenzione poi a lasciare l'intonazione in sospeso al termine
di una prima parte della frase che è seguita da un'altra
parte da essa dipendente, e di chiudere, invece, l'intonazione
al termine di una parte compiuta della frase o al termine
della frase stessa.
Anche le frasi esclamative ed interrogative richiedono l'uso
di un'intonazione particolare. Si considerino in particolare
le frasi interrogative onde evitare la cantilena o l'errore
di fare cadere l'accento interrogativo solo sull'ultima
parola. A volte non è nemmeno il caso di far sentire
l'interrogazione perché essa è già
suggerita dalla frase stessa (es.: "Che cosa mangeremo?",
"Quale merito ne avrete?"); quando invece e necessario
farla sentire, l'intonazione interrogativa normalmente deve
cadere sul verbo (es.: "Non sapete che siete tempio
di Dio?"; "Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira
imminente?").
Attenzione alla finale di una frase: non è mai caratterizzata
da una caduta del tono della voce, ma dal mantenimento della
stessa intonazione fino al punto fermo. Attenzione anche
all'intonazione dell'inizio di frase. Dev'essere sempre
più alta dell'intonazione con cui si è terminata
la frase precedente, per segnare la ripresa del discorso
ed il distacco fra le due frasi.
Capita spesso inoltre di confondere il volume con l'intonazione,
con il risultato che, senza rendersene conto, alzando l'uno
si alzi anche l'altra e viceversa, mentre la loro regolazione
deve sempre essere mantenuta rigorosamente separata.
2.10. Il colore ovvero l'interpretazione
Il lettore che legge la Parola di Dio non può esimersi
dal dare colore, dall'interpretare la lettura: l'importante
è farlo nel modo giusto, cioè con estremo
senso della misura. Non si deve leggere in modo piatto,
come se non c'interessasse ciò che leggiamo, anzi,
dobbiamo mettervi tutto il nostro slancio, il nostro entusiasmo,
la nostra gioia di annunciatori della Parola. Ma non si
deve nemmeno eccedere nel colore, per il solo timore d'essere
monotoni o per voler dare un'interpretazione troppo personale.
Gli errori da evitare sono:
- la lettura sfilacciata, noiosa, fredda che fa notare il
disinteresse del lettore;
- la lettura cantante, cioè ricca d'inflessioni non
necessarie, di cadenze sempre uguali, un po' falsa, forzata;
- la lettura enfatica, cioè piena di troppo calore
che diventa enfasi, cioè freddo convenzionalismo.
Il colore dev'essere misurato in funzione del tipo di lettura,
dell'assemblea di fronte alla quale ci troviamo, ecc.
In questo ci si può aiutare anche cercando d'immaginare,
sia prima sia durante la lettura, la scenografia di ciò
che stiamo leggendo.
Altra cosa sono invece l'omelia, le parole di saluto, le
monizioni, le introduzioni, cioè i momenti nei quali
ci esprimiamo attraverso parole nostre, in questi casi è
necessario usare un'interpretazione più personale,
allo scopo di rendere i nostri interventi più convincenti
ed ascoltati.
2.11. L'articolazione e la pronuncia
Per una buona articolazione è indispensabile parlare
con la bocca ben aperta, soprattutto per articolare bene
le vocali.
Le vocali sono sette, poiché sia la e sia la o hanno
un diverso accento fonico, cioè una pronuncia chiusa
o acuta (é, ó) (es.: perché, cristianésimo,
vérde, cróce, amóre, nói) ed
una aperta o grave (è, ò) (es.: Chièsa,
bène, cènto, sacèrdozio, cuòre,
uòmo). Bisogna rispettare inoltre l'accento tonico
delle vocali e cioè appoggiare la voce sulla vocale
giusta (vocale tonica), in modo che le parole vengano pronunciate
nel modo corretto: tronche (es.: verità), piane (es.:
etèrno), sdrucciole (es.: àlbero), bisdrucciole
(es.: rùminano), trisdrucciole (es.: telèfonaglielo).
Le difficoltà si hanno soprattutto per alcune parole
"difficili" (es.: "gratùito"
e non "gratuìto"; "mollìca"
e non "mòllica" "dissuadére"
e non "dissuàdere"; "rubrìca"
e non "rùbrica"; ecc.). Le vocali e e o,
quando non sono toniche, hanno sicuramente accento fonico
chiuso.
In alcuni gruppi di lettere la vocale i compare come semplice
segno ortografico e non come suono e pertanto non deve essere
pronunciata (es.: cièlo, fascia, religione, fanciullo,
ecc.). A volte, davanti ad un'altra vocale la i ha la funzione
di "semiconsonante" (in quanto sostituisce l'ormai
arcaica j) e deve pertanto essere pronunciata in modo più
duro, come se fosse raddoppiata (es.: aiuto, tabaccaio,
gaio, ecc.). Bisogna far attenzione all'articolazione della
s e della z che può essere sorda o aspra (es.: segno,
spesso; grazia, bellezza); sonora o dolce (es.: risveglio,
centesimo, bizzarro, organizzare). I gruppi di consonanti
gn, gl e sc hanno un suono rafforzato e, pertanto, devono
essere pronunciati come se fossero raddoppiati (es.: signóre,
égli, conoscènza, ecc.). Inoltre alcune consonanti
iniziali di parola si pronunciano come se fossero raddoppiate
quando seguono certe parole terminanti per vocale (es.:
di-d-Dio, è-v-vero, a-m-me, ecc.).
2.12. La sonorizzazione
Un impianto di sonorizzazione è composto essenzialmente
da tre tipi di oggetti:
- i microfoni che servono a raccogliere la voce di chi parla;
- l'amplificatore che ha lo scopo di amplificare i suoni
ricevuti dai microfoni;
- gli altoparlanti che servono a ritrasmettere i suoni amplificati.
Questi oggetti sono collegati tra loro in serie nell'ordine
suddetto.
I microfoni si suddividono essenzialmente in due famiglie:
- i microfoni onnidirezionali che ricevono i suoni provenienti
da ogni direzione;
- i microfoni direzionali che captano soltanto i suoni provenienti
dalla direzione frontale.
Normalmente un ambone è dotato di microfono direzionale.
Il modo migliore per controllare il funzionamento del microfono
è quello di dargli un leggero colpetto con un dito.
È importante riuscire a creare durante la lettura
variazioni di volume. Ciò lo si ottiene variando
sia il volume della voce, sia la posizione della bocca rispetto
al microfono. La posizione media ideale consiste nel disporre
il microfono a circa venti centimetri dalla bocca, più
o meno all'altezza delle spalle, e quindi leggermente rivolto
verso l'alto. Quando è necessario, si può
variare la distanza della bocca dal microfono, con spostamenti
del tronco. Si possono distinguere tre zone, corrispondenti
a tre distanze:
- la zona dell'intimità (da 2 a 10 cm) che richiede
di parlare a basso volume, in tono confidenziale;
- la zona della conversazione (da 10 a 25 cm) che richiede
di parlare come facciamo normalmente;
- la zona del parlare in pubblico, dalla proclamazione (da
25 a 40 cm) che richiede di parlare come se ci trovassimo
in un locale di grandi dimensioni, con molte persone e senza
microfono.
Alcuni consigli:
- Prima d'iniziare a leggere, ogni lettore deve preoccuparsi
di regolare bene il microfono alla sua altezza, possibilmente
senza far rumore.
- Non bisogna mai parlare esattamente in direzione del microfono,
ma leggermente spostati di lato, in modo che la voce lambisca
il microfono e non vi entri direttamente dentro: questo
serve ad evitare i rumori assai sgradevoli che si producono
quando si pronunciano nel microfono le consonanti esplosive
(p e b) e quelle sibilanti (s e z).
- Quando si parla o canta assieme all'assemblea (ritornello
del salmo responsoriale, acclamazioni alla preghiera dei
fedeli, canto in generale, ecc.) bisogna farlo a mezza voce
per non coprire l'assemblea stessa. E un grave errore credere
che parlare o cantare ad alta voce nel microfono stimoli
la partecipazione dell'assemblea: in realtà, avviene
esattamente il contrario.
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