La postura del corpo durante la messa

I riti e i gesti che si compiono durante la Messa (come in ogni altra celebrazione liturgica) ricordano a noi stessi che l'uomo, il cristiano, prega non solo con lo spirito ma anche con il corpo.
La Chiesa in proposito ha voluto anche riservare un capitolo breve (ma non per questo meno importante degli altri) ai 'Gesti e atteggiamenti del corpo' nelle pagine introduttive del Messale, intitolate 'Principi e norme per l'uso del Messale'.
Ne riscrivo testualmente alcune espressioni quasi a richiamare l'attenzione sulla convenienza e sul modo decoroso di accompagnare con gesti, azioni e atteggiamenti (richiesti di volta in volta nella celebrazione) che manifestano e sottolineano quella viva fede interiore che, sgorgando dalla mente e dal cuore, guida e orienta la lode a Dio da parte della comunità cristiana: "L'atteggiamento comune del corpo, che tutti i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è il segno della comunità e dell'unità dell'assemblea: esso esprime e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo dei partecipanti". "Inoltre in tutte le Messe, salvo indicazioni in contrario, i fedeli stiano in piedi dall'inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all'altare, fino alla conclusione dell'orazione all'inizio dell'assemblea liturgica compresa; al canto dell'alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale; dall'orazione sui doni fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.
Stanno invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all'omelia; durante la preparazione dei doni all'offertorio e, se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione. S'inginocchiano poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli".
Si badi che i richiami a questa norma non mirano semplicemente a ovviare ad alcuni modi meno esatti di porsi durante la Messa, ma perché coloro che partecipano alla Messa (soprattutto domenicale) desiderano fare bene le cose e pregare altrettanto bene.
È infatti un diritto dei fedeli sapere anche con quale atteggiamento esteriore inserirsi nella celebrazione, ed è un dovere dei pastori non abbandonare l'assemblea celebrante a se stessa, avendo cura di evitare comunque un dirigismo antipatico e controproducente.
L'atteggiamento comune del corpo è chiaro segno di comunità e di unità dell'assemblea; si può anche interpretare come il minimo comune denominatore su cui si sviluppa quella gestualità che viene suggerita dai libri liturgici e che nelle nostre celebrazioni risulta essere ancora troppo 'ingessata'.
L'atteggiamento comune da tenersi è inoltre inequivocabile dichiarazione della consapevolezza di essere assemblea celebrante; in proposito rileggiamo ciò che il testo sopra citato recita:
"Nella celebrazione della Messa i fedeli formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui, e imparare a offrire se stessi. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione.
Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente che hanno un unico Padre che è nei cieli, e che perciò tutti sono tra loro fratelli. Formino invece un solo corpo, sia nell'ascoltare la parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme".

La liturgia e il corpo
La celebrazione liturgica è fondamentalmente un atto della persona, anima e corpo, che con le altre forma l'assemblea.
Dal momento che la liturgia registra la presenza di un corpo sociale, un gruppo di uomini e di donne, ma anche la presenza dei singoli corpi delle persone, essa riguarda globalmente anche tutto il corpo.
La liturgia, 'memoria di fatti e di gesti', poi, si colloca in uno spazio e in un tempo ben determinati, un tempo ritmato dai cicli del sole e della luna: dati precisi che ci danno anche le coordinate spazio-temporali in cui accade la celebrazione liturgica e che richiedono necessariamente anche un lavoro di inculturazione.
Si aggiunga che in ogni celebrazione si fa appello non soltanto alla riflessione intellettuale, ma si utilizzano elementi del cosmo: acqua, ad esempio, e i 'frutti della terra e del lavoro dell'uomo'...

Un' azione compiuta dal corpo
La liturgia è un'azione compiuta dal corpo. Infatti, la prima legge della liturgia è il radunarsi. L'assemblea è la prima parola del vocabolario liturgico ed è la realtà che ogni battezzato contribuisce a comporre, anche con il proprio corpo.

Le posizioni del corpo
Durante la liturgia noi assumiamo delle posizioni:
Stiamo in piedi = è la posizione dell'uomo nella sua dignità: piedi a terra, con il corpo elevato verso il cielo.
Ci si siede = è atteggiamento di ascolto e di interiorizzazione.
Ci si mette in ginocchio = è una posizione che la liturgia non privilegia (si addice alla preghiera individuale); è un atteggiamento penitenziale.
In alcune importanti circostanze la liturgia prevede anche il prostrarsi: un atteggiamento estremo da cui traspare la volontà di aderire alla terra.
Consideriamo anche le posizioni delle mani e delle braccia = darsi la mano è un segno di confidenza... ci possiamo augurare un gesto specifico, più caratteristico per la 'pace del Signore' che si riceve per trasmetterla; al momento della comunione siamo invitati a stendere la mano... a proposito della comunione sulla mano, non sarà mai sufficientemente ricordato il richiamo fatto da Cirillo di Gerusalemme: "Avvicinandoti... con la sinistra fai un trono alla destra poiché deve ricevere il Re. Con il cavo della mano ricevi il Corpo di Cristo e dì 'Amen'. Con cura santifichi gli occhi al contatto del corpo santo e prendilo cercando di non perdere nulla di esso..." (Catechesi mistagogiche, V, 21-22).
Il sacerdote solleva mani e braccia alle preghiere, alle orazioni e alla preghiera eucaristica: quando le braccia si innalzano, pure la testa si leva, insieme allo sguardo e ai talloni; è tutto l'essere che, invece di raggomitolarsi a guardare gli altri, s'innalza verso il luogo simbolico dove abita colui al quale ci si rivolge.
Anche i fedeli sono invitati, in alcuni casi, a compiere questo gesto... si pensi al momento delle parole dell'istituzione dell'Eucaristia e della recita del Padre nostro... Questi continui cambiamenti durante l'azione liturgica possono essere considerati come un disturbo, soprattutto se ci si porta in chiesa intendendo fare la propria preghiera individuale. Ma la preghiera liturgica è strutturata come atto di tutta l'assemblea e in questa prospettiva i gesti comunitari favoriscono l'azione dell'assemblea e presentano un supporto alla preghiera comune.
Principi e norme per l'uso del Messale, n. 20, così recitano: "L'atteggiamento comune del corpo, che tutti i partecipanti al rito sono invitati a prendere, è il segno della comunità e dell'unità dell'assemblea: esso esprime e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo dei partecipanti".

I gesti e gli atteggiamenti
Accenniamo soltanto anche ai gesti compiuti dai ministri e dai partecipanti alla liturgia, avendo già ricordato il bacio di pace e la mano tesa per ricevere il Corpo di Cristo.
Il gesto che accompagna l'augurio del sacerdote all'assemblea: "Il Signore sia con voi", viene compiuto dal sacerdote stendendo le mani e tutto il braccio. Un saluto che ricorda quello che l'angelo Gabriele rivolge a Maria, quando entra da lei e dice: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". È un augurio che esprime la presenza del Risorto accanto a noi.
I gesti nella liturgia sono importanti e sono anche belli nella misura in cui, però, esprimono simbolicamente l'incontro con Dio che trasforma le creature.
Particolarmente espressivo è il portare all'altare da parte dei fedeli i doni. Non si tratta di un trasporto di cose e neppure di uno spostare quanto è necessario per la celebrazione. Quelli che hanno raccolto le offerte in denaro e che le portano all'altare con il pane e il vino e tutto ciò che serve all'Eucaristia rappresentano tutta l'assemblea che si impegna nell'offerta della propria vita, alla sequela del Signore.
Anche la processione d'ingresso del sacerdote, all'inizio della Messa, deve essere bene intesa: l'avanzare verso l'altare realizza come un pellegrinaggio, cammino ecclesiale per i cristiani che sono stranieri e pellegrini, che bene esprime le parole del Salmo 42: "Verrò all'altare di Dio, al Dio della mia gioia e del mio giubilo".
La processione alla comunione, poi, ben lungi dall'essere una coda davanti alla cassa di un supermercato, è lo spostarsi e l'avanzare insieme verso il luogo della comunione di persone animate dal desiderio di Dio che si esprime pienamente nella mano tesa per ricevere il Corpo di Cristo.
Bastano questi cenni per accorgerci che i gesti e gli atteggiamenti devono essere espressione di una fede illuminata e consapevole, e si iscrivono nella trama stessa dell'azione liturgica che i presenti, per invito del Signore, compiono con il corpo e con l'anima.
Le azioni liturgiche si appellano anche ai sensi. In particolare, i Sacramenti diventano comprensibili attraverso una catechesi che si attua aprendo occhi e orecchie, per vedere quel che si fa, per ascoltare ciò che si dice.
Non possiamo dimenticare, infatti, che la liturgia è un'azione da compiere, più che un problema da capire.

La vista
Il senso maggiormente coinvolto nella liturgia è la vista, al punto che si rischia di confondere l'azione liturgica con uno spettacolo realizzato da attori per un pubblico che assiste: in questa linea si giunge ben presto alla negazione dell'assemblea liturgica.
La liturgia è attraversata dalla logica giovannea del vedere e del credere: "Venite e vedrete" (Gv 1,39).
Ciò che viene colto dagli occhi del corpo viene trasferito alla contemplazione degli occhi del cuore: quel che viene offerto alla vista deve portare alla fede. L'elenco di tutto ciò che si vede nella liturgia ci suggerisce l'importanza del ruolo della vista nell'azione liturgica e soprattutto dell'intuizione della fede che consente di entrare nel mondo dei segni da cui la liturgia è costituita: la fede dà pieno significato all'azione che vediamo con i nostri occhi.
Ci viene chiesta una grande attenzione nei confronti di ciò che si fa vedere nell'azione liturgica... L'importanza della riunione di persone (assemblea) ci porta a considerare la dimensione ecclesiale della liturgia; lo spessore della Parola di Dio viene sottolineato anche dal "libro" (lezionario) che si usa per la proclamazione di essa oppure dall'ambone, luogo da cui la Parola viene proclamata. La medesima cosa sì può dire degli altri "luoghi" liturgici: il battistero, il luogo della Penitenza, l'altare, la sede del presidente della celebrazione...

L'udito
Nella celebrazione vi sono molte cose da sentire o meglio, da ascoltare. L'udito, quindi, è il senso più sollecitato dalla liturgia anche se, dobbiamo ammetterlo, l'udito richiede all'uomo uno sforzo più grande che non la vista. La liturgia usa diversi modi di comunicare: monizioni, canti, letture, preghiere... Si tratta, genericamente parlando, di "testi" ciascuno dei quali appartiene a uno speciale genere letterario.
Ci addentriamo in un settore al quale si è data troppo poca attenzione.
Limitiamoci a qualche rilievo attinente alla proclamazione della Parola. Dovrebbe essere ormai cosa acquisita da tutti che non basta saper leggere le letture per essere in grado di esercitare il ministero del lettore: questo ministero, infatti, viene esercitato per trasmettere la Parola di Dio; un ministero ecclesiale, dunque, che richiede coinvolgimento personale nella lettura e risonanza di fede, nel cuore del lettore, con quanto viene proclamato. E poi, questo ministero richiede continuo esercizio non per diventare dei "professionisti" ma per raggiungere una sufficiente capacità.
È evidente che l'improvvisazione, in questo settore, non può che dare cattivi risultati.
Per la proclamazione dalla Parola di Dio la liturgia offre qualche appoggio: innanzitutto, un "luogo" (ambone) riservato alla proclamazione, posto di fronte all'assemblea - segno che la Parola è ad essa rivolta, ed è la Parola di un Altro, non proviene da noi. In secondo luogo, la liturgia prevede un "libro" (lezionario) per le letture; questo libro viene aperto, quasi per avvisare che questa Parola viene da altrove e mette in guardia lo stesso lettore suggerendo che è posto tra il ministro e l'assemblea, e lo aiuta a trovare la giusta posizione e il tono giusto di voce.
La visione dell'ambone e del lezionario facilitano dunque l'ascolto della Parola (e sottolineano la sua importanza sacramentale). Vista e udito si uniscono per raggiungere l'obiettivo. Badiamo bene: l'azione liturgica tende a favorire l'ascolto, più che la visione, perché "la fede dipende dalla predicazione" (Rm 10, 17). Privilegiare dunque l'ascolto - non la lettura, rinunciando alla comodità che possono offrire i piccoli messali o i "foglietti" che forniscono il testo delle letture del giorno - significa tendere l'orecchio, ascoltare la Parola che viene rivolta ai fedeli da parte di Dio stesso.

Il tatto
La liturgia fa uso sobrio del tatto. Pensiamo ad alcuni gesti: l'acqua che tocca il corpo del battezzato, le unzioni del Battesimo, alla Confermazione, alle ordinazioni e nel caso dell'Unzione dei malati.
Sono gesti ministeriali: si riconosce al ministro della Chiesa il diritto di toccare il corpo degli altri, come lo si riconosce ai professionisti della sanità, medici, infermieri, fisioterapisti...
Al tatto appartiene anche il gesto della pace, che si dà con l'abbraccio o stringendo la mano...

Il gusto
La liturgia fa pochissimo uso del gusto. Attualmente si gustano soltanto il Pane della vita e il calice della salvezza... Questa latitanza dell'appello al gusto nella liturgia potrebbe essere l'occasione perché si dia maggior risalto a quei pochi spazi concessi ad esso; ad esempio, potremmo studiare con maggior attenzione il problema creato - in questo campo - dalle ostie bianche (usate per la Comunione eucaristica), tanto sottili da non ricordare affatto il pane e da non avere nessun gusto...

L'odorato
Anche nei confronti dell'odorato la pratica liturgica è sottosviluppata.
Nella liturgia occidentale non si va più in là dell'incenso; in passato era più frequente l'uso dei petali di rosa in alcune circostanze, anche se più legate al folklore.
Anche del sacro Crisma (confezionato con olio profumato) di solito non si sente il profumo!?!
In questo campo dovremmo fare appello a una maggiore inventiva, soprattutto se si considera che la liturgia, come azione, richiede una conoscenza globale: intellettuale, fisica, corporea. Il significato delle cose, nella liturgia si coglie con tutti i sensi!

LA COMUNIONE SULLA MANO

La Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito che la santa Comunione si possa distribuire anche deponendo la particola del pane consacrato sulla mano dei fedeli, pur riaffermando il pieno valore del modo di distribuire la Comunione deponendo la particola, sulla lingua dei comunicandi.
A partire dal 3 dicembre 1989 (I Domenica di Avvento nel Rito Romano, III Domenica di Avvento nel Rito Ambrosiano) il fedele può ricevere la Comunione eucaristica o nel modo consueto (sulla lingua che sporge dalla bocca) o sulla mano (modo conosciuto nella Chiesa dai primi secoli fino al compimento del primo millennio). Diversi sono i motivi che hanno portato la Chiesa italiana a questa scelta; tra essi elenchiamo i seguenti: la prassi è già consentita in numerose Chiese d'Europa e di altri continenti; sembra un esigenza suggerita dall'accresciuta mobilità delle persone da una nazione all'altra; molti avanzano anche ragioni di ordine igienico.

Perché accedere alla Comunione Eucaristica?
* Il Signore Gesù, il giorno prima di morire, istituì il banchetto eucaristico: prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli e disse: "Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice del vino, rese grazie, lo diede ai discepoli e disse: "Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me".
* Da allora la Chiesa, fedele al suo Signore, si ritrova ogni giorno dopo il sabato per celebrare la memoria della sua Pasqua di morte e di resurrezione; continua a spezzare il Pane della condivisione per le necessità dei fratelli.
* Il cristiano cerca di fare della sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio a imitazione di Cristo che nel suo sacrificio ha offerto la sua vita al Padre e per tutti ha dato il proprio Corpo e ha versato il proprio Sangue.
*La Chiesa al tempo stesso sente l'urgenza di inculcare l'amore profondo a questo 'Sacramento mirabile' e ha riservato grande attenzione e riverenza all'Eucarestia anche nel modo di avvicinarsi alla mensa e di ricevere la Comunione.
* La Comunione al Corpo e al Sangue del Signore è manifestazione della piena, attiva, consapevole e sacramentale partecipazione alla Messa, che è il Convito pasquale.

Come accedere alla Comunione Eucaristica?
Disposizioni interiori:
* La fede nella presenza reale del Signore sotto le specie eucaristiche del pane e del vino consacrati. "L'Amen" che il fedele pronuncia rispondendo alle parole del ministro: "Il Corpo di Cristo" è il segno più eloquente della consapevolezza di ciò che si va a ricevere.
* Lo stato di grazia: la Chiesa chiede che nessuno consapevole di essere in peccato mortale, per quanto si creda contrito, si accosti alla santa Eucaristia senza premettere la confessione sacramentale, a meno che non vi sia grave e urgente necessità.
* Fin dai tempi più antichi la Chiesa chiede la pratica ascetica del digiuno: l'astensione, cioè, da qualunque cibo o bevanda (a meno che non sia semplice acqua o una medicina) per almeno un'ora prima della Comunione. Ne sono dispensati i malati, gli anziani e coloro che li assistono.
Il modo esterno di ricevere la comunione:
* A scelta del fedele che si comunica, due sono i modi ammessi di distribuire la Comunione:
? quello di porre la particola sulla lingua che sporge dalla bocca; quello di deporre la particola sulle mani protese entrambe verso il ministro.
Ovviamente, se la Comunione viene data sotto le due specie, per intinzione, sarà consentito soltanto il primo modo.
* Il ministro adeguerà i suoi gesti alla posizione che il comunicando assume; rispetterà quindi la scelta del fedele e non imporrà in nessun caso il modo da lui preferito. Per il secondo caso il modo prescritto è il seguente: si protendono entrambe le mani a ricevere il Corpo di Cristo (la mano sinistra sopra, leggermente concava, nell'atto di ricevere un dono che viene deposto - la mano destra sotto, quasi a sorreggerla; con la mano destra si prende la particola e la si porta alla bocca.
Dal momento che nel rito della Comunione ci si accosta in fila al ministro, è bene che, dopo aver ricevuto la particola sulla mano, il fedele si sposti a lato, consentendo a chi viene dopo di accedere al ministro. Subito dopo questo spostamento, prima di tornare al posto, egli si comunica stando rivolto all'altare.
L'atteggiamento esterno deve esprimere la confacente, personale devozione e venerazione verso il Sacramento Eucaristico: le labbra pronunciano l' "Amen" che esprime anche il desiderio di diventare membro vivo e responsabile del Corpo di Cristo che è la Chiesa; gli occhi guardano il dono ricevuto...; il corpo si china per la donazione ...; le mani ricevono e portano alla bocca il dono prezioso.


I "FOGLIETTI"
OVVERO LE SCHEDE PER LA MESSA FESTIVA DEI FEDELI

Oggi, acquisita una certa familiarità con la teologia della celebrazione liturgica, viene richiesta con sempre maggiore insistenza l'assunzione di un compito tendente ad educare l'assemblea perché sia pronta all'ascolto, alla risposta e alla partecipazione che esprima consapevolmente l'esercizio del sacerdozio battesimale.
Siamo così chiamati ad educarci perché il sacerdote - un tempo celebrante esclusivo e staccato dall'assemblea (che pregava per conto proprio) - sia capace di presiedere 'in persona Christi' un'assemblea tutta ministeriale e celebrante con lui in forma viva il 'memoriale del Signore'. Mi pare che proprio in questo momento delicato della riforma - rinnovamento (che segna il passaggio dal "provvisorio" alla "normalità creativa" del nuovo rito celebrativo) che i sussidi (compreso i "foglietti"), si siano cristallizzati su una formula - proposta fissa, non più adatta ad un cammino pedagogico del presidente e dell'assemblea verso una celebrazione autentica e ben caratterizzata.
È avvenuto che parallelamente all'accoglienza dell'edizione dei libri liturgici rinnovati e degni delle due mense (con una produzione collaterale di testi e di raccolte di canti), si finì per preferire l'arrivo in parrocchia di sussidi per una Messa non "preparata" ma "preconfezionata", dove tutto è già pronto per essere "usato"... da Palermo a Bolzano, da un'assemblea riunita in una Cattedrale attorno al Vescovo o da una minuscola comunità riunita in una chiesetta di montagna.

"Sussidio" e preparazione dell'assemblea celebrante
Si impone che il "sussidio" per la celebrazione della Messa domenicale sia specificamente ed espressamente preparato per una determinata comunità. Una scelta che suscita la facile obiezione: la mancanza di tempo.
D'altra parte non è ipotetico il pericolo che, affidandoci al tutto "già pronto e confezionato", si finisca per non riconoscere, tra i doveri primari, un lavoro adeguato per programmare e preparare la Messa, e ci si illuda che basti il tempo necessario per distribuire i foglietti sui banchi della chiesa (facendo almeno attenzione a non sbagliare settimana... o a rendersi conto quando c'è una Messa vigiliare...).
Sembra davvero necessario coltivare la convinzione che il tempo dedicato alla preparazione di una liturgia è un vero e proprio ? se non il massimo ? servizio pastorale al popolo di Dio. Questa convinzione dovrebbe guidare il sacerdote e il Gruppo parrocchiale di animazione liturgica nella scelta dei testi della Messa (orazioni, prefazio, preghiera eucaristica, letture, canti), nell'assegnazione dei compiti ministeriali (animatore, ministranti, diversi uffici), nella preparazione dell'omelia, della preghiera universale, ecc. ecc. Un secondo impegno importante riguarda educare l'assemblea liturgica all'ascolto, anche preparando lettori idonei e impianti di amplificazione efficienti.

"Principi e Norme" del Lezionario al n. 45 recita: "Nella celebrazione della Messa, i fedeli ascoltino la Parola con quella venerazione interna ed esterna, che porti in loro costanti progressi nella vita spirituale e li inserisca più profondamente nel mistero che viene celebrato".
Ibidem n. 55: "Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le parole divine, un soave e vivo amore della sacra Scrittura, è necessario che i lettori incaricati a tale ufficio, anche se non hanno ricevuta l'istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno".
Ibidem n. 37: "Non si sostituiscano per rispetto alla dignità della Parola di Dio altri sussidi pastorali, per es.: foglietti destinati ai fedeli per preparare le letture e meditarle personalmente". In fondo, si tratta di mettere in onore e di attuare quanto i testi conciliari e postconciliari ribadiscono insistentemente circa la "partecipazione attiva" (questa è la vera "rivoluzione" operata in campo celebrativo!): tutto quello che vanifica la preparazione assidua e circostanziata di un'assemblea celebrante inesorabilmente mortifica anche le indicazioni della Sacrosanctum Concilium ed esonera il pastore dall'impegno di guida e di animatore primo della "sua" assemblea. Ma noi sappiamo che questo impegno è irrinunciabile da parte nostra; ce lo ricorda anche l'Arcivescovo: "E' importante, e primario compito del lavoro pastorale, che soprattutto la celebrazione domenicale dell'Eucaristia, per il modo con cui è preparata ed eseguita, esprima con chiarezza il suo dinamismo interno..." (Effatà - Apriti, n. 60).

Alcuni orientamenti
Non possiamo nasconderci che le giustificazioni al "foglietto" sono di fatto numerose e motivate...: questo sussidio fa già tutto... che cosa devo preparare di più?
Tentiamo di risolvere il problema avanzando alcune proposte:

1. Uso "guidato" del "foglietto"
Il "foglietto" può servire durante la celebrazione in alcune circostanze che si possono verificare durante la celebrazione stessa:
- il fedele non riesce a ritenere a memoria le formule comuni ("Gloria", "Credo" ...);
- lo sforzo di ritenere a memoria il ritornello del salmo responsoriale a volte alimenta la distrazione dal testo del salmo stesso;
- può capitare di fare ricorso al "foglietto" per la lettura comunitaria di un testo della Messa da parte dell'assemblea...
Più che opportunamente la distribuzione del "foglietto" sia quindi accompagnata da puntuali indicazioni per l'uso: diversamente si favorisce la confusione dei compiti nell'assemblea "gerarchicamente costituita e organicamente compaginata", non la partecipazione alla celebrazione. Del resto, sappiamo come sia concreta da parte dell'assemblea celebrante (pastore e fedeli) la possibilità dì cadere in pericolosi equivoci; ad esempio:
- la sistematica (non motivata) lettura simultanea del testo riportato dal "foglietto" mentre il lettore "proclama" la Parola di Dio;
- il leggere, quasi "suggerire" i testi eucologici riservati al presidente dell'assemblea liturgica, da parte dei "devoti";
- il cedere, da parte del presidente, alla suggestione di seguire pedissequamente le monizioni, le introduzioni, a scapito della creatività (non "ímprovvisazione") prevista dai libri liturgici;
- il proporre un generico "atto penitenziale" che invece richiede di essere formulato con attenzione ai problemi del vissuto, alla situazione della comunità;
- l'usuale ricorso al testo stampato per proporre la preghiera universale, senza tener conto che essa, come preghiera dei "fedeli", deve coinvolgere anche i laici nella preparazione e nell'esecuzione, garantendo così una sintonia con la specifica assemblea celebrante.

2. Il "foglietto", sussidio "prima e "dopo"
Il "foglietto" rappresenta uno strumento di pastorale liturgica che domanda intelligenza e perspicacia nei tempi e nei modi d'uso.
Il continuare ad affidarsi ad esso, e soltanto ad esso, come sussidio destinato ai fedeli per la celebrazione della Messa, sembra espressione della situazione di stasi in cui si trova il cammino del rinnovamento liturgico, e reclama la necessità urgente di correre ai ripari perché questa fase stagnante sia superata.
Il "foglietto" può rappresentare un sussidio che prepara remotamente alla Celebrazione: il fedele trova in esso i testi biblici e liturgici, le introduzioni e i commenti... con la lettura meditata di essi (nella tranquillità della sua casa) si preparerà ad accogliere adeguatamente, nella prossima domenica, l'annuncio vivente e palpitante della buona novella e a celebrare l'"hic et nunc" della salvezza.
I "foglietti", in un secondo tempo, saranno di grande aiuto (di ritorno tra le pareti domestiche) per approfondire durante la settimana il significato della celebrazione festiva, favorendone la traduzione e l'applicazione nella vita quotidiana.

3. Scheda liturgica appositamente preparata
Oggi non è difficile ed impossibile preparare un foglio-sussidio per la propria assemblea (è il preciso compito del pastore che guida il gruppo parrocchiale di animazione liturgica) anche perché esso deve contenere indicazioni essenziali: un titolo (indicazione della festa, con un "motto" riassuntivo della tematica), il canto d'ingresso (testo o testo e musica), indicazione per l'atto penitenziale, citazione per le letture, testo del salmo responsoriale (possibilmente cantato), canto dopo il Vangelo, acclamazione dopo la consacrazione, canto allo spezzare del pane, canto alla comunione, eventuali osservazioni sulla celebrazione.

4. Libro di preghiera e dei canti
Per partecipare attivamente alla celebrazione è sufficiente che i fedeli abbiano tra mano il "Libro di preghiera e dei canti" della diocesi. Ovviamente occorre la presenza di un animatore liturgico che aiuti i fedeli a usarlo in modo pertinente, restando comunque inteso che colui che presiede la celebrazione non può in nessun caso ritenersi dispensato dal preparare e dall'intervenire come principale animatore di quella specifica assemblea, in quella particolare situazione celebrativa.


LA PARTECIPAZIONE ALLA LITURGIA

Il Concilio Vaticano II rivolge, prima che ad altri, ai pastori d'anime la sua parola riguardante il compito di promuovere la partecipazione alla liturgia dei fedeli; poi rivolge la sua raccomandazione ai medesimi perché riscoprano in se stessi e nella liturgia quelle motivazioni che permettono che il popolo cristiano non assista semplicemente e passivamente alle cerimonie del culto divino, ma capisca il senso di esse e ad esse sia associato in modo che la celebrazione sia piena, attiva e comunitaria (cfr. SC 21).
Si vuole sottolineare che la celebrazione liturgica è azione dell'intera assemblea: tutti i componenti di essa sono attori e quindi "partecipano" ossia "prendono parte" attivamente a quanto si compie.
L'assemblea, soggetto della celebrazione liturgica ? ovvero, la partecipazione attiva alla liturgia ? è il punto fondamentale da cui si deve partire per attuare un'autentica celebrazione liturgica e quell'accurata revisione generale della liturgia che la Chiesa "ardentemente desidera" (SC 2 1).

Che cosa è la partecipazione liturgica?
Uno degli scopi della riforma liturgica (cfr. Inter oecumenici 4) per cui viene garantita quella presenza per effetto della quale quanti intervengono alla celebrazione liturgica sono soggetti attivi - attori - della medesima e non semplici spettatori o peggio estranei passivi e distratti.
Questo tipo di partecipazione è di carattere universale:
- riguarda tutti i membri del popolo di Dio; non solo i sacerdoti, i religiosi, gli impegnati, ecc., ma anche i semplici, gli analfabeti, i bambini, i meno formati...
- riguarda tutti i membri delle singole assemblee liturgiche anche se non li riguarda tutti allo stesso modo.

Proprietà della partecipazione attiva
- Pienezza (compiutezza): riguarda tutti gli atti di culto, e tutte le parti dei singoli atti di culto.
- Consapevolezza: conoscenza illuminata di quanto si fa o si dice (riti, gesti, preghiere...); coscienza delle proprie funzioni da esercitare nella liturgia; conoscenza dei motivi che fondano la partecipazione.
- Attività: la partecipazione primariamente interiore deve manifestarsi anche "con atti esterni, come sono le posizioni del corpo - in ginocchio, in piedi, seduti -, i gesti rituali, soprattutto le risposte, le preghiere e il canto " (MS 22b).

Fondamento teologico della partecipazione attiva
- La natura stessa della liturgia: essa, nella sua intima struttura e nella sua essenza, è azione di tutto il corpo della Chiesa (del Vescovo e con lui di tutto il popolo santo) e si esprime in forme che prevedono l'intervento dell'intera assemblea pur nel pluralismo di funzioni diverse e di modalità differenti di partecipazione dei singoli membri della stessa assemblea.
- Il Battesimo: sacramento che aggrega al popolo di Dio "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto", (1 Pt 2,9). Più precisamente, potremmo dire che il secondo fondamento è la partecipazione al sacerdozio di Cristo da parte di tutti i membri del popolo di Dio per effetto dei Battesimo.

Diversità di forme, di funzioni e di gradi nella partecipazione attiva
Le azioni liturgiche "toccano i singoli membri in maniera diversa, secondo la diversità degli ordini, delle funzioni e dell'effettiva partecipazione" (SC 26).
Le diverse modalità della partecipazione alla liturgia vanno distinte secondo il duplice profilo del tipo di partecipazione al sacerdozio di Cristo e del tipo di azione che si compie.
In base al tipo di partecipazione al sacerdozio di Cristo distinguiamo: la partecipazione in forma generale o comune (sacerdozio battesimale o regale, proprio dei laici); la partecipazione in forma ministeriale o gerarchica (sacerdozio comunicato attraverso il sacramento dell'Ordine, proprio del vescovo, del presbitero e del diacono).
In base al tipo di azione che si compie, distinguiamo: la partecipazione generica (quella del numero maggiore di membri dell'assemblea, che pur svolgendo una parte attiva, non assolvono a un ufficio specifico); la partecipazione specifica (quella di quanti assolvono a un ufficio preciso e ben determinato): essa è ministeriale e non-ministeriale.

Frutti derivanti dalla partecipazione alle sacre celebrazioni:
- si può attingere abbondantemente alla vita divina per la propria formazione cristiana (Inter oecumenici 8).
- si può alimentare la vita spirituale di intimità con Cristo (Apostolicam actuositatem 4).

Alcuni principi generali circa la partecipazione alla liturgia
Dovrebbe essere scontato: occorre usare ogni mezzo perché i fedeli partecipino attivamente alle sacre celebrazioni (Eucaristicum mysterium 46) e, quindi, preferire sempre una celebrazione comunitaria con la partecipazione dei fedeli (SC 27). Di qui:
- Il compito di educare i fedeli alla partecipazione attiva alla liturgia: i pastori d'anime devono sforzarsi di attuare con impegno e con pazienza quanto viene stabilito dalla Costituzione liturgica sull'ducazione liturgica dei fedeli e la loro partecipazione attiva, interna ed esterna, che "deve essere promossa secondo la loro età, condizione, genere di vita e grado di cultura religiosa" (SC 19). Soprattutto devono curare l'educazione liturgica e la partecipazione attiva di coloro che fanno parte delle associazioni religiose di laici, tenendo presente che essi devono partecipare alla vita della Chiesa in modo più pieno, ed essere di aiuto ai sacri pastori anche nel promuovere convenientemente la vita liturgica della parrocchia (SC 42).
- Come curare la partecipazione attiva:
"Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, il silenzio" (SC 30).
"Perché i fedeli partecipino attivamente alla liturgia più volentieri e con maggior frutto, conviene che le forme di celebrazione e i gradi di partecipazione siano opportunamente variati, per quanto possibile, secondo le solennità dei giorni e delle assemblee" (MS 10).
"... la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta nel canto, si promuova con ogni cura" (MS 16).
- La partecipazione alla liturgia è un diritto-dovere:
"Nell'assemblea che si riunisce per la Messa, ciascuno ha il diritto e dovere di recare la sua partecipazione in diversa misura, a seconda della diversità di ordine e di compiti"...
"Tutti, sia i ministri che i fedeli, compiendo il proprio ufficio nella Messa, facciano tutto e soltanto ciò che è di loro competenza; così che la stessa disposizione della celebrazione manifesti la Chiesa costituita nei suoi diversi ordini e ministeri" (PNMR 58; PNMA 59).
- Il rinnovamento liturgico favorisce una migliore partecipazione alla Messa:
"La Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, pienamente e attivamente; siano istruiti nella parola di Dio; si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano grazie a Dio, offrendo l'ostia immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi e, di giorno in giorno, per mezzo di Cristo mediatore, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti" (SC 48).
- Quale deve essere la partecipazione dei fedeli:
Prima di tutto, interna: e per essa i fedeli conformano la loro mente alle parole che pronunciano e ascoltano, e cooperano con la grazia divina; anche esterna: e con questa manifestano la partecipazione interna attraverso i gesti e l'atteggiamento del corpo, le acclamazioni, le risposte e il canto (cfr. MS 15).
- Preparazione alla partecipazione alla liturgia:
remota, soprattutto attraverso la catechesi (Eucaristicum mysterium 11) prossima: in particolare ordinando le celebrazioni (PNMR e PNMA 2 e 5).

CELEBRARE

"Celebrare" è un concetto sul quale oggi si riflette molto: si vuole meglio capire - per vivere più intensamente - questa realtà poliedrica che chiama in gioco dinamismi umano-divini.

La storia della salvezza
L'orientamento-base e la premessa essenziale che ci guidano nella riflessione consistono nel tenere vivo il senso della storia della salvezza in cui gli uomini e il mondo sono inseriti.
Dio "vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4): questo piano di salvezza, quest'opera di redenzione, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nell'Antico Testamento, è stata compiuta in Cristo Signore.

La Chiesa
Ma parallelamente deve rimanere lucida alla nostra considerazione la verità della Chiesa: costituita da Cristo come sua (Mt 16, 18), che vive edificata su Cristo (1 Pt 2,5), che è tempio del Signore e Corpo di Cristo (1 Cor 3,16-17, 2 Cor 6,6-16; Ef 2,2 1) e che - quando "la Parola si fece carne e pose la sua tenda tra noi" (Gv 1, 1-14; cfr Gv 2,15-16) - è il luogo spirituale del culto di Dio.
Da allora la Chiesa non tralascia di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale mediante l'azione di grazie "a Dio per il suo dono ineffabile" (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, "in lode della sua gloria" (Ef 1, 12), per virtù dello Spirito Santo (Sacrosanctum Concilium 6). E in questo tempo della Chiesa (che è la continuazione del tempo di Cristo), la Chiesa attua la salvezza nella liturgia, ultimo momento della salvezza.

La liturgia
In terzo luogo, giova alla formazione del concetto di "celebrare" la precisa cognizione teologica della liturgia della Chiesa, fondata saldamente su Cristo sacerdote, pontefice eterno, mediatore della Nuova Alleanza.
E il Concilio Vaticano II che offre un'analoga definizione di liturgia, in questa linea: "Giustamente perciò la liturgia è ritenuta come l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale" (Sacrosanctum Concilium 7).
La Chiesa è capace di attuare un'opera così grande quale la redenzione perché Cristo è presente in essa, nelle azioni liturgiche in modo speciale: nella liturgia è sempre attiva la meravigliosa realtà soprannaturale del piano della salvezza.


La comunità sacerdotale e cultuale
Non deve essere neppure disatteso il concetto di Chiesa come comunità sacerdotale e cultuale; dalla nostra riflessione, cioè, deve trasparire, come in filigrana, anche il dato teologico circa il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale. In questa sede basta il semplice richiamo ad esso: l'argomento verrà sviluppato nella trattazione dell'assemblea celebrante e della partecipazione attiva alla liturgia.

Per attuare la celebrazione
Concretamente, per il rinnovamento della celebrazione dobbiamo rifarci a una rivoluzione non tanto nei riti quanto nella mentalità: per questo ci dobbiamo appellare ai fondamenti sopra richiamati, e anch'essi calati nel contesto culturale del nostro tempo.
"Celebrare" diventa davvero il testo di verifica di quanto viene affermato nella Costituzione liturgica circa la liturgia "culmine dell'azione della Chiesa e fonte della sua virtù" (Sacrosanctum Concilium 10).
Così, "celebrare" coinvolge un complesso dinamismo di concetti: ricordare, esaltare, accogliere il dono del Signore, assumere precisi impegni morali, aprirsi a orizzonti futuri... E precisamente in questo "luogo" teologico la struttura della celebrazione riceve significato: la comunità viene radunata da Dio, entra in dialogo con lui e con lui stringe la nuova Alleanza nel sangue di Cristo, e, mossa dallo Spirito Santo, ritorna in missione.
Dunque, tentando di ridurre a schema quanto una comunità deve tenere presente per avviare un autentico rinnovamento della celebrazione, potremmo elencare almeno i seguenti cinque punti:
1. Coltivare la consapevolezza di essere popolo di Dio (cfr. 1 Pt 2,9), cioè di essere di fronte a una convocazione che viene da Dio e di sperimentare l'inserzione viva in un avvenimento di salvezza.
2. Vivere nel clima di comunione, dando risalto alla struttura dialogica della celebrazione stessa, valorizzando i momenti di creatività e gli inviti all'attualità.
3. Manifestare la fede nella presenza di Gesù Cristo che salva; da questa convinzione deriva il clima di festa (che è inseparabile dalla gioia) di ogni celebrazione.
4. Avvivare l'attenzione ai mezzi espressivi della celebrazione (formule, gesti, canti, silenzio, atteggiamenti esterni e interiori... sapendo cogliere il dinamismo e la forza dei riti).
5. Instaurare un giusto rapporto tra preghiera e vita: il dono ricevuto mediante la fede deve esprimersi nel quotidiano, così da rinnovare il servizio della carità e l'impegno missionario.


IL TRIDUO PASQUALE

La celebrazione, che la Chiesa compie, del triduo pasquale del Signore Gesù Cristo crocifisso, sepolto e risorto, inizia con la Messa "Nella cena del Signore" del giovedì santo, passa per la contemplazione del mistero della morte di Gesù del venerdì santo e si conclude con l'annuncio solenne della "bella notizia" che Cristo è risorto della veglia e della domenica di Pasqua.
La vicenda pasquale di Cristo non è da contemplarsi in episodi staccati l'uno dall'altro ma nella realtà di un unico evento: il passaggio dalla morte (accettata e non soltanto subita) alla vita nuova che fonda la nostra speranza.

GIOVEDÌ SANTO
La Chiesa celebra il gesto di Gesù che dona se stesso, fino al dono della sua vita: Egli si consegna agli avversari e consegna nelle mani dei suoi discepoli il suo Corpo e il calice del suo Sangue come "memoriale" perpetuo.
La Messa "in coena domini" apre il memoriale della passione del Signore, che inizia nel cenacolo e si conclude con il tradimento di Pietro (Mt 26, 17-75).
Dio, nel suo grande amore, è clemente e misericordioso (Gio 1, 1-6. 2, 1-2,11; 3, 1-5, 10; 4, 1-11); anche l'Eucaristia risale alla volontà e al gesto d'amore di Cristo nell'ultima cena (1 Cor. 11, 20-34).
Mistericamente ricordiamo la più nera ingratitudine durante la notte del più intenso amore: la Chiesa ci presenta la sublime realtà dell'Eucaristia come l'espressione suprema della donazione universale di Cristo.
Lavanda dei piedi: si ripete un atto di carità che deve essere assai comune nella Chiesa; e ciò in obbedienza al precetto di Gesù: "Vi ho dato l'esempio affinché come ho fatto io, anche voi facciate" (Gv. 13, 15).

VENERDÌ SANTO
Celebriamo la morte redentrice di Cristo sulla croce: la Chiesa si sofferma nella meditazione della fine, drammatica e sofferente, del suo Signore.
Vespri con la celebrazione della Parola di Dio: l'austera liturgia nelle due letture dal profeta Isaia (49, 24-26; 50, 1-11 e 53, 1-12) congiunte dal Salmo 2 1, offre la prefigurazione della sofferenza del servo di Dio per espiare i nostri peccati e trova il suo valore definitivo e universale, in ordine alla nuova ed eterna alleanza, nella narrazione della Passione secondo Matteo (27, 1-66).
Anche se sappiamo che ormai Cristo è nella gloria, il fatto di celebrare la sua morte avviene con serietà, sia perché essa è avvenuta in un momento storico preciso - che ha segnato il massimo della iniquità e insieme il vertice dell'amore - sia perché quella vicenda si ripete nella vita di ciascuno di noi.
Adorazione della croce e preghiera universale
Le preghiere e gli inni contengono anche espressioni profetiche e vibrazioni di speranza: la Chiesa vede nel santo legno della Croce il segno glorioso della vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato; nel contempo, innalza a Dio una solenne preghiera per le diverse categorie di fedeli e di uomini, per le varie necessità della Chiesa e del mondo.
Accanto a questa celebrazione della passione e morte del Signore la pietà popolare ha sviluppato, tra le altre devozioni, la "via crucis": drammatizzazione del racconto della passione.

VEGLIA PASQUALE
La Chiesa celebra la risurrezione di Cristo dai morti, momento culminante della storia di Dio nel mondo.
La veglia pasquale è attesa da parte della Chiesa del mistero della risurrezione di Cristo; è la notte dell'incontro con Cristo risorto.
La veglia è una celebrazione che consente a noi di partecipare al mistero pasquale che ogni anno diventa, in misura maggiore, la nostra pasqua ossia il nostro passaggio dal peccato alla grazia, dalla morte alla vita, dalla terra al cielo.
In questa notte ci immergiamo nel cuore stesso della vita cristiana, celebriamo la "liturgia madre" di tutte le liturgie: ci incontriamo con il mistero di Cristo che ci porta con sé dal mondo al Padre, e ravviviamo la nostra attesa della Pasqua finale, quando ritornerà lo Sposo, quando la terra si trasformerà nel cielo.

Lucernario: è la preghiera per la benedizione e l'accensione del cero, simbolo di Cristo risorto, luce del mondo, e quindi principio di luce e di vita di tutte le cose.
Questa preghiera consiste in un inno grandioso che sintetizza tutti i temi della veglia pasquale.

Liturgia della Parola
E' costituita, nel rito ambrosiano, da sei letture veterotestamentarie prefigurative dell'opera di redenzione, del sacrificio di Cristo e della profonda rinnovazione interiore dell'uomo peccatore per effetto della Pasqua del Signore Gesù, resa operante attraverso il Battesimo, sacramento della rigenerazione, e l'Eucaristia.
La serie delle letture:
Gen 1,1-2, 3a: le meraviglie della creazione come segno della potenza di Dio
Gen 12,1-19: il sacrificio di Isacco
Es 13, 18-22; 14, 1-8: la colonna di nube e di luce che accompagna il passaggio del Mar Rosso
Es 12,1-11: il sangue dell'agnello preserva gli ebrei dallo sterminio
Is 54,17; 55,1-11: convocazione dei servi del Signore alle sorgenti d'acqua e al convito
Is 1, 16-19: invito alla conversione e alla purificazione del cuore.

Annuncio della risurrezione di cui troviamo eco e ampio commento nelle tre letture che seguono:
At 2, 22-28: annuncio di Pietro: Gesù risuscitato
Rm 1, 1-7: il Vangelo consiste essenzialmente nell'annuncio del Signore risorto
Mt 28, 1-7: non cercate tra i morti Colui che vive.

Liturgia battesimale
La benedizione solenne dell'acqua è una preghiera di consacrazione che sintetizza i principali simbolismi biblici del Battesimo. Ad essa segue la celebrazione del Battesimo oppure la rinnovazione delle promesse battesimali da parte di tutta l'assemblea.

Celebrazione dell'Eucaristia
Essa nella veglia ha le maggiori possibilità di comprensione e di donazione: l'immolazione di Cristo, il vero Agnello che portò via i peccati del mondo, distrusse la morte mediante la sua e ci ha reso la vita mediante la risurrezione (cfr. Prefazio), è più che mai presente e viva, anche a livello psicologico, in questa "beatissima notte".


Pubblichiamo alcuni passaggi trascritti dalla registrazione dell'OMELIA che l'Arcivescovo ha tenuto in Duomo DURANTE LA MESSA CRISMALE

Parto dal significato che la liturgia ha nella vita della Chiesa, come "culmine verso cui tende" tutta la sua azione "e insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù" e mi domando: come giustificare, a partire dal Nuovo Testamento, questo primato della preghiera liturgica?,
Leggendo il Nuovo Testamento cogliamo che esso piuttosto che sulla organizzazione del culto liturgico insiste sul kerygma e sul comportamento etico conseguente, sulla vita nuova in Cristo, sulle virtù dei cristiano.
Come possiamo allora affermare che la liturgia è "la fonte da cui promana tutta la virtù" della Chiesa, è "fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione"? E una domanda che mi affiora soprattutto quando sono affaticato dalle lunghe liturgie, ripetute magari di seguito in diverse parrocchie nelle visite pastorali. Mi dico: come mi sostiene il Nuovo Testamento in questa fatica? E che cosa dire a tutti quei preti che partecipano con me a questa fatica?
1. Una prima osservazione: mi pare che se nei vangeli si parla poco o nulla della liturgia cioavviene perché essi sono di fatto una liturgia vissuta con Gesù in mezzo ai suoi. I vangeli sono Gesù che parla ai discepoli e alla gente, che li ascolta, che guarisce e sana, che comunica se stesso. Sono la rappresentazione di Gesù che soffre e muore per la moltitudine. E' questa la liturgia dei vangeli: essere attorno a Gesù nella sua vita e nella sua morte.
2. A mio avviso è dunque estremamente importante cogliere nella liturgia questa fondamentale dinamica: essere noi oggi attorno al Cristo glorioso, che ci parla, ci ascolta, ci sana, prega a nostro nome, proprio come faceva con gli apostoli negli anni della sua esistenza terrena.
La liturgia è stare oggi intorno alla persona del Signore, ascoltarlo, parlargli, pregarlo, lasciarlo pregare per noi. Potremmo dire che la liturgia è la danza della Chiesa attorno al Cristo, un po' come la danza di Davide attorno all'arca, è quella gratuità gioiosa che si sprigiona dalla presenza di Gesù.
3. La liturgia è una danza attorno a Cristo che conserva le piaghe della passione: il Risorto è il Crocifisso, "Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue" (Ap 1,5). Ora è nella sua vita gloriosa e noi ce ne rallegriamo facendo memoria della sua morte come dono per noi. E danziamo a lungo attorno a lui con l'aiuto dei salmi, dei cantici, delle orazioni; lo ascoltiamo nelle letture, ci lasciamo inondare dalla sua presenza, che ci possiede con la forza e l'amore con cui, crocifisso, si è donato per noi.
4. Di conseguenza, la liturgia è anzitutto azione di Gesù a nostro vantaggio. Non è qualcosa che noi facciamo per Gesù; è lui ad agire per la nostra santificazione. E' il Padre che in lui avvolge della sua potenza. La liturgia sta a dirci che Dio ci vuole bene, che opera in noi per la potenza dello Spirito Santo.
Essa è quindi una serie di azioni che il Cristo compie nella potenza dello Spirito in noi, con noi e per noi. Ce lo ripete anche il Papa nella sua lettera del Giovedì Santo: "Senza la potenza dello Spirito, come potrebbero infatti labbra umane far sì che pane e vino diventino il Corpo e il Sangue del Signore fino alla fine del mondo"?
Non di rado dimentichiamo questo primato del 'Cristo Risorto' operante per noi nella liturgia.
A me dà conforto pensare, quando mi sento affaticato nel celebrare il terzo pontificale di una giornata, che Gesù sta agendo, ci nutre, ci fa suoi, intercede per noi.
5. È così anche possibile cogliere nella sua giusta luce quell'aspetto della liturgia che viene spesso opportunamente sottolineato, cioè l'aspetto simbolico. Si tratta del fatto che la liturgia "mira oltre", si spinge al di là di sé, ci sospinge oltre noi stessi. Ma ciò va detto anzitutto di ciò che la liturgia dice e fa da parte di Dio. Dicendo che la liturgia è azione simbolica diciamo che essa significa anzitutto ciò che Gesù fa e intende dire per noi. In particolare l'Eucaristia, col simbolo del nutrimento, del pasto, dice che Gesù vuole stare con noi, identificarsi con noi, vivere in noi, donarci se stesso, farci vivere l'unione mistica, cioè l'unione di volontà, la fusione di due cuori che si amano. Dice l'infinità dell'amore di Dio, della sua misericordia, della sua tenerezza per me.
6. Chiarita l'attività principale del Risorto nella liturgia, possiamo allora aggiungere che l'Eucaristia è anche azione simbolica della Chiesa. In essa la Chiesa proclama a Dio il suo amore mediante simboli, gesti, parole, vesti liturgiche, segni. La liturgia dice a Dio che gli vogliamo bene, dice a Gesù risorto che gli siamo grati per la sua presenza. per il dono della sua morte in croce quale culmine di tutti gli altri doni. Dice che a partire da tale gratitudine - cioè "eucaristia" - vogliamo stare con lui, accogliere la sua volontà di identificarci con sé.
Perciò riteniamo - come affermava già Tommaso d'Aquino - che non è necessario capire sempre tutto il significato di tutte le parole che ripetiamo; ciò che conta davvero è l'abbandonarsi al ritmo della liturgia che ci fa dire a Dio: Ti amo, ti accolgo, voglio essere con te, ti ringrazio di essere tra noi, uniscimi totalmente a te.
In tal modo la liturgia è un ambito che ci accoglie, è un vortice che ci trasporta e ci identifica con Dio grazie all'azione dello Spirito.
7. La liturgia così intesa è azione di popolo, che supera la nostra coscienza soggettiva, è il Corpo stesso di Gesù che parla, ascolta, risponde, ama, si dona. E tutto questo avviene nel flusso del tempo, senza che noi ci pensiamo troppo, avviene col suo ripetersi, nel rispetto dei tempi del divenire umano.
A modo di conclusione, esprimo qualche suggerimento pratico, per il modo con cui vivere la liturgia:
- Chi celebra l'Eucaristia deve sentire lo Spirito di Cristo che sta operando. Non misuriamo il valore della celebrazione dai nostri stati d'animo che sono mutevoli; ammiriamo e stupiamoci perché, pur se attraverso i nostri stati d'animo imperfetti, lo Spirito danza, ride, crea, agisce.
- Lo stesso accade per la liturgia delle Ore. Essa, nell'intenzione della Chiesa, è preparazione alla celebrazione eucaristica e suo prolungamento. Ha dunque un alto valore simbolico che ci trasporta nel mistero divino, ci nutre e ci santifica.
- Vorrei che questa certezza della presenza del Signore fosse tenuta presente anche nella lectio divina, sia quando la facciamo per noi come quando la facciamo per altri: è Gesù che ci parla nelle pagine della Scrittura, le sue parole sono spirito e vita.
- L'ultimo consiglio è per i momenti nei quali ci capita di essere troppo affaticati e appesantiti dalle lunghe celebrazioni. In questi momenti dobbiamo essere certi che, qualunque cosa sentiamo o viviamo, siamo comunque in Gesù.
E lui a prendersi cura di noi allorché non riusciamo a esprimere quei sentimenti profondi che ci piacerebbe avere in quel momento; a noi spetta di dargli fiducia, dimenticandoci e affidandoci alla sua presenza di crocifisso risorto e glorioso in mezzo a noi.
La liturgia diviene allora anche l'esercizio di un distacco da noi stessi, che dà pace e serenità anche nei giorni eccessivamente carichi di impegni.
La liturgia è grande educatrice al primato della fede e della grazia: è quello che chiamo l'aspetto "mistico" della liturgia, che non vanifica il cammino ascetico di cura minuziosa di tutte le osservanze liturgiche, ma che ne costituisce il cuore e l'anima. Appare allora perché la Chiesa, a partire dal Nuovo Testamento, abbia sviluppato, codificato, interpretato e ampliato le principali azioni liturgiche accennate nei libri sacri, lasciandosi ispirare dalla liturgia sinagogale e dal ricco materiale liturgico dell'Antico Testamento: affinché la nostra debolezza venisse sostenuta e coinvolta e si lasciasse avvolgere ogni giorno di più nel mistero del Cristo glorioso, che auguro a tutti di poter gustare in pienezza nella Pasqua.


IL SILENZIO LITURGICO

Il silenzio nella liturgia rappresenta un elemento strutturale, è una delle condizioni di preghiera che va tenuta presente nella formazione liturgica, una condizione perché i fedeli non risultino nell'azione liturgica come estranei o muti spettatori.
Il silenzio liturgico ha una motivazione generale: "per promuovere la partecipazione attiva" (Sacrosanctum Concilium 30).
In particolare, il silenzio favorisce l'ascolto della parola e la risposta della meditazione e della preghiera, per accogliere nei cuori la piena risonanza della voce dello Spirito Santo e per unire più strettamente la preghiera personale con la parola di Dio.
La natura e le funzioni del silenzio liturgico dipendono anche dai momenti nei quali esso entra a far parte dell'azione liturgica.
Potremmo, pertanto, indicare come esemplificazione:
- Il silenzio di raccoglimento: si ha quando tutta l'assemblea è invitata a raccogliersi "per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e formulare nel proprio cuore la preghiera personale" (Principi e norme per l'uso del Messale 32); è un silenzio in funzione della preghiera personale;
- Il silenzio è appropriazione: fatto soprattutto di ascolto e di interiorizzazione, durante le grandi preghiere presidenziali. Abbiamo l'esempio più comune di "sacro silenzio " nella preghiera eucaristica, pronunciata dal sacerdote ministeriale che interpreta sia la voce di Dio, che si rivolge al popolo, sia la voce del popolo, che eleva gli animi a Dio.
- Il silenzio meditativo: è quello di risposta alla proclamazione della parola di Dio; favorisce "una più profonda intelligenza della parola di Dio e il conseguente assenso del cuore" (Introduzione al Lezionario 28).
- Il silenzio di adorazione: quello che rende più consapevole la nostra "vita nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3) e assume una più intensa espressione nel nostro incontro con il mistero eucaristico, sia che i fedeli si preparino "a ricevere con frutto il corpo e il sangue di Cristo", sia che si intrattengano dopo la comunione "a innalzare in cuor loro lodi e preghiere al Signore" (Principi e norme per l'uso del Messale).
Infine, circa questo argomento ci sembra di poter affermare che è evidente la "riscoperta" del silenzio liturgico da parte della riforma proposta dal Concilio Vaticano II. Ci pare che la riforma liturgica abbia posto fine al mutismo dell'assemblea cristiana ed abbia fatto rifiorire il silenzio come momento celebrativo e come forma piena di partecipazione liturgica. Il sacro silenzio non è da considerarsi come elemento assoluto ed insostituibile, di carattere magico, ma come condizione spirituale per l'inserimento nel mistero celebrato, per l'ascolto della parola e per la risposta dell'assemblea, momento privilegiato dello Spirito che fa crescere la comunità in tempio santo.
Il silenzio, in pari tempo, diventa espressione di fede e segno di riverenza con cui la comunità circonda l'azione salvifica di Dio, e crea il clima e gli atteggiamenti spirituali necessari all'esperienza liturgica.
Ne deriva che una maggiore ricerca del silenzio nella liturgia è segno anche di una maggiore maturità celebrativa.
Se da una parte non si possono programmare tassativamente tempi e spazi di silenzio (non è questione di durata temporale, piuttosto di durata "psicologica", quella che si vive nell'anima), dall'altra, si impone un problema di regia, di programmazione rituale, che esige sensibilità, tatto, sobrietà, discrezione. Il silenzio, così, diventa costruttivo: edifica e forma la comunità celebrante.
Questa prassi liturgica circa il silenzio è in accordo con l'orientamento contemplativo della spiritualità contemporanea in cui dominano raccoglimento, deserto, ascolto... intesi come condizioni per aprirsi allo Spirito e ricalcare il cammino di preghiera di Cristo.
Il valore del silenzio può essere sintetizzato in questa espressione di A. Bugnini: "è vivificante momento di grazia, in cui tace la creatura, ma parla lo Spirito".
Il silenzio, capace di interiorizzare il gesto, di prolungare l'ascolto della parola, di stimolare la conversione del cuore, di sostenere il colloquio personale con Dio, di favorire la preghiera di lode e di ringraziamento... E'questo un campo nel quale rimane molto da fare e dal quale molto possiamo attenderci.


IL LUOGO DELLA CELEBRAZIONE

Ci limitiamo a richiamare quanto l'Introduzione al Messale dice a proposito della chiesa, inserendo a tempo opportuno le indicazioni dei documenti successivi.

Disposizione della chiesa per l'assemblea eucaristica
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 270)
Il popolo di Dio, che si raduna per la messa, ha una struttura organica e gerarchica, che si esprime nei vari compiti (o ministeri) e nel diverso comportamento secondo le singole parti della celebrazione. Pertanto è necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l'immagine dell'assemblea riunita, consentire l'ordinata e organica partecipazione dì tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno. I fedeli e la schola avranno un posto che renda più facile la loro partecipazione attiva.
Il sacerdote invece e i suoi ministri prenderanno posto nel presbiterio, ossia in quella parte della chiesa che manifesta il loro ministero gerarchico, e in cui ognuno rispettivamente presiede all'orazione, annuncia la parola di Dio e serve all'altare.
Queste disposizioni servono a esprimere la struttura gerarchica e la diversità dei compiti (o ministeri) ma devono anche assicurare una più profonda e organica unità, attraverso la quale si manifesti chiaramente l'unità di tutto il popolo santo. La natura poi e la bellezza del luogo e di tutta la suppellettile devono favorire la pietà e manifestare la santità dei misteri che vengono celebrati.

Il presbiterio
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 271)
Il presbiterio si deve opportunamente distinguere dalla navata della chiesa per mezzo di una elevazione, o mediante strutture e ornamenti particolari. Sia inoltre di tale ampiezza da consentire un comodo svolgimento dei sacri riti.

L'altare
(Rito della Dedicazione della chiesa e dell'altare 152-162)
Gli antichi Padri della Chiesa, meditando sulla parola di Dio, non esitarono ad affermare che Cristo fu vittima, sacerdote e altare del suo stesso sacrificio. La lettera agli Ebrei descrive infatti il Cristo come pontefice sommo e altare vivente del tempio celeste; e l'Apocalisse presenta il nostro redentore come agnello immolato la cui offerta vien portata, per le mani dell'angelo santo, sull'altare del cielo.
Se vero altare è Cristo, capo e maestro, anche i discepoli, membra del suo corpo, sono altari spirituali, sui quali viene offerto a Dio il sacrificio di una vita santa. Interpretazione, questa, già avvertita dai Padri stessi, per es. da sant'Ignazio d'Antiochia, quando rivolge quella sua mirabile preghiera: "Lasciatemi questo solo: che io sia immolato a Dio, finché l'altare è pronto", o da san Policarpo, allorché raccomanda alle vedove di vivere santamente, perché "sono altare di Dio". A queste espressioni fa eco, accanto ad altre voci, quella di san Gregorio Magno: "Che cos'è l'altare di Dio se non l'anima di coloro che conducono una vita santa?... A buon diritto, quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti ". Secondo un'altra immagine assai frequente negli scrittori ecclesiastici, i fedeli che si dedicano alla preghiera, che fanno salire a Dio le loro implorazioni e offrono a lui il sacrificio delle loro suppliche, sono essi stessi pietre vive con le quali il Signore Gesù edifica l'altare della Chiesa. Cristo Signore, istituendo nel segno di un convito sacrificale il memoriale del sacrificio che stava per offrire al Padre sull'altare della croce, rese sacra la mensa intorno alla quale dovevano radunarsi i fedeli per celebrare la sua Pasqua. L'altare è quindi mensa del sacrificio e del convito; su questa mensa il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, fa ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero anch'essi in memoria di lui.
L'altare cristiano è, per sua stessa natura, ara del sacrificio e mensa del convito pasquale:
- su quell'ara viene perpetuato il mistero, lungo il corso dei secoli, il sacrificio della croce, fino alla venuta di Cristo;
- a quella mensa si riuniscono i figli della Chiesa, per rendere grazie a Dio e ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo.
L'altare è pertanto, in tutte le chiese, "il centro dell'azione di grazie, che si compie con l'Eucaristia "; a questo centro sono in qualche modo ordinati tutti gli altri riti della Chiesa.
Per il fatto che all'altare si celebra il memoriale del Signore e vien distribuito ai fedeli il suo Corpo e il suo Sangue, gli scrittori ecclesiastici furono indotti a scorgere nell'altare un segno di Cristo stesso; donde la nota affermazione che "l'altare è Cristo". È opportuno che in ogni chiesa ci sia un altare fisso. Negli altri luoghi destinati alle sacre celebrazioni, l'altare può essere fisso o "mobile". Altare fisso è quello che fa corpo con il pavimento su cui è costruito, ed è, come tale, inamovibile; altare mobile è quello che si può spostare.
È bene che nelle nuove chiese venga eretto un solo altare; l'unico altare, presso il quale si riunisce come un solo corpo l'assemblea dei fedeli, è segno dell'unico nostro salvatore, Cristo Gesù, e dell'unica Eucaristia della Chiesa.
Si potrà tuttavia erigere un secondo altare in una cappella possibilmente separata, in qualche modo, dalla navata della chiesa e destinata a ospitare il tabernacolo per la custodia del Santissimo Sacramento; sull'altare di questa cappella si potrà anche celebrare la Messa nei giorni feriali per un gruppo ristretto di fedeli. Si dovrà comunque evitare assolutamente la costruzione di più altari al solo scopo di ornamento della chiesa.
L'altare si costruisca separato dalla parete, in modo che il sacerdote possa girarvi intorno senza difficoltà e celebrarvi la Messa rivolto verso il popolo; "sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l'attenzione di tutta l'assemblea".
In conformità alla tradizione della Chiesa e al simbolismo biblico dell'altare, la mensa dell'altare fisso deve essere di pietra e precisamente di pietra naturale. A giudizio delle Conferenze Episcopali, può essere consentito l'uso di un'altra materia, purché sia degna, solida e ben lavorata.
Per gli stipiti o per il basamento di sostegno della mensa, è ammessa qualsiasi materia, purché degna e solida.
Per sua stessa natura, l'altare è dedicato a Dio soltanto, perché a Dio soltanto viene offerto il sacrificio eucaristico. È questo il senso in cui si deve intendere la consuetudine della Chiesa di dedicare a Dio altari in onore dei santi. Lo esprime assai bene sant'Agostino: "Non ai martiri, ma al Dio dei martiri dedichiamo altari se lo facciamo nelle memorie dei martiri". È una cosa, questa, da spiegare con chiarezza ai fedeli. Nelle nuove chiese non si devono collocare sull'altare né statue, né immagini di santi. Neanche le reliquie dei santi, esposte alla venerazione dei fedeli, si devono deporre sulla mensa dell'altare.

La sede per il celebrante e per i ministri, ossia il luogo della presidenza
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 284)
La sede del celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l'assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell'edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e l'assemblea. Si eviti ogni forma di trono. Le sedi per i ministri, invece, siano collocate in presbiterio nel posto più adatto perché essi possano compiere con facilità il proprio ufficio.

Il luogo dal quale viene annunciata la Parola di Dio
(Introduzione al lezionario 32-33-34)
Nell'ambiente della chiesa deve esserci un luogo elevato, stabile, ben curato e opportunamente decoroso, che risponda insieme alla dignità della parola di Dio, suggerisca chiaramente ai fedeli che nella Messa viene preparata la mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e infine sia adatto il meglio possibile a facilitare l'ascolto e l'attenzione dei fedeli durante la liturgia della parola. Si deve pertanto far sì che, secondo la struttura di ogni singola chiesa, l'ambone si armonizzi architettonicamente e spazialmente con l'altare.
L'ambone, tenuta presente la sua struttura, venga sobriamente ornato in modo stabile o in determinate occasioni, specialmente nei giorni solenni.
Poiché l'ambone è il luogo dal quale viene proclamata dai ministri la Parola di Dio, deve essere riservato, per sua natura, alle letture, al salmo responsoriale e al preconio pasquale. Si possono tuttavia proferire dall'ambone l'omelia e la preghiera dei fedeli, data la strettissima relazione di queste parti con tutta la liturgia della parola. È invece meno opportuno che salgono all'ambone altre persone, per esempio il commentatore, il cantore o l'animatore del canto.
Perché l'ambone possa servire in modo adeguato alle celebrazioni, abbia una certa ampiezza, giacché talvolta vi debbono stare più ministri insieme. Si deve inoltre curare che i lettori dispongano sull'ambone di una illuminazione sufficiente per la lettura del testo e possano servirsi, secondo l'opportunità, dei moderni mezzi tecnici perché i fedeli li possano comodamente sentire.

Il luogo per conservare l'Eucaristia
(Comunione e culto eucaristico fuori della Messa 9-11)
Il luogo per la conservazione dell'Eucaristia si distingua davvero per nobiltà e decoro. Si raccomanda caldamente che sia anche adatto all'adorazione e alla preghiera personale, in modo che i fedeli possano con facilità e con frutto venerare, anche con culto privato, il Signore presente nel Sacramento.
È più facile raggiungere questo scopo, se si prepara una cappella separata dal corpo centrale della chiesa, specialmente nelle chiese in cui si svolgono frequenti celebrazioni di matrimoni e di funerali o che sono meta di pellegrinaggi o di visite per i loro tesori di arte e di storia.
La santissima Eucaristia si custodisca in un tabernacolo solido, non trasparente e inviolabile. Di norma ci sia in ogni chiesa un solo tabernacolo o posto sopra un altare o collocato, a giudizio dell'Ordinario del luogo, fuori di un altare ma in una parte della chiesa che sia davvero nobile e debitamente ornata.
La presenza della santissima Eucaristia nel tabernacolo venga indicata dal conopeo o da altro mezzo idoneo, stabilito dell'Autorità competente.
Secondo la tradizione, arda sempre davanti all'altare una lampada a olio o un cero, segno di onore reso al Signore.

Il posto dei fedeli
(Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 286)
Si curi in modo particolare la collocazione dei posti dei fedeli, perché possano debitamente partecipare, con lo sguardo e con lo spirito, alle sacre celebrazioni. E bene mettere a loro disposizione banchi e sedie. Si deve però riprovare l'uso di riservare dei posti a persone private.
Le sedie o i banchi si dispongano in modo che i fedeli possano assumere comodamente i diversi atteggiamenti del corpo richiesti dalle diverse parti della celebrazione, e recarsi senza difficoltà a ricevere la santa comunione.
Si abbia cura che i fedeli possano non soltanto vedere, ma anche, con i mezzi tecnici moderni, ascoltare comodamente sia il sacerdote sia gli altri ministri.


L'ADEGUAMENTO DEL PRESBITERIO DELLA BASILICA DI SAN BABILA ALLE NORME DEL CONCILIO VATICANO II

Siamo giunti ormai alle fasi conclusive dei lavori di adeguamento al Concilio Vaticano Il della Basilica di San Babila. Essi riguardano il presbiterio e la cappella per la Custodia eucaristica, e sono motivati sia teologicamente sia pastoralmente. Infatti:
l. La Chiesa non si può considerare una generica opera architettonica: la destinazione di essa all'azione liturgica la qualifica radicalmente e la lega all'assemblea del popolo di Dio che vi si raduna.
2. È l'assemblea celebrante che "genera" e "plasma" l'architettura della chiesa.
Chi si raduna nella chiesa è il popolo sacerdotale, regale e profetico, la comunità gerarchicamente organizzata che lo Spirito Santo arricchisce di una moltitudine di carismi e ministeri; è la Chiesa che proietta e imprime se stessa nell'edificio di culto.
3. Lungo il corso dell'anno liturgico l'assemblea locale si raduna nell'edificio di culto, in comunione con tutta la Chiesa, per fare memoria del mistero pasquale di Cristo, nell'ascolto delle Scritture, nella celebrazione dell'Eucaristia, degli altri Sacramenti e dei Sacramentali e del Sacrificio di lode.
4. L'assemblea che celebra è una realtà eminentemente viva, dinamica, in continua trasformazione, anche se lenta. Di conseguenza anche l'edificio della chiesa non è definito una volta per tutte, ma si modifica nel corso dei secoli, come testimonia ampiamente la storia dell'arte occidentale.
5. Tra assemblea celebrante e edificio nel quale avviene la celebrazione sussiste un legame profondo: la celebrazione della liturgia è tutt'altro che indifferente all'architettura e, viceversa, l'architettura di una chiesa non lascia indifferente la liturgia che vi si celebra.
Tale legame non è dato una volta per tutte ma muta nel corso della storia: come non esiste una liturgia immutabile, così non esiste un'architettura e un'arte per la liturgia che siano immutabili.
6. I molteplici linguaggi ai quali la liturgia ricorre trovano nello spazio liturgico il luogo della loro globale espressione.
La chiesa-edificio esprime la vita della comunità cristiana nel suo incontro con Dio attraverso la liturgia e il culto; si può considerare una "icona ecclesiologica": di volta in volta essa è sentita come luogo della Chiesa in festa, come luogo della Chiesa in raccoglimento e in preghiera, come luogo della Chiesa che esprime la propria natura intensamente corale e comunitaria.
L'attuazione del progetto di adeguamento del presbiterio di San Babila ha un duplice scopo: consentire un agevole svolgimento dei riti e mettere in evidenza i tre "luoghi" eminenti del presbiterio stesso, che sono l'altare, l'ambone e la sede del presidente della celebrazione.

L'altare
L'altare nell'assemblea liturgica non è solamente un oggetto utile alla celebrazione, ma è il segno della presenza di Cristo, sacerdote e vittima, è la mensa del sacrificio e del convito pasquale che il Padre imbandisce per i figli nella casa comune, sorgente di carità e di unità. Per questo è necessario che l'altare sia visibile da tutti affinché tutti si sentano chiamati a prenderne parte ed è ovviamente necessario che sia unico nella chiesa, per poter essere il centro visibile al quale la comunità riunita si rivolge. La sua collocazione è di fondamentale importanza per il corretto svolgimento dell'azione liturgica e deve essere tale da assicurare senso pieno alla celebrazione. In particolare, nella nostra basilica, si è creata la necessità di spostare l'altare nel "centro ideale" del presbiterio, ponendolo sull'asse della navata così da ovviare pesanti disagi soprattutto nella celebrazione dei matrimoni e dei funerali; nel contempo si è proceduto alla riduzione delle dimensioni dell'altare stesso, fino ad oggi sproporzionato in rapporto all'area del presbiterio.

L'ambone
Circa l'ambone, le norme liturgiche recitano: l'ambone è il luogo proprio dal quale viene proclamata la parola di Dio. La sua forma sia correlata a quella dell'altare, il cui primato deve comunque essere rispettato. L'ambone deve essere una nobile, stabile ed elevata tribuna, non un semplice leggìo mobile; accanto ad esso è conveniente situare il candelabro per il cero pasquale, che vi rimane durante il tempo liturgico opportuno.
L'ambone va collocato in prossimità dell'assemblea, in modo da costituire una sorta di cerniera tra il presbiterio e la navata: è bene che non sia posto in asse con l'altare e la sede, per rispettare la specifica funzione di ciascun segno. In ottemperanza a questi orientamenti, abbiamo collocato l'ambone come elemento terminale della balaustra sinistra, elevandolo di un gradino e valorizzando l'artistico leggio bronzeo a forma di aquila.

La sede
Nel nostro presbiterio il "luogo" davvero nuovo - come manufatto e come collocazione - è la sede del presidente della celebrazione. Infatti, viene avanzata verso la navata (a ridosso del pilastro destro del presbiterio). Così la sede diventa davvero il luogo liturgico che esprime il ministero di colui che guida l'assemblea e presiede la celebrazione nella persona di Cristo, capo e pastore, e nella persona della Chiesa, suo corpo. Per la sua collocazione, essa risulta ben visibile da tutti e in diretta comunicazione con l'assemblea, in modo da favorire la guida della preghiera, il dialogo, l'animazione. Questa nuova disposizione, poi, consente di meglio collocare adeguate sedi per i concelebranti e opportune sedi per gli altri ministri liturgici e per i ministranti, distinte da quella del presidente della celebrazione. In particolare, la nostra nuova sede del presidente della celebrazione consiste in una fusione in bronzo, opera dello scultore Alessandro Nastasio.
Essa è bene intonata al monumento in cui viene inserita ed è arricchita da due formelle scolpite che raffigurano rispettivamente Gesù tra i dottori dei tempio e Maria di Betania che asciuga con i capelli i piedi di Gesù, dopo di averli cosparsi di unguento profumato e di averli lavati con le proprie lacrime: due raffigurazioni che vengono commentate dalla scritta "Veritatem facientes in caritate" ("Vivendo secondo la verità nella carità") (Ef 4, 15). Queste formelle mettono in evidenza, quindi, l'importante ruolo del presidente della celebrazione: egli, nella Chiesa apostolica, serve la verità - nell'adesione al magistero del Vescovo - ed è ministro della carità.

La custodia eucaristica
Nella maggior parte delle nostre chiese, per note ragioni storiche, l'elemento centrale - dominante sullo stesso altare - è stato, per circa quattro secoli, il tabernacolo eucaristico.
L'adeguamento liturgico delle chiese esistenti, mirante a esaltare il primato della celebrazione eucaristica e quindi la centralità dell'altare, deve riconoscere anche la funzione specifica della custodia eucaristica. Diventa perciò necessario che, occasione dell'intervento di adeguamento, sia dedicata particolare cura al "luogo" e alle caratteristiche della custodia-riserva eucaristica. Tale intervento richiede grande attenzione anche dal punto di vista educativo. E' noto, infatti, quanto il culto per la santissima Eucaristia abbia inciso nella formazione spirituale del popolo cristiano e quanto l'idea stessa dell'edificio di una chiesa cattolica sia associata alla presenza in essa del tabernacolo.
Anche la localizzazione e la realizzazione di una nuova custodia eucaristica devono essere parte integrante del progetto globale di adeguamento liturgico e dovranno tener conto di una sua facile individuazione, di un accesso diretto, di un ambiente raccolto e favorevole all'adorazione individuale.
Nella nostra basilica, quindi, abbiamo individuato, come luogo adatto per conservare l'Eucaristia e rispondente alle esigenze liturgiche, la cappella absidale destra.
Infatti essa si distingue per nobiltà e decoro ed è adatta all'adorazione e alla preghiera dei singoli fedeli che possono con facilità e con frutto venerare il Signore presente nel Sacramento.

LA PAROLA DI DIO NELLA CELEBRAZIONE LITURGICA

Nella Messa, come nella celebrazione dei Sacramenti, la Liturgia della Parola occupa ormai un posto molto importante.
Infatti, ogni volta che i cristiani si riuniscono per celebrare il Signore, la loro riunione comporta un tempo dedicato alla lettura delle Scritture.
Continuano così ciò che era avvenuto tra Gesù e i discepoli di Emmaus e che l'evangelista Luca riferisce: "E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (24,27). Dal tempo dei primi cristiani fino ai nostri giorni, dunque, la Chiesa è rimasta fedele a questo modo di usare la Scrittura nelle sue celebrazioni. E il Concilio Vaticano II ha voluto ridare vigore alla connessione intima tra rito e Parola nella liturgia, e ha fatto convergere il suo impegno di rinnovamento sui punti seguenti:
- si abbia cura, anzitutto, che la scelta delle letture sia abbondante, più varia e meglio adattata;
- si usi la lingua locale per facilitare la comprensione della Bibbia;
- la lettura della Scrittura sia di nuovo introdotta nella celebrazione di alcuni Sacramenti (dai quali era praticamente scomparsa), in particolare nel Battesimo, nella Penitenza (anche individuale) e nell'Unzione dei malati;
- la predicazione faccia riferimento in primo luogo alle pagine della Sacra Scrittura che vengono lette nella celebrazione;
- le letture siano fatte da lettori, che esercitano così "un vero ministero liturgico".
Ma questi testi, pieni di speranza, sono carta stampata. Come farli passare da Scrittura a Parola? Come migliaia di uomini e di donne possono far sì che Dio parli al suo popolo, riunito per ascoltarlo?
In altri termini, come trattiamo questa Parola che viene da Dio?
Ecco le condizioni perché ciò avvenga: la fede dei partecipanti, perché la Parola di Dio sia compresa; il lettore che deve articolare bene, con calma, con il giusto tono, le parole; l'ambiente, gradevole, illuminato e sonorizzato.
Ben consapevoli dell'importanza della Liturgia della Parola per la vita dei cristiani, desideriamo riflettere sul modo di rendere "parlante" la Parola di Dio.
La Scrittura è presente in mille modi nella vita dei credenti: meditazione comunitaria o individuale, riunioni di gruppo, corsi biblici... nel ricordo vivo che ne hanno gli uomini e le donne che vi fanno ogni giorno riferimento nelle loro azioni e nei loro pensieri.
D'altra parte, il cristiano è una creatura la cui esistenza è tutta permeata dalla Parola e, anche per questo, l'annuncio della Parola di Dio è una caratteristica essenziale del culto cristiano.

Parlare significa comunicare
Parlare significa dire qualcosa a qualcuno, comunicare, mettere in comunicazione tra loro persone o gruppi.
La Liturgia mette in comunicazione Dio con gli uomini, Dio con l'assemblea, Dio con ciascun partecipante e viceversa.
Allora, quando prepariamo la Liturgia della Parola, anzitutto dobbiamo dare risposta ad alcune domande:
Chi parla? Dio che si rivela attraverso la Sacra Scrittura; la Chiesa che spiega e medita la Parola di Dio; l'assemblea che accoglie la Parola, dà risposta ad essa e prega nella supplica... A chi si parla? All'assemblea concreta, presente (grande o piccola, omogenea o diversificata ... ).
Perché si parla? Ogni celebrazione ha uno scopo diverso: celebrazioni sacramentali, celebrazioni occasionali, Eucaristia domenicale...
Che cosa dire? Dobbiamo comunicare la Parola di Dio. la buona novella, la rivelazione del Dio Amore.
Come dirlo? Occorre parlare in condizioni favorevoli... Non si parla soltanto con la parola... Occorre lasciare il tempo necessario per l'assimilazione e l'interiorizzazione... Si tratta di un dialogo... Per questo motivo la Liturgia della Parola comporta sei atteggiamenti: lettura, silenzio, canto, preghiera, parola, professione di fede.
Tutto questo perché Dio parla nella vita del suo popolo:
Ha parlato attraverso gli avvenimenti; l'autore della lettera agli Ebrei, infatti, annota: Dio ha parlato "molte volte e in diversi modi", e la storia dell'Antico Testamento lo conferma: da Abramo, a Mosè, ai profeti... e nel Nuovo Testamento: "Dio... ha parlato a noi per mezzo del suo Figlio" (Eb 1,1-2). Gesù ci parla sia con le sue azioni sia con la parola, e lo Spirito (donato da Cristo risorto ai suoi discepoli) raduna i cristiani in comunità che vivono la parola di Dio e la trasmettono oralmente e per iscritto.
In modo speciale, Dio parla oggi al suo popolo nella celebrazione liturgica: ascoltando questo annuncio, i cristiani sono indotti ad entrare nel progetto di Dio; e colui che proclama la parola, quindi, non fa altro che ricordare i segni dell'azione di Dio nella vita del mondo.
Dio, quando parla, agisce: "Dio disse... e così avvenne" (Gn 1). La Parola di Dio è costruttiva, efficace; è un "evento".
Nella liturgia i testi, scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, rendono Cristo presente nell'assemblea che li accoglie.
Accogliendo questa Parola, l'assemblea si converte e, rispondendo a Dio con le parole usate dallo Spirito Santo nella Bibbia e nella liturgia, entra nella vita stessa del Dio Trinità. E questo il senso profondo di quanto avviene nella Liturgia della Parola.


MOLTI TESTIMONI, MA UNA SOLA PAROLA DA TRASMETTERE

La Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano II, al paragrafo 7, enuncia le motivazioni profonde che stanno alla base della Liturgia della Parola: Cristo "è presente nella sua Parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura". È un'affermazione che evidenzia anche la serietà del ministero esercitato dal lettore, il quale deve far sì che il testo scritto diventi Parola viva di Cristo che parla di sé agli uomini e alle donne radunati nel suo nome.
Per leggere bene bisogna rispettare il genere letterario dei testi biblici. I libri della Bibbia, infatti, non si assomigliano ma si completano. Rivelano, ciascuno a proprio modo, un'esperienza spirituale che si rivolge alla fede e invita i credenti a incontrare il Dio vivo. Il genere letterario comporta:
Modi di espressione diversi: una legge, un'esortazione, un testo poetico, una spiegazione, non sono redatti con le stesse parole, né con le medesime intenzioni.
La personalità di colui che scrive o il gruppo che si ricollega a un particolare autore: un sacerdote, un contadino, un uomo colto, un missionario... hanno un linguaggio, una fraseologia, delle accentuazioni, dei temi che sono propri a ciascuno di loro.
L'età di un testo o l'epoca in cui è stato fissato definitivamente per iscritto: sappiamo che la redazione della Bibbia è avvenuta nel corso di parecchi secoli; ma soltanto nel secondo secolo dell'era cristiana è stato definitivamente stabilito l'elenco dei libri "canonici".
Il luogo d'origine e le lingue usate: Arabia, Babilonia, Egitto, Palestina per l'Antico Testamento; Palestina, Turchia, Italia, ... per il Nuovo Testamento. Sono altrettante lingue diverse: ebraico, aramaico, greco...
L'anteriorità della forma orale: il messaggio è stato predicato, vissuto dalla comunità, prima di ricevere una forma scritta che comportava indubbiamente aggiunte e sviluppi derivanti da tradizioni diverse.
La Bibbia si presenta quindi come una sinfonia dove ogni musicista deve suonare la propria parte, che contribuisce all'armonia dell'insieme. Conoscere e rispettare il "genere letterario" di ogni testo è pertanto una questione di verità nei confronti della Parola e dà la possibilità di ritrovare la realtà concreta di vita che l'ha vista nascere.
Per leggere bene bisogna anche stimolare l'ascolto.
Dal momento che è compito dei lettore dare alla Parola di Dio la vera dimensione - che ora è annuncio e proclamazione dei prodigi operati da Dio nella storia degli uomini; ora è adorazione, ammirazione e giubilo; ora esorta alla fede ed invita a viverla; ecco alcuni suggerimenti utili:
Leggere con entusiasmo i testi di un profeta che suscitano una speranza e annunciano la realizzazione di una promessa; per esempio a Natale: "II popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce"; dare un accento di gioia alla lettura dell'Epifania: "Alzati, rivestiti di luce, (Gerusalemme) perché viene la tua luce".
Tenere un ritmo più lento, un tono più semplice quando vi sono dei testi che insegnano una verità; per esempio a Pentecoste: "Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo". Più un testo è spiritualmente denso, più c'è bisogno che la comprensione sia facilitata da un ritmo meditativo, sul genere della contemplazione.
Assumere il tono dell'incoraggiamento fraterno, della conversazione quando si tratta di esortare; per esempio: "Siate d'accordo tra voi, vivete nella pace".
Per leggere bene bisogna avere familiarità con la Bibbia.
Tenendo conto dei libri che il lettore deve leggere abitualmente alla domenica, diamo alcuni cenni elementari che possono essere di aiuto, anche se non sostituiscono un lavoro più approfondito che si può fare ricorrendo a studi specializzati e alle introduzioni delle diverse edizioni della Bibbia e dei libri liturgici.
1 LIBRI DELL'A.T.
La legge: Raggruppa i primi cinque libri chiamati "Pentateuco" (dal greco "pente" = 5), tradizionalmente attribuiti a Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio.
1 libri storici non devono essere considerati come trattati di storia secondo la concezione moderna, ma come testimonianza di fede che celebrano i grandi interventi di Dio nella vita del popolo dell'Alleanza. Sono: Libro di Giosuè, Libro dei Giudici, Libro di Rut, 1° e 2° Libro di Samuele, 1° e 2° Libro dei Re, 1° e 2° Libro delle Cronache, i Libri di Tobia, Giuditta, Ester, 1° e 2° Libro dei Maccabei.
Gli scritti sapienziali formano una ricca raccolta di insegnamenti che si basano sull'esperienza concreta e tracciano il quadro della vita umana animata dalla fede nel Dio dell'Alleanza. Essi sono: il Libro di Giobbe, il Libro dei Salmi, il Libro dei Proverbi, il Libro del Qoèlet, il cantico dei Cantici, il Libro della Sapienza, il Libro del Siracide.
Gli scritti dei Profeti: ripropongono la predicazione dei Profeti che sono dei veri portavoce di Dio. Questi documenti hanno portato la rivelazione biblica ad altissimo livello spirituale. I cristiani vedono il compimento delle profezie nel Cristo, il Profeta per eccellenza. Sono: I Libri di Isaia, di Geremia, delle Lamentazioni, di Baruc, di Ezechiele, di Daniele, di Osea, di Gioele, di Amos, di Giona, di Michea, dì Abacuc, di Sofonia, di Zaccaria, di Malachia, di Abdia, di Naum e di Aggeo.
I LIBRI DEL N.T.
I Vangeli secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli Atti degli Apostol; le Lettere di San Paolo (ai Romani, 1ª e 2ª ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Colossesi, 1ª e 2ª ai Tessalonicesi, 1ª e 2ª a Timoteo, a Tito e a Filemone); li altri scritti: Lettera agli Ebrei, Lettera di San Giacomo, 1ª, 2ª e 3ª Lettera di San Giovanni, 1ª e 2ª Lettera di San Pietro, Apocalisse.


PROCLAMARE LA PAROLA

L'annuncio della parola di Dio
L'annuncio della Parola di Dio è una caratteristica essenziale del culto cristiano; anzi, dopo il Concilio Vaticano Il, ogni azione liturgica conosce il momento della liturgia della Parola. Ciò significa che ogni volta che una comunità cristiana si riunisce per pregare, se desidera che il suo gesto sia autenticamente cristiano, deve sentirsi innanzitutto comunità in ascolto. Il rapporto con Dio, infatti, non nasce dal basso (da una nostra iniziativa) ma nasce dall'alto, dall'iniziativa libera e gratuita di Dio che si china verso di noi e ci rivolge per primo la parola.
La nostra religione, quindi, è essenzialmente la religione della Parola e dell'ascolto: "Dio invisibile, nel suo grande amore, parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé" (DV 2).
Il nostro Dio è un Dio che ha parlato e che parla.

Proclamazione della parola di Dio
La proclamazione liturgica della Parola di Dio, poi, è il mezzo privilegiato per entrare in contatto con il testo sacro; infatti, essa avviene in un contesto di preghiere e di canti che crea e favorisce l'ambiente di fede e di ascolto religioso; è arricchita dal commento (omelia) che aiuta a cogliere il mistero annunciato; consiste in un annuncio ufficiale da parte della Chiesa, depositaria e interprete della Parola; assicura una particolare presenza di Cristo: "è lui che parla, quando nella chiesa si leggono le Scritture" (SC 7).
Perciò, il problema cruciale, in questo caso, consiste nel focalizzare pienamente il significato della proclamazione della Parola di Dio. Il compito del lettore è di a) proclamare; b) la Parola di Dio.
a) Proclamare significa non soltanto leggere ad alta voce, ma soprattutto:
1. Rendere pubblico: portare a conoscenza di quanti sono presenti ciò che si legge; si noti che la Parola di Dio proclamata nella liturgia è, in qualche modo, sempre nuova, anche se già conosciuta.
2. Acclamare con solennità: la proclamazione della Parola è una azione liturgica, un atto di culto; quindi, si trasmette agli uomini la volontà del Signore, ma nel contempo si acclama il Dio vivente che visita il suo popolo.
3. Rivelare: ogni proclamazione della Parola è in un certo senso una nuova rivelazione... è un porgere di nuovo all'assemblea dei fedeli la rivelazione che Gesù Cristo fa in quel preciso momento e a quegli uomini concreti.
b) L'azione del proclamare riguarda la Parola di Dio:
1. È un vero e proprio atto di culto: cioè, contribuisce alla lode di Dio (la proclamazione della Parola è sempre rendimento di grazie per l'economia della salvezza che ogni pagina biblica proclamata nella liturgia annuncia e attua) e alla santificazione dell'uomo (la Parola di Dio nutre la fede, orienta i fedeli verso Dio, suscita la risposta personale al Signore, condizione indispensabile per la partecipazione fruttuosa alla liturgia).
2. La proclamazione è una funzione ministeriale nel senso preciso del termine: una azione strumentale tramite la quale Cristo continua a svolgere la sua missione di annunciatore della Parola del Padre.
Nella celebrazione liturgica la Parola di Dio manifesta la sua attualità e la sua vitalità (si riprenda, ad esempio, il messaggio di SC 7 sulle modalità della presenza di Cristo): la Bibbia ci tocca da vicino, è l'annuncio di salvezza qui, adesso, per me, in questa particolare situazione, sempre unica e irrepetibile.
3. Si tratta di una funzione particolarmente efficace: produce sempre qualche cosa, è una forza che opera, è un germe carico di vita. Infatti, se Cristo è presente e operante quando si proclama la Parola di Dio, la sua è certamente una presenza efficace, operosa, santificatrice perché è presente nell'esercizio del suo sacerdozio.
L'annuncio della Parola è salvezza (Is 55, 10-11), produce speciali disposizioni nei fedeli ed è fonte della loro risposta e della loro preghiera (SC 33).
Circa l'efficacia della proclamazione della Parola, non va dimenticato che le letture costituiscono, insieme con la liturgia eucaristica, un unico atto di culto: le letture ricordano, proclamano e attuano l'avvenimento salvifico che la celebrazione eucaristica renderà presente in pienezza.


IL LETTORE

Sacrosanctum Concilium 29: Anche i ministranti, i lettori, i commentatori e i membri della scuola dei cantori svolgono un vero ministero liturgico. Essi perciò esercitano il proprio ufficio con quella sincera pietà e con quel buon ordine che conviene a un così grande ministero e che il popolo di Dio esige giustamente da essi.
Principi e norme per l'uso del Messale Ambrosiano 67: Il lettore, anche se laico, ha un suo ufficio proprio nella celebrazione eucaristica, che deve esercitare lui stesso, anche se sono presenti dei ministri di ordine superiore.
Introduzione al lezionario 52: L'assemblea liturgica non può fare a meno dei lettori, anche se non istituiti per questo compito specifico. Si cerchi quindi di avere a disposizione alcuni laici, che siano particolarmente idonei e preparati a compiere questo ministero. Se ci sono lettori e si devono proclamare più letture, è bene distribuirle fra i vari lettori (cfr Pnmr 71, Pnma 72).
Introduzione al lezionario 55: Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della sacra Scrittura, è necessario che ì lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuta l'istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno.
Questa preparazione deve essere soprattutto spirituale; ma è anche necessaria quella propriamente tecnica. La preparazione spirituale suppone almeno una duplice formazione: quella biblica e quella liturgica. La formazione biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell'annunzio rivelato alla luce della fede. La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della parola e le motivazioni del rapporto fra la liturgia della parola e la liturgia eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i lettori sempre più idonei all'arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l'aiuto dei moderni strumenti di amplificazione.
I documenti sopra riportati ci consentono di rilevare che:
- All'ufficio del lettore compete il carattere di vero ministero liturgico, ministero che si verifica non soltanto nel caso del lettore istituito. Questa affermazione è basilare: non soltanto l'ecclesiastico, ma anche il laico debitamente abilitato è vero ministro liturgico cioè via e canale attraverso il quale la Chiesa compie il culto pubblico, strumento mediante il quale Cristo, nell'azione liturgica, continua l'esercizio del suo sacerdozio (cfr. SC 7). Il laico che funge da lettore non esercita un ruolo di supplenza, ma svolge il suo ministero liturgico in forza di una vera deputazione della Chiesa.
- Viene sottolineata la necessità, per coloro che svolgono il ministero del lettore, di una pietà sincera e di una solida vita morale e spirituale.
La cosa è talmente evidente che ci limitiamo a ricordare che il laico, per svolgere un ministero liturgico, deve essere commendevole per i suoi costumi, e ben istruito.
Per il lettore si verifica la necessità di una solida formazione liturgica e di una reale competenza tecnica.
Se dovessimo delineare la fisionomia del Lettore, potremmo esprimerci così: il lettore è il ministro liturgico al quale è confidato l'annuncio della Parola di Dio contenuta nell'Antico Testamento e negli Scritti apostolici (Lettere apostoliche, Atti degli Apostoli, Apocalisse), ad eccezione dei quattro Vangeli.
Al lettore, secondariamente, compete la funzione di salmista.
Per svolgere questo compito nell'ambito della liturgia, il lettore deve essere formato seriamente e questa medesima formazione deve radicarsi in una autentica vita spirituale.
Una prima formazione riguarda la competenza tecnica, per così dire professionale: il lettore deve innanzi tutto farsi intendere, leggere con voce alta e chiara, articolare distintamente le sillabe, tenere un tono di voce conveniente, osservare le debite pause e i dovuti silenzi, curare l'accentuazione delle parole e la pronuncia di esse... Ci limitiamo a ricordare che questo tipo di formazione è assai più necessaria, complessa, difficile, lunga e continua di quanto si creda; è un preciso dovere di onestà nei confronti della Parola e dell'assemblea.
Ma vi è un secondo tipo di formazione su cui, pure, deve porsi la nostra attenzione: è la formazione allo spirito liturgico, alla vita interiore, alla pietà cristiana.
La necessità di essa scaturisce dal fatto che il lettore deve "proclamare" la Parola di Dio. Cioè, lo scopo cui mira il lettore non consiste nell'informare, piuttosto nel rendere possibile la "conversione del cuore" attraverso un annuncio che deve essere una vera rivelazione personale e sconvolgente... Quale ministro della Parola di Dio, il lettore, quindi, dovrà lasciarsi dominare dalla Parola che proclama, sentendosene in pari tempo il banditore, il tramite, il canale.
Dunque, il lettore dovrà acquisire quella formazione che gli consente di addentrarsi nel possesso della sacra Scrittura e nella comprensione di essa; non solo, ma dovrà conoscere bene l'anno liturgico e i singoli tempi che lo costituiscono, la storia della formazione della Messa, i contenuti e le finalità delle singole parti che compongono i formulari della Messa... Mezzo primario e indispensabile per iniziare e continuare la preparazione specifica e la formazione a una autentica vita spirituale e a un vero spirito liturgico è il buon funzionamento del gruppo dei lettori.


L'ANIMATORE LITURGICO

Sacrosanctum Concilium 35: Negli stessi riti siano previsti, quando necessario, brevi didascalie da farsi con formule prestabilite o simili, dal sacerdote o dal ministro competente, ma solo nei momenti più opportuni.
Principi e norme per l'uso del Messale 69a: l'animatore, ...rivolge ai fedeli spiegazioni ed esortazioni per introdurli alla celebrazione e meglio disporli a comprenderla e a seguirla. Gli interventi dell'animatore siano chiari e sobri. Nel compiere il suo ufficio, l'animatore sta in un luogo adatto davanti ai fedeli, ma non sale all'ambone.
Introduzione al lezionario 57: Vero ministero liturgico è anche quello esercitato dall'animatore; da un luogo adatto, egli propone all'assemblea dei fedeli opportune spiegazioni e monizioni, chiare, sobrie, preparate con cura, normalmente scritte e approvate in precedenza dal sacerdote.
L'ufficio dell'animatore è una novità, anche se di esso si parlò per la prima volta circa quaranta anni fa (cfr. Istruzione sulla Musica Sacra del 3 settembre 1958, n. 86).

L'ufficio
È un ufficio orientato a dirigere la preghiera del popolo di Dio e a sostenerne l'attenzione; ha come scopo, quindi, di ottenere più facilmente la partecipazione dei fedeli all'azione liturgica. Considerata la natura della liturgia, ogni celebrazione può trovare in questo ufficio un aiuto più che valido: da quella meno consueta e più complessa (e quindi poco conosciuta) a quella più frequente e usuale (da riscattare, quindi, dalla monotonia e dalla passività).
Ci troviamo di fronte a un vero ministero liturgico: anche in questo caso, come per il lettore, si verifica la necessità di portare nello svolgimento di questo ministero una pietà sincera e un conveniente buon ordine; in secondo luogo, viene richiesta una solida educazione allo spirito liturgico e una seria formazione perché si possa svolgere in modo soddisfacente questo ministero.

Chi è?
L'animatore è, pertanto, il ministro liturgico che stimola la partecipazione dell'assemblea soprattutto attraverso l'interpretazione o la spiegazione dei riti, delle letture e delle preghiere, la direzione della partecipazione dei fedeli.
La sua presenza e il suo compito (occorre sottolinearlo con chiarezza) saranno attuati all'insegna della massima discrezione.
Anche se sembra ovvio, è bene ribadire che se manca la persona idonea oppure il tempo sufficiente per preparare le monizioni, se, in concreto, si rischia di ostacolare piuttosto che di facilitare la partecipazione, sarà meglio rinunciare alla presenza dell'animatore liturgico.

Monizioni e didascalie
1 documenti sopra citati portano a riflettere circa la formulazione delle monizioni e delle didascalie.
Il ricorso a un buon dizionario della lingua italiana ci consente di situare questo tipo di interventi tra le esortazioni, gli ammaestramenti, i richiami, gli avvertimenti rivolti da chi ha un'autorità morale o da chi esercita in modo informale un'autorità giuridica.
In modo più preciso, la "monizione" accentua l'aspetto di autorevolezza, la "didascalia" sottolinea l'aspetto esplicativo dell'intervento.
I medesimi documenti invitano a considerare attentamente il genere letterario e la struttura delle monizioni e delle didascalie: esse devono aiutare l'assemblea liturgica ad esercitare rettamente la propria ineludibile attività ermeneutica, a correggere le eventuali precomprensioni e a porsi nell'atteggiamento più idoneo per cogliere il messaggio che, nella situazione concreta, proviene dal testo biblico e dal contesto liturgico.
In pari tempo, non devono essere di tipo esortativo (considerazioni personali, pie elevazioni, delucidazioni tecniche... sono per lo meno inutili), né di tipo contenutistico (non devono oscurare in alcun modo il celebrante e gli altri attori liturgici, non devono sostituirsi ad altre formule o invadere il campo di altri… tutto questo è fuorviante).
Brevi, concise, sobrie, chiare, le didascalie o le monizioni, poco numerose, devono essere proposte nella semplice forma espositiva. Sotto la guida e la responsabilità del presidente, l'animatore liturgico preparerà i suoi interventi per iscritto: essi verranno pronunciati a tempo opportuno, con tono di voce conveniente e con volume moderato, evitando ogni sovrapposizione alle preghiere, ai canti, alle letture...


LA PROCLAMAZIONE LITURGICA DI UN TESTO SACRO

La lettura in pubblico di un testo sacro durante la celebrazione liturgica è il risultato di due operazioni che tutti fanno correntemente: leggere e parlare, che rispettano, però, tre condizioni:
- non si legge in pubblico come si legge per proprio conto un giornale o un romanzo;
- non si parla in pubblico come in una conversazione tra due o tre persone;
- è il Signore che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura (Sacrosanctium Concilium 7).
Che il Signore parli e sia presente nell'assemblea, dipende dunque, almeno in parte, dal modo con cui il lettore adempie la propria funzione: è una grave responsabilità che richiede preparazione spirituale (cui abbiamo già fatto cenno) e competenza tecnica (di cui tratteremo in questa sede).
Per poter preparare una lettura, bisogna sapere anzitutto che cosa si dovrà leggere!
Tale preparazione non può esser considerata facoltativa: è necessaria. In proposito, occorrerà formare il gruppo dei lettori e stabilire, se possibile, un turno di lettura, cercando di evitare di scegliere un lettore tre minuti prima della celebrazione. È un sistema che, oltre ad evitare il rischio di far leggere qualcuno senza essersi assicurati che ne sia capace, permette a un maggior numero di fedeli di fungere da lettori.
Evitando così all'assemblea di vedere e ascoltare sempre le medesime persone, il maggior numero di lettori offre l'occasione a un maggior numero di cristiani di entrare più profondamente nell'azione liturgica.

La preparazione remota:
- il lettore deve in primo luogo leggere il testo per capirne il significato (può lodevolmente ricorrere a un buon commento): meglio si capisce il testo, più si è capaci di comunicarne il senso;
- il lettore deve poi individuare il genere letterario del testo. Dio, attraverso la Bibbia, ci parla, ma ha mille modi di parlarci. Succede anche per la Bibbia ciò che accade per la letteratura italiana: non si legge allo stesso modo una pagina del Manzoni, o una poesia di Montale o un sermone del Savonarola!
- la tappa successiva consiste nel cercare le parole chiave ed eventualmente la frase più importante che la lettura dovrà mettere in evidenza;
- per ultimo, dopo aver fatto tutto ciò, il lettore leggerà diverse volte ad alta voce il suo testo perché solo così si potrà rendere conto di un gran numero di difficoltà (la parola "Nabucodonosor", ad esempio, è facile da leggere mentalmente, ma difficile da pronunciare!); se necessario, il lettore leggerà in presenza di un ascoltatore, o anche davanti a quel testimone spietato che è il registratore a cassetta.

Le tecniche di lettura
Le pause: Durante la sua preparazione, il lettore individua anche le pause lunghe o brevi che deve fare. In proposito ricordiamo che è sempre preferibile ripassare la lettura sul Lezionario, perché:
- è il testo che sarà usato durante la celebrazione;
- la sua disposizione tipografica è in funzione della lettura in pubblico.
Le pause sono necessarie perché durante queste l'ascoltatore comprende, dal momento che i suoni che giungono alle sue orecchie hanno il tempo di arrivare al cervello e di assumere un significato. I silenzi nel corso della lettura permettono a chi non legge di comprendere ciò che ascolta.
Il lettore deve sempre tenere presente che se lui ha il testo sotto gli occhi, non l'ha invece chi ascolta. Ricordi, inoltre, che oltre alle pause sintattiche, che vengono stabilite in base alla sintassi della frase, vi sono le pause espressive che non sono soggette a regolamentazioni precise ed il cui uso è a discrezione del lettore.

Il ritmo
Così come la frase musicale, anche la frase di un testo ha un ritmo che il lettore deve saper rendere. La maggior parte dei lettori legge troppo in fretta.
Ricordiamo che chi ascolta ha bisogno di tempo per poter organizzare i suoni in una frase dotata di senso.


Il volume
La lettura in pubblico richiede che si parli anche con un volume più alto di quello che si userebbe nella comune conversazione: bisogna parlare ad alta voce, spingendo la voce "in avanti" (proiettando il suono lontano, davanti a sé).

L'intonazione
È indispensabile evitare la cantilena (che ricorda il modo di recitare le poesie nella scuola elementare) o il "recto-tono" delle letture nel refettorio dei conventi. Si tratta di trovare un'intonazione abbastanza sobria quanto alle variazioni, ma molto sostenuta e interiore.
Inoltre, occorre fare attenzione perché le sillabe finali siano pronunciate chiaramente: la finale di una frase non è caratterizzata da una caduta di voce, ma dal mantenimento della stessa intonazione fino al punto fermo.

Il colore
Il lettore che legge la Parola di Dio non può esimersi dall'interpretare la lettura, dal dare colore ad essa: lo deve fare, però, con grande senso della misura.
Non si deve leggere in modo piatto (come se non ci interessasse ciò che leggiamo), né eccedere nel colore (quasi a voler dare un'interpretazione troppo personale).

L'articolazione
Il lettore deve essere capito perfettamente. Quindi:
- deve essere curata la pronuncia di tutte le consonanti;
- bisogna fare particolare attenzione all'articolazione della "s" e della "z", che può essere sorda o aspra (es.: segno, spesso, grazia, bellezza) oppure sonora o dolce (es.: risveglio, centesimo, bizzarro, zanzara);
- è necessario che le vocali siano pronunciate in modo molto chiaro; occorre tenere presente che sia le "e" che le "o" hanno un diverso accento fonico: una pronuncia chiusa o acuta ed una aperta o grave.
A questo proposito esistono regole generali che hanno però le loro eccezioni.


IL COMPORTAMENTO DEL LETTORE

Osserviamo il comportamento del lettore dal momento in cui si avvia verso il luogo da cui leggerà.
Non lasci il proprio posto prima che sia concluso ciò che precede (orazione o salmo), cioè si muove per raggiungere l'ambone mentre l'assemblea, dopo l'orazione di inizio, si siede o dopo che l'assemblea ha cantato l'ultimo ritornello dei salmo responsoriale.
Il vedere il lettore spostarsi con calma prepara l'assemblea ad ascoltarlo attentamente.
Arrivato al luogo della lettura, il primo gesto del lettore è riservato al microfono: regolarne l'altezza, assicurarsi che funzioni guardando l'interruttore on/off.
Il secondo gesto è per il libro (lezionario): assicurarsi che sia aperto alla pagina giusta.
Il lettore, poi, si mette in posizione di lettura: ben diritto, spalle e petto eretti, ben piantato sui due piedi, testa alta, mani posate ai lati del libro o del leggio.
Il lettore chiede la benedizione al presidente della celebrazione dicendo (al microfono): "Benedicimi, padre" e volgendosi verso il presidente, fa il segno della croce senza nulla dire.
Il lettore, quindi, guarda con calma l'assemblea, come per presentarsi; prima di leggere, inizia con il respirare...
Facciamo presente che un comportamento corretto e una buona respirazione, uniti a una seria preparazione, fanno aumentare la probabilità di riuscire a vincere o per lo meno a ridurre il panico.
Il registratore a cassetta è uno strumento prezioso che si deve usare senza esitazione sia per provare la lettura, sia per verificarne l'esecuzione.

Come usare la sonorizzazione
Il volume dovrà essere regolato tenendo conto dell'edificio, dell'assemblea e della potenza vocale di chi dovrà fare uso dell'impianto.
Il volume troppo forte diventa una "aggressione" nei confronti dell'uditore. La disposizione del microfono: il microfono deve essere posto a circa 20 cm. dalla bocca di chi parla, più o meno all'altezza delle spalle, e leggermente rivolto verso l'alto (prima di regolarne l'altezza, sarà bene chiudere l'interruttore del microfono per evitare rumorii. fastidiosi).

L'uso del microfono
Chi usa il microfono, pur rimanendo fermo, deve però avere una certa mobilità rispetto ad esso per poterne sfruttare tutte le risorse.
In proposito, potremmo distinguere tre zone corrispondenti a tre distanze:
- zona dell'intimità (da 2 a 10 cm di distanza): si parla al microfono come se si parlasse in una conversazione a tu per tu;
- zona della conversazione (da 15 a 20 cm.): è come se si parlasse a un piccolo gruppo;
- zona del parlare in pubblico, della proclamazione, del tono oggettivo (da 30 a 35 cm.): si parla come se non ci fosse impianto di sonorizzazione.
Se si sanno sfruttare queste tre zone si può creare un vero rilievo sonoro, fonte di varietà e di vitalità di espressione.
Si ricordi, comunque, che il lettore dovrà osservare le leggi della dizione e il cantore quelle della tecnica vocale.
Alcuni consigli al riguardo:
- il lettore e il cantore trovino il tempo di regolare il microfono all'altezza giusta;
- si faccia attenzione ad articolare bene le parole: la diffusione, infatti, "mangia" le sillabe che il lettore avrà "mangiato", e farà cadere in un silenzio quasi totale le finali di frase pronunciate lasciando cadere la voce;
- per rendersi conto in che cosa consista una buona articolazione delle consonanti, sarà utile esercitarsi a leggere e a parlare a bassa voce davanti a un microfono acceso: se il lettore riesce a farsi capire, allora la sua articolazione è buona.

Cantare e parlare "con discrezione" al microfono
Normalmente l'animatore (anche del canto) di assemblea sappia cantare e parlare a mezza voce e pensi anche all'opportunità di allontanarsi dal microfono.
Se l'assemblea ha l'impressione che l'animatore riempia la chiesa con la sua voce, tenderà a tacere per ascoltare.

UN LUOGO PER LA PAROLA

"Alla mensa del Signore riceviamo in nutrimento il Pane di Vita... Ma alla mensa delle letture domenicali siamo nutriti della dottrina del Signore!" (S. Ilario)
"Cristo è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura" (Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium 7).
Questi due testi, mentre ci ricordano il posto che occupa la Parola di Dio nelle celebrazioni, ci fanno sentire l'importanza che deve avere il luogo da cui tale Parola viene proclamata. E' un'importanza molteplice: importanza del luogo e dell'ambiente circostante, importanza dell'arredamento e degli oggetti, ecc.

Importanza del luogo
Recita il Messale: "L'importanza della Parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata e verso il quale, durante la liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l'attenzione dei fedeli. Conviene che tale luogo sia generalmente un ambone fisso e non un semplice leggìo mobile. Tenuta presente la struttura di ogni chiesa, l'ambone deve essere disposto in modo che i ministri possano essere comodamente visti e uditi dai fedeli" (Principi e norme per l'uso del Messale, n. 272). Occorre dunque trovare il luogo più adatto per la proclamazione della Parola di Dio. Esso deve essere scelto in modo tale che il lettore o il predicatore vedano coloro aì quali si rivolgono e abbiano l'uditorio vicino, alla loro portata.
E'importante che tale luogo sia bene evidenziato e non ridotto a un semplice leggìo mobile senza consistenza e significato. Occorre, poi, illuminare bene il luogo della Parola. L'attenzione dei fedeli si rivolgerà ancora più spontaneamente verso il luogo della Parola se questo è bene illuminato. Non si può parlare di scelta del luogo della Parola senza segnalare alcuni errori da evitare:
- un leggìo troppo grande o troppo alto non favorisce la "comunicazione diretta", così come un leggìo mal fatto, con strutture troppo alte, che trasforma il lettore in un mezzo busto.
- Bisogna fare anche attenzione che l'ambone non copra gli altri elementi del presbiterio: la sede presidenziale, l'altare... La sistemazione del luogo della Parola si deve fare dopo seria riflessione e dopo alcuni esperimenti, in modo da creare nel presbiterio un insieme equilibrato, armonioso e bello.

Un segno
Ciò che vediamo ci deve parlare di quanto accade durante le assemblee e dell'importanza di ogni elemento.
È ovvio che il luogo della Parola può raggiungere questo scopo soltanto se è "bello". Questa "bellezza" esprime la presenza: è "segno". L'ambone dovrà dunque avere un vero valore estetico per la forma, il volume, le proporzioni equilibrate, il materiale di cui è fatto, il modo in cui è ornato e soprattutto per l'armonia dei diversi elementi che lo compongono.
Ma la ricerca estetica non basta. È necessario che l'arredamento sia funzionale. L'ambone dunque deve essere concepito in modo da adempiere la sua funzione. Il lettore o il predicatore vi sì devono sentire a proprio agio. Il leggìo deve essere abbastanza grande, orientabile, con un piano d'appoggio. L'ambone sarà ancora più adatto alla sua funzione se, prima della celebrazione, si avrà cura di prepararlo, di metterlo in ordine, affinché tutto sia a posto e funzioni perfettamente. "Dall'ambone si fa la proclamazione delle letture, del salmo responsabile e del preconio pasquale; vi si può tenere l'omelia e la preghiera universale o dei fedeli. Non conviene però che salga all'ambone il commentatore, il cantore o l'animatore del coro" (Principi e norme per l'uso del Messale n. 272). Come è possibile infatti mettere in evidenza l'importanza della Parola se dal luogo che le è riservato si compiono altre azioni, senza alcuna distinzione?
Non bisogna dimenticare che un ambone fisso ha sempre il vantaggio di segnare con maggiore evidenza il luogo della Parola e di sottolineare l'importanza che esso ha per la comunità, anche quando non vi sono celebrazioni, a imitazione degli antichi pulpiti.
Questo luogo deve essere un "segno vivo": deve significare che i cristiani vivono della Parola come dell'Eucaristia, che questa Parola li convoca, li riunisce, li chiama a conversione, li nutre e che essi l'ascoltano e le rispondono. L'ambone deve avere un'importanza da mettere in relazione con quella dell'altare.
"La liturgia della Parola è legata alla liturgia eucaristica: ciò che la Parola annuncia è un aspetto del mistero che l'Eucaristia celebra e attualizza, e la fede, che si nutre e si fortifica alla mensa della Parola, permette di partecipare con frutto alla mensa del Corpo del Signore" (Celebrare con il Messale del Vaticano II, L.D.C., p. 59).
Il luogo della Parola deve dunque evidenziare il legame che esiste tra le due mense, quella della Parola e quella dell'Eucaristia.

Importanza degli oggetti
Il principale "oggetto" della lettura è il Libro della Parola di Dio della quale è segno. Non può essere segno della Parola un libretto tirato fuori di tasca sul momento, neppure un foglietto volante, o peggio, un libro logoro, slabbrato e sporco. Non bisogna dimenticare gli altri oggetti che contribuiscono alla bellezza della celebrazione; ad esempio, i candelabri, il turibolo... Per non parlare delle vesti liturgiche...
Anche la collocazione del microfono deve essere ben studiata. Non è di secondaria importanza la decorazione: un tappeto, un mazzo di fiori freschi...
Per concludere: in queste righe abbiamo insistito molto sulla "bellezza" che dovrebbe contraddistinguere sia la sistemazione del luogo della Parola, sia la celebrazione della medesima.
Tale "bellezza" è fondamentale: essa sola può dare a una buona sistemazione quel potere spirituale che contribuisce a rivelare Dio.
Bellezza dell'arredamento, degli oggetti, dei riti: è urgente riflettere su questo problema.
L'efficacia pastorale si fonda sulla qualità dell'espressione della fede. Qualità che è verità. La ricerca della bellezza, l'arte, sono elementi che introducono questa qualità nel compimento del rito. Per questo la Chiesa li mette al servizio della celebrazione.


MUSICA E VITA FRATERNA

Musica e canto hanno senso soltanto all'interno di una grande festa popolare dove si acclama Dio e ci si trova tra fratelli: nella celebrazione liturgica, appunto. E, allora, come possiamo chiedere di cantare a un'assemblea che prima non si sia riconosciuta come comunità di fratelli?
Cerchiamo di fotografare le nostre assemblee:
- Se le persone arrivano in chiesa senza il desiderio di stare insieme, senza la volontà di accogliersi reciprocamente, di fare qualcosa insieme, non ci sarà né festa, né musica. Così, se in una chiesa la gente è tutta dispersa, sarà impossibile cantare... e qualsiasi tentativo musicale manifesterà una chiesa morta e individualista.
- Se invece nell'assemblea ciascuno si rende attento all'altro ed è contento di ritrovarsi con gli altri, si verificherà maggior coinvolgimento nella celebrazione comunitaria. Fare assemblea, infatti, significa per prima cosa suscitare questo atteggiamento di amicizia.
- Ci avvediamo, allora, di quanto sia importante tutto quello che precede una celebrazione: l'accoglienza dei fedeli da parte del sacerdote o del gruppo di animazione liturgica; il servizio del coro per l'immediata preparazione alla liturgia; la presenza dell'animatore liturgico-musicale che, raggiante di buon umore e ricco di verità interiore, può salutare chi arriva e mettere a loro agio gli intervenuti, richiamare l'attenzione su un canto, risvegliare l'interesse e il desiderio di ascoltare la Parola..., suscitare la disponibilità al canto... Una preparazione che tocchi il profondo del cuore.

Musica per un'assemblea
Il canto è uno spazio per comunicare. Il canto è fatto per la festa e fa la festa; è luogo di contatto e costruisce l'assemblea; è spazio di comunione...
Nella liturgia la musica trasforma il popolo che canta in popolo che celebra e permette all'assemblea di esprimere la propria fede.
La musica è a servizio della preghiera e della comunione fraterna. Il canto aiuta a vivere insieme la liturgia, a comunicare e a condividere. Grazie al canto, i cristiani radunati prendono coscienza di essere una comunità di credenti.
Ma la musica non è soltanto un elemento che crea comunione, è anche un mezzo privilegiato per esprimere in noi ciò che va al di là delle parole e delle idee. Però, facciamo attenzione: un'assemblea che canta deve credere in ciò che dice. Proporre un testo ad un'assemblea non è cosa indifferente nei riguardi dell'espressione della sua fede e della sua preghiera. Curare la qualità e renderci conto dell'importanza di quel che cantiamo vuol dire in primo luogo preoccuparsi dei testi che scegliamo.
Celebrare Gesù Cristo esige di non dire la prima cosa che capita... L'assemblea ha bisogno di canti con parole che dicano qualcosa all'uomo d'oggi e siano anche una strada che conduce al vangelo di Gesù Cristo.
Resta da trovare l'equilibrio tra testo, melodia, ritmo; infatti, il cantare è diverso dal parlare: il nostro essere è coinvolto in maniera diversa perché la musica riesce ad arricchire il testo di una dimensione nuova.
Dunque, non basta sollecitare l'intelligenza, occorre che il suono, il ritmo e gli accordi facciano zampillare la sorgente nel cuore di ciascuno.
La musica dà spazio e durata alle parole, creazione di rilievo e di risonanza.
Il canto diventa come il corpo della preghiera.
Sappiamo, però, che una bella melodia può nascondere lo squallore di un testo mediocre; così pure un buon testo può uscire appiattito o soffocato dalla musica. Il rapporto testo-melodia è dunque un problema permanente nella liturgia: occorre fare in modo che parole e musica siano accessibili al maggior numero possibile di persone, e che le tocchino nel profondo del loro essere, suscitando sentimenti di supplica o di lode, di adorazione o di ringraziamento, richiamando ciascuno alla propria libertà, per essere se stesso davanti a Dio.
Al di là delle parole e delle idee, degli accordi e dei suoni, l'assemblea che loda diventa lode essa stessa, l'assemblea che acclama e supplica, diventa acclamazione e supplica. Che se è Dio. che mette la lode nel cuore e sulle labbra dei credenti, l'assemblea che canta diventa anch'essa creatrice della propria lode.
Allora, la musica "viva" è quella che nasce dall'assemblea, che si fa nell'assemblea, e che esprime ciò che l'assemblea vive. Di conseguenza, è bene non sottovalutare mai le possibilità dell'assemblea e non minimizzarne il ruolo; anzi, occorre saperla responsabilizzare e mettersi al servizio del dinamismo dello Spirito presente in essa. Così, non è bene adottare, senza il minimo spirito critico, tutto quello che è di moda, o credere che basti un canto bello e allegro perché il cuore si apra ai richiami del Vangelo: ciò non sarebbe degno del rispetto dovuto a un'assemblea che celebra. Allo stesso modo infine, si deve ricordare che l'animatore liturgico-musicale ha il compito di animare, non di manipolare l'assemblea imponendo se stesso con la voce e con il gesto; deve tenere ben presente che quando l'assemblea ha preso coscienza di ciò che fa, bisogna sapere mettersi da parte.

Canto e Musica nella liturgia
Sc 112: "La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrale della liturgia solenne".
"Il canto sacro è stato lodato sia nella Sacra Scrittura, sia dai Padri, sia dai Romani Pontefici che recentemente, a cominciare da S. Pio X hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel servizio divino. Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente la preghiera o favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti".
Ms 5: "La musica sacra ha formato oggetto di considerazione da parte del Concilio Vaticano Il, per gli aspetti che hanno relazione con la riforma liturgica. Il Concilio, infatti, ne ha messo in rilievo i compiti nel culto divino, fissando in proposito vari principi e varie norme nella costituzione sulla sacra liturgia, e dedicandole un intero capitolo nella medesima costituzione".
Ms 5: "L'azione liturgica riveste una forma più nobile quando è celebrata in canto, con i ministri di ogni grado che svolgono il proprio ufficio, e con la partecipazione del popolo. Infatti, in questa forma di celebrazione:
- la preghiera acquista un'espressione più gioiosa;
- il mistero della sacra liturgia e la sua natura gerarchica e comunitaria vengono manifestati più chiaramente;
- l'unità dei cuori è resa più profonda dall'unità delle voci;
- gli animi s'innalzano più facilmente alle cose celesti per mezzo dello splendore delle cose sacre;
- tutta la celebrazione prefigura più chiaramente la liturgia che si svolge nella Gerusalemme celeste".
Ms 9: "La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito dell'azione liturgica e alla natura delle singole parti, e non impedisca una giusta partecipazione dei fedeli".
Pnmr 19 Pnma 19: "Nelle celebrazioni si dia quindi grande importanza al canto, anche se non è sempre necessario cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto".
"I fedeli si radunano nell'attesa della venuta del Signore, sono esortati dall'Apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali. Infatti il canto è segno della gioia del cuore. "il cantare è proprio di chi ama"; "chi canta bene, prega due volte" (S. Agostino).
I documenti sopra riportati servono semplicemente all'avvio di una riflessione, ben lontana dall'essere completa ed esaustiva, circa il ruolo che il canto e la musica sacra compiono nell'azione liturgica.
Essi rimandano alla lettura dei capitolo VI della "Sacrosanctuni Concilium" interamente dedicato al problema, ovviamente condotta nell'ampio contesto della riforma e del rinnovamento liturgico, e allo studio dei principali documenti successivi alla costituzione conciliare sulla liturgia.
I medesimi documenti citati ci consentono, anzitutto, di giungere a una precisa e articolata conclusione: la liturgia non può prescindere dal canto e dalla musica anzi, essi saranno sacri nella misura in cui saranno uniti all'azione liturgica, cioè, al rito attuato da una determinata assemblea, alla celebrazione dell'assemblea liturgica.

Problema pastorale
La celebrazione deve attuarsi secondo il suo "ordinamento autentico" (Ms 6), secondo la debita divisione degli uffici liturgici e nel rispetto delle varie componenti rituali, raggiungendo così la vera solennità, propria delle azioni sacre, che non dipende tanto dalla quantità o dalla qualità di musica eseguita (né dallo sfarzo delle cerimonie) ma dal modo degno e autentico di condurre la celebrazione, con l'inserimento appropriato del canto, a tempo debito e nella maniera giusta (Ms 11).
Ci troviamo di fronte a un vero e proprio compito riguardante la pastorale liturgica che da una parte deve conservare e incrementare il patrimonio della musica sacra e dall'altra deve essere aperta alle istanze della spiritualità odierna; che deve promuovere con impegno le "scholae cantorum" (Ms 114) e non deve disattendere un'educazione musicale di tutto il popolo di Dio (Ms 115); che si trova a mediare, nel settore degli strumenti musicali, tra l'uso dell'organo a canne (che tradizionalmente offre "notevole splendore" alle cerimonie della Chiesa) e l'introduzione nelle azioni liturgiche di altri strumenti, "purché adatti all'uso sacro" e utili a favorire "l'edificazione dei fedeli" (Ms 120); che, soprattutto, è attenta a ricondurre anche la musica e il canto al ruolo di servizio nella liturgia, grazie al quale la riunione del popolo di Dio per la celebrazione dei misteri dì Cristo si possa risolvere in un autentico atto di culto al Padre e in un'espressione sincera della spiritualità dì una comunità che vive e palpita in una cultura decifrabile nei suoi contenuti.
La riforma liturgica, pertanto, non richiede soltanto una riflessione condotta dagli esperti circa la bontà della musica sacra e del canto liturgico, ma postula soprattutto un'attenzione da parte dei pastori e della comunità circa l'opportuno inserimento nella celebrazione di forme musicali e di espressioni di preghiera in canto, quale modalità non semplicemente artistica ma anche di partecipazione.
Siamo chiamati a occuparci del problema con impegno, e in special modo sul piano della produzione, della scelta e dell'esecuzione del canto liturgico e della musica sacra (Ms 118):
- la schola cantorum "deve curare l'esecuzione esatta delle parti proprie... e favorire la partecipazione attiva dei fedeli" (MS 19);
- è bene che l'assemblea partecipi sia ai canti dell'Ordinario che a quelli del proprio (cfr. MS 33-34);
- il cantore e il salmista, che propongono canti semplici per la partecipazione del popolo e guidano e sostengono opportunamente i fedeli nell'esecuzione di quanto loro spetta (cfr. MS 21);
- l'animatore e l'organista assumono una vera e propria funzione liturgica nell'assemblea e sono punti di riferimento nella programmazione dei canti liturgici e nell'auspicato dialogo tra popolo e assemblea...
Abbiamo aperto soltanto una finestra sull'ampio panorama rappresentato dalla presenza del canto e della musica nell'assemblea liturgica. Anzi, abbiamo soltanto elencato alcuni tra i principali punti nodali che ci sembra doveroso affrontare, a cui dobbiamo dare una pertinente risposta.
Ci sembra di dover ricordare che il problema si pone nel contesto più a largo respiro della preghiera personale e comunitaria che, trattando di cose mirabili, i "mirabilia Dei", assume pure uno stile adeguato. Ci avvediamo, allora, che non si tratta di accompagnare un rito o di incastonare una azione sacra in una cornice di poesia melodiosa che intenerisce il cuore, ma di "cantare il Signore" con il cuore ardente di fede; meglio, prestare voce al Verbo, inno di lode al Padre che dall'eternità irrompe nel tempo.

Produzione
Accanto al repertorio "tradizionale" fiorisce la linea "nuova" rappresentata dalla composizione di canti religiosi e popolari del postconcilio. Ci si trova di fronte a proposte spesso non soddisfacenti (nella musica e nei testi), tuttavia indicanti orientamenti e ricerca di forme e di contenuti in sé apprezzabili.
In generale, più di una volta ci imbattiamo in composizioni non degne della perfezione artistica; in qualche caso veniamo messi di fronte a veri e propri "abusi"... Sono fatti che non devono provocare la condanna o la chiusura da parte dei compositori di professione anzi, devono stimolare alla revisione di certi criteri e al raggiungimento di certe méte anche in fatto di musica per la liturgia e di partecipazione canora delle assemblee. Affermando questo, tuttavia, non si vuole invitare a rinunciare al debito, rigoroso (e al tempo stesso duttile) senso critico.


Scelta ed esecuzione
Si impone, tra la produzione ricca e varia dei canti, il lavoro delicato della scelta. Nell'espletare questo dovere siamo guidati anzitutto dal criterio che conduce ad esaminare il valore testuale dei canto e della musica: perché essi entrino nella liturgia devono garantire un'adeguata, consona forma musicale, e presentare un testo teologicamente concordante con l'ortodossia.
In secondo luogo dobbiamo appellarci al criterio della funzionalità liturgica: la scelta del canto e della musica può avvenire in modo appropriato soltanto se essi vengono messi in rapporto con il rito cui devono essere legati, con la celebrazione il cui mistero deve essere commentato, con l'assemblea (e le sue effettive capacità ed esigenze) chiamata a partecipare attivamente all'azione sacra.
Concretamente, occorrerà badare se il canto è in funzione della Messa o di un altro Sacramento; in occasione di una Domenica "per annum" di una Domenica di Quaresima o di Pasqua, oppure di una festa, della Madonna o dei Santi; se si tratta di un "alleluia" o di un "Gloria", oppure di un "salmo responsoriale" o di un canto "di comunione"; se l'assemblea è composta prevalentemente da fanciulli, oppure da persone della terza età o da un'ordinaria comunità parrocchiale; ecc. Per nostra buona fortuna, in questi ultimi tempi abbiamo assistito a una vera e propria fioritura di "repertori" nazionali, regionali, interdiocesani, ecc.: dobbiamo riconoscere che essi favoriscono e guidano il lavoro orientato a discernere, nelle concrete circostanze, il brano musicale o il canto adatto; senza considerare che essi hanno il merito di creare quel minimo-comune-denominatore tra i canti usati in più parrocchie, creando un livello comune in diocesi o in regione; è un'opera organizzativa che, a nostro modesto parere, va al di là dell'offerta di un sussidio-testo, assumendo il ruolo di guida competente, vocale e strumentale, che, con parole e melodia, promuove la partecipazione con il canto alla celebrazione.
Va da sé che l'affrontare questo capitolo di pastorale liturgica significa anche aprire il discorso circa una regìa della musica nella liturgia, così che si possa sempre meglio comprendere il motivo per cui si fa della musica nella liturgia e il significato della musica e del canto nelle celebrazioni liturgiche; una regìa che metta in rilievo l'espressione gioiosa della preghiera liturgica di una comunità gerarchicamente organizzata e comunitariamente compaginata, di una Chiesa che fa festa perché, attendendo la "beata speranza", pregusta il dono della salvezza offerta dal suo Signore.
E di pari passo, questo problema si dipana insieme con lo sforzo di risolvere il delicato nodo della progressiva educazione dell'assemblea a partecipare con il canto alla liturgia: popolo, schola, cantore, salmista, animatore dell'assemblea, organista o strumentista rappresentano i principali ruoli che si attuano nella celebrazione liturgica; e tutti questi riescono a fare unità grazie alla funzione presidenziale del sacerdote nell'assemblea stessa.
Infatti:
- il primo animatore di assemblea è il presidente che occupa un posto particolare nell'assemblea (MS 14).


MUSICA E CANTO NELL'AZIONE LITURGICA

I parroci, i direttori di coro, gli organisti, gli animatori liturgico-musicali, i laici, le religiose, i religiosi... hanno il compito di preparare con senso di responsabilità ogni esecuzione musicale e canora nella celebrazione liturgica.
Questa preparazione richiede sacrifici - soprattutto da parte del coro che si accolla il gravoso impegno delle prove, programmate con metodo e regolarità - pur sostenuti da una vera passione per il canto e la liturgia.
Vorrei proporre alcune indicazioni destinate al ruolo del coro, per renderlo sempre più aderente alla natura e al senso delle celebrazioni liturgiche.
Dopo il Concilio Vaticano Il molto è stato fatto per aggiornare, sensibilizzare e promuovere la musica sacra, e sempre meglio è emerso il ruolo ministeriale del "coro liturgico"; è a servizio delle celebrazioni ed è sostegno e guida del canto dell'assemblea. Il coro liturgico si è affermato ormai come organismo di animazione liturgica.
Richiamiamo allora alcune idee di fondo che devono guidare la nostra riflessione in proposito.

l. Il Coro fa parte dell'Assemblea liturgica
L'affermazione dice che:
- l'assemblea dei fedeli risulta dalla convocazione e dalla riunione ordinata e organica dei fedeli presenti in una determinata chiesa, intenti al compimento di un'azione liturgica propriamente detta. L'assemblea è segno e manifestazione della Chiesa: per questo partecipa alla natura sacramentale della Chiesa stessa;
- il coro fa parte dell'assemblea: purtroppo, in concreto, non lo è sempre, soprattutto quando si pensa in termini di divisione e contrapposizione tra coro e assemblea. In realtà l'uno e l'altra formano l'unica, santa assemblea di Dio, il soggetto visibile e integrale di ogni azione liturgica. Occorre dunque ricordare che il canto dell'assemblea diventa primario e si costituisce come vero elemento di solennità. Recita l'istruzione sulla musica Sacra ( 1967): "Non c'è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di un'assemblea che tutta esprime con il canto la sua pietà e la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo questo ordine: a) comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri ed alle preghiere litaniche; inoltre la antifone ed i salmi, i versetti intercalati o ritornelli, gli inni ed i cantici; b) con un'adatta catechesi e con esercitazioni pratiche si conduca gradatamente il popolo ad una sempre più ampia, anzi alla piena partecipazione a tutto ciò che gli spetta; c) si potrà tuttavia affidare alla sola Schola alcuni canti del popolo, specialmente se i fedeli non sono ancora sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il popolo non sia escluso dalle altre parti che gli spettano. Ma non è da approvarsi l'uso di affidare per intero alla Schola Cantorum tutte le parti cantate del "Proprio" e dell'"Ordinario", escludendo completamente il popolo dalla partecipazione nel canto" (n. 16).

2. Il Coro svolge un vero ministero liturgico
La Costituzione conciliare sulla sacra liturgia precisa che "tutti i membri del coro svolgono un vero ministero liturgico" (SC. 29).
A partire da questa convinzione la Chiesa esorta a promuovere cori e solisti che propongano almeno dei canti semplici per la partecipazione del popolo, guidino e sostengano opportunamente i fedeli (Musicam Sacram 21).
Se il coro svolge un prezioso servizio nella liturgia e se questo servizio corrisponde a un particolare carisma, allora i responsabili e i membri dei cori sono chiamati a coltivare in se stessi un autentico spirito liturgico e ad acquisire una formazione spirituale e rituale idonea.
Educazione e formazione liturgica sono esigenze naturali anche ad ogni nostra corale parrocchiale. E' molto significativo che la Chiesa riconosca ai membri di queste corali e alle loro prestazioni la qualità di un vero ministero ecclesiale.

3. Il Coro è luogo di cultura
Quest'affermazione contiene la grande verità - documentata dalla lunga storia delle "cappelle musicali" - che per molti secoli ha custodito e sviluppato un patrimonio di inestimabile valore. Ed è opportuno che tale patrimonio sia fatto conoscere e gustare da tutta l'assemblea liturgica; per questo il coro è luogo di espressione e di formazione culturale, dove le opere del passato, le nuove esigenze e le nuove forme musicali sono studiate e fatte conoscere al popolo di Dio.
La riforma liturgica - per quanto concerne il settore dell'arte musicale - ha riaffermato una necessaria gerarchia di valori: nelle attuali celebrazioni l'arte è al servizio della liturgia e il talento musicale deve favorire l'assemblea orante.
In questa luce vanno considerati anche i cosiddetti "concerti spirituali" che possono essere programmati per preparare o concludere celebrazioni liturgiche, per caratterizzare le solennità, le feste e i tempi liturgici, per creare una cornice adatta alla liturgia della Parola o ad una lettura di brani biblici o spirituali. In questo modo potrà essere valorizzato e divulgato il patrimonio musicale della Chiesa.


IL COMPITO DEL CORO NELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE

Nelle direttive conciliari e in altri documenti e note esplicative la Chiesa ribadisce la necessità di un gruppo di cantori che nell'assemblea liturgica siano intermediari tra i sacri ministri e i fedeli
La riforma liturgica considera il compito del coro come parte necessaria ed integrante dell'azione cultuale, non inferiore per dignità a quello degli altri partecipanti alla celebrazione.
Per aiutare il coro nell'esercizio corretto del suo ruolo, propongo alcune indicazioni pratiche.

Il Coro è guida e sostegno del canto dell'assemblea
La partecipazione attiva da parte dell'assemblea alla celebrazione comporta anche una condivisione dei testi, delle parole, dei gesti e del canto per favorire l'unità dell'assemblea e la preghiera comunitaria.
In particolare, il coro è chiamato a guidare e a sostenere questa partecipazione "corale" dell'assemblea.
Il Messale, in Principi e norme, così recita: "Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico il coro a cui spetta eseguire a dovere le parti che gli sono proprie, secondo i vari generi di canto, e favorire la partecipazione attiva dei fedeli nel canto".
Ne consegue che i membri del coro devono cantare con l'assemblea e non estraniarsi o, peggio, tacere quando tutti sono invitati a rispondere, a pregare e a cantare.
Il coro non deve temere di "abbassarsi" o di "contaminarsi" cantando con l'assemblea (mescolando le sue voci più belle e più educate con quelle meno formate del popolo): il coro è chiamato a trascinare e a sostenere il canto dell'intera assemblea.

Il Coro deve alternarsi col popolo
L'alternanza tra popolo e coro è un metodo efficace per educare il popolo stesso a cantare bene, coinvolgendolo anche in canti nuovi e in composizioni meno conosciute.
Quest'alternanza favorisce l'intensa vivacità della preghiera e diventa significativa espressione del dialogo liturgico.
Per ottenere questo, ad esempio, sarebbe sufficiente far eseguire dall'assemblea un ritornello conosciuto e lasciare al coro l'intervento in canto delle strofe, anche a più voci.
Il dialogo coro-assemblea non è facile e non si improvvisa, ma è possibile e richiede che l'assemblea sia educata a cantare (tramite prove di insieme), soprattutto con la collaborazione del sacerdote-presidente della celebrazione e dell'animatore liturgico-musicale.


Il Coro esegue anche da solo alcuni canti
La riforma liturgica, ridando a ciascuno la parte che gli compete nell'azione cultuale, ha fatto riscoprire anche il corretto ruolo del coro ed ha affermato la convenienza che il coro esegua alcuni canti da solo.
I momenti nei quali è permesso l'intervento del solo coro si possono individuare attraverso l'esame della struttura dei riti e del tipo di assemblea.
Per questi momenti il parroco e il direttore del coro dovranno scegliere i canti adatti.
L'Istruzione sulla Musica nella Sacra Liturgia Musicam Sacram (1967) recita: "I canti che costituiscono l'ordinario della Messa, se sono cantati su composizioni musicali a più voci, possono essere eseguiti dal coro nel modo tradizionale, cioè o "a cappella" o con accompagnamento, purché, tuttavia, il popolo non sia totalmente escluso dalla partecipazione al canto" (34).
Bisognerà talvolta aver il coraggio di sacrificare anche pagine di valida e buona musica pur di raggiungere il fine primario della liturgia.
A proposito poi delle parti che il coro può eseguire da solo, sarà bene persuaderci che durante le celebrazioni liturgiche è nostro dovere "pregare" e non eseguire concerti. Ne consegue il dovere da parte dei pastori e degli organisti di procedere, nella scelta dei brani, secondo criteri liturgici.
Concludo con l'invito perché il coro trovi dignitosamente il suo equilibrio nel rispetto delle finalità che gli sono proprie e perché la scelta dei canti per le celebrazioni liturgiche si faccia, insieme con il parroco, lasciandosi guidare dai seguenti criteri di giudizio:
- forma musicale adeguata alla celebrazione e alle reali possibilità del coro;
- testo teologicamente corretto e collocazione liturgica esatta.


MUSICA E CANTO NELLA LITURGIA

1. Significato teologico della musica e del canto nell'azione liturgica
La riflessione teologica riguarda il significato e il valore della musica e del canto nell'azione liturgica. Ogni celebrazione è una presenza speciale di Dio e di Gesù Cristo. E un momento di storia della salvezza. La liturgia è per sua natura un'azione teologica, è un dono di Dio, è offerta di salvezza che parte da Dio; solo dopo, in un secondo momento, diventa risposta dell'uomo. La Costituzione liturgica conciliare dice: "Giustamente la liturgia è ritenuta quell'esercizio dell'ufficio sacerdotale di Gesù Cristo, mediante il quale con segni sensibili viene significata e, ìn modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdotale e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado" (S.C. 7): musica e canto sono parti integranti e necessarie della liturgia, nel più vasto quadro di quel segno sostanziale che è l'assemblea liturgica.
Si può ben dire che Gesù Cristo, Capo delle sue membra, assume e conferisce dignità di segno e di strumento efficace per la salvezza anche alla musica e al canto. L'assemblea liturgica si distingue da ogni altro tipo di umano raggruppamento o di convegno, dove non ci sono la presenza e l'azione salvifica di Gesù.
Così, musica e canto, mentre entrano nel dinamismo di un'assemblea liturgica, diventano strumenti ed espressione della fede, della speranza e dell'amore cristiano che impregnano spiritualmente i fedeli delle nostre assemblee e li uniscono al sacrificio e alla lode dì Cristo.
Di qui si comprende non solo la dignità della musica e del canto nella liturgia, ma anche i criteri che occorre adottare per valutare un genere di musica che, alla qualità dell'ispirazione, deve unire un intrinseco rapporto con l'azione liturgica.

2. Aspetti spirituali della musica e del canto nella liturgia e formazione dei cantori
I membri del coro parrocchiale hanno bisogno di un'adeguata formazione musicale; lo esige un dovere quasi professionale e il senso religioso e sacro dell'azione liturgica, nella quale i cantori vengono inseriti.
Dobbiamo essere riconoscenti ai direttori, agli organisti e ai membri dei Cori parrocchiali, pensando al duro lavoro delle prove, reso più arduo dal fatto che quasi tutti i nostri cantori sono dilettanti. Da parte mia sono consapevole che la dignità e la bellezza di certe esecuzioni sono frutto di molti sacrifici.
La formazione musicale è indispensabile ma insufficiente per i membri di un coro: è necessario che essa sia integrata dalla formazione liturgica e da quella spirituale. Lo indica e quasi lo prescrive l'Istruzione sulla musica nella Sacra Liturgia: "Oltre alla formazione musicale, si dia ai membri della Schola Cantorum una formazione liturgica e spirituale, in modo che dall'esatta esecuzione del loro ufficio liturgico, derivi non soltanto il decoro dell'azione sacra e l'edificazione dei fedeli, ma anche un vero bene spirituale per gli stessi cantori" (Musicam Sacram 24).
L'impegno della formazione liturgica e spirituale dei cantori costituisce una mèta pastorale del programma diocesano. Un contributo alla formazione liturgica viene offerto alla diocesi attraverso la scuola per gli Animatori liturgici e quella per gli Operatori pastorali.
Per realizzare questa formazione nella vita concreta della parrocchia è necessario che il coro si senta parte viva della comunità parrocchiale, che conosca le iniziative catechistiche destinate ai giovani e agli adulti, che programmi degli incontri in piena comunione con il parroco, cui spetta la prima responsabilità della formazione dei laici e della vita liturgica.
I parroci amino e tengano in dovuta considerazione il coro; i cori, a loro volta, vivano in comunione con i parroci e partecipino alle attività formative, sia di ordine catechistico che di ordine più strettamente spirituale (giornate di spiritualità, ritiri spirituali, esercizi, ecc.).
Tra gli effetti benefici che il coro produce nella liturgia c'è quello dell'unità; l'unità delle voci, che tocca e investe l'unità dei cuori. Attraverso la musica e il canto il coro fa sì che tutta l'assemblea si senta un cuor solo e un'anima sola; crea un'anima comune, favorisce l'unanimità.
Pensiamo dunque ai cori parrocchiali come a vere scuole di preghiera, come a strumenti di apostolato della preghiera liturgica. A questo ci esortano le parole dell'apostolo Paolo: "Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo" (Ef 5,18-20).


IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

Anche il sacramento della Penitenza è entrato nel quadro del lavoro generale di revisione della Liturgia (SC 21), dopo che la Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano Il aveva formulato questo voto (SC 72).
La revisione dei riti penitenziali ha seguito
precisi criteri contenuti in diversi pronunciamenti conciliari (LG 1l; PO 5; SC 109) da cui si può desumere la preoccupazione di sottolineare che:
- il peccato è, allo stesso tempo, offesa a Dio e ferita nel corpo della Chiesa;
- nella Penitenza il peccatore si riconcilia con Dio e con la Chiesa;
- tutta la Chiesa collabora nella conversione e nella riconciliazione del fratello che ha peccato.
Dalle indicazioni generali sulla riforma liturgica proviene l'invito a tenere presenti ulteriori elementi:
- l'importanza della Sacra Scrittura e della sua proclamazione nella celebrazione dei Sacramenti (SC 24,33,35);
- la dimensione comunitaria della liturgia, specialmente dei Sacramenti (SC 26, 27);
- la preferenza per un rito semplice e sobrio (SC 34) che nel medesimo tempo abbia una certa nobiltà o dignità, come pure una certa bellezza.
A questo proposito, di fatto, come veniva praticata fino a poco tempo fa, nella celebrazione della penitenza non si conosceva la lettura della Parola di Dio, era andato svanendo quell'aspetto ecclesiale che l'aveva tanto caratterizzata nei primi tempi, e il rito era eccessivamente povero; e la sua ripetizione per lunghe ore da parte dello stesso "confessore" portava a un ritmo rapido e alla scomparsa quasi totale della preghiera, del gesto di perdono mediante l'imposizione della mano, ecc.
Infine, nella revisione dei riti penitenziali, si è tenuto conto degli orientamenti della teologia attuale che ha messo in evidenza il ruolo centrale del mistero pasquale di Cristo, l'azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa, l'amore e la misericordia del Padre come fonte della salvezza del mondo.

Penitenza o riconciliazione
Il nome del Sacramento: è molto importante perché serve a identificarlo, ad esprimerne il contenuto.
Dal nome "confessione" - l'elemento che ha prevalso nella catechesi e nella prassi pastorale è stato appunto la confessione dei peccati, soprattutto a motivo del diffondersi della celebrazione "privata" dei Sacramento e del progressivo ridursi della penitenza o soddisfazione e dell'insistenza sul dovere dell'accusa integra - si passa al nome "penitenza", che significa conversione o cambiamento profondo di vita (va purificato, quindi, dal significato di opera afflittiva o di espiazione del peccato).
Appare anche il nome "riconciliazione": (usato nella Sacra Scrittura per designare il perdono del fratello: Mt 5, 23-24; l'opera di Dio che riunisce gli uomini tra di loro: Ef 2, 14-16; e con se stesso per mezzo della croce di Cristo: Col 1, 20 e Rm 5, 10; termine che si riferisce anche all'azione ministeriale dell'Apostolo che agisce in nome di Dio: 2 Cor 5, 18-20) sembra mettere maggiormente in evidenza l'azione di Dio che riconcilia gli uomini tra di loro e con se stesso per mezzo di Cristo; o, meglio ancora, il termine "riconciliazione" esprime il rapporto bilaterale di incontro vicendevole che è proprio dei sacramenti cristiani in cui Dio si fa incontro all'uomo con il suo dono di salvezza per mezzo di Cristo che agisce nella sua Chiesa, e l'uomo, nella stessa Chiesa e per mezzo dello stesso Cristo, accoglie in sé nella fede la salvezza e il dono di Dio.
Per questo, mentre si parla di Ordo paenitentiae, si è recepito l'uso del termine riconciliazione nei titoli dei diversi riti in esso contenuti.
Questa piccola innovazione può prestarsi ad una più felice presentazione catechetica del Sacramento, e anche a una pastorale che metta maggiormente in evidenza l'aspetto gioioso dell'incontro con Dio, e non soltanto l'aspetto negativo (anche se indispensabile) della detestazione della colpa e della sua espiazione; l'incontro del figlio con il padre, e non solo il cammino per ritornare a lui.

Il mistero della salvezza
Desumiamo le premesse teologiche e pastorali di questo Sacramento dai Praenotanda che devono essere considerati (come in ogni libro liturgico) una vera e propria introduzione teologico-pastorale ai riti stessi. In essi troviamo la presentazione, in sintesi, dei punti fermi e acquisiti della dottrina tradizionale della Chiesa in questo campo:
a) Il Sacramento della Penitenza è posto in una visione globale del mistero della salvezza (si ricollega alla riconciliazione dell'uomo con Dio compiuta in Cristo, e che si attua continuamente nella Chiesa specialmente nel Battesimo e nell'Eucaristia: nn. 1, 2).
b) Il Sacramento della Penitenza viene descritto a partire dalla Chiesa e dal suo incessante sforzo di purificarsi e di rinnovarsi. Il peccatore che "ritorna" alla vita divina e alla piena comunione con la Chiesa, viene inserito nello sforzo di continua conversione e sempre più completa attuazione della grazia battesimale che costituisce uno degli atteggiamenti fondamentali della Chiesa di Cristo: nn. 3, 4.
c) Gli elementi costitutivi del Sacramento della Penitenza sono presentati secondo l'insegnamento tradizionale della Chiesa: pentimento, accusa, riparazione, assoluzione: n. 6.
d) Si distingue chiaramente il caso in cui la celebrazione del Sacramento della penitenza è necessaria (per colpe "gravi" o "mortali") e l'uso facoltativo di questo Sacramento altamente raccomandato per fomentare l'impegno di continua conversione della Chiesa. Questo Sacramento è la continua celebrazione della vittoria di Cristo sul peccato e un canto di lode alla potenza e misericordia di Dio che continuamente purifica il suo popolo e lo rinnova con la grazia del suo perdono.
Di grande importanza sono le norme circa l'adattamento della liturgia penitenziale: esso non è soltanto una possibilità ma un preciso dovere dei pastori (il Vescovo è "moderator disciplinae paenitentialis": LG 26) e delle loro comunità (esse, con i loro presbiteri, sono invitate a trovare di volta in volta i momenti e i modi concreti più opportuni per la celebrazione della Penitenza nelle sue varie forme, salva sempre la struttura fondamentale dei riti e la formula di assoluzione, secondo le none delle Conferenze episcopali: nn. 38-40).

STRUTTURA DEL RITO DELLA PENITENZA

Come tutti gli altri sacramenti e tutte le altre celebrazioni liturgiche, anche il Sacramento della Penitenza è una vera celebrazione e comporta un certo rito esteriore, la cui struttura fondamentale può essere così descritta:

l. Riti iniziali di accoglienza
Dovrebbero essere particolarmente espressivi, dal momento che fanno diretto riferimento a numerosi e significativi testi evangelici (accoglienza del figlio prodigo da parte del padre: Lc 15, 11-32 - specialmente 20-24; atteggiamento di Gesù nei confronti di Zaccheo: Lc 19, 1-10, della peccatrice in casa di Simone fariseo: Lc 7, 36-50, del paralitico: Lc 5, 17-26, di Levi: Lc 5, 27-32, della samaritana: Gv 4, 1-42, dell'adultera: Gv 8, 1-11, degli stessi Dodici: Gv 21).
La libertà di gesti e di testi suggerita, costituisce un invito a dare a questo momento celebrativo l'importanza che esige, cosicché l'assemblea o il singolo penitente siano introdotti nell'atmosfera dell'ineffabile divina accoglienza per ogni figlio che si converte e torna al Padre. Il clima di gioia dovrebbe sottolineare la certezza del perdono del padre e la riammissione alla sua mensa con i fratelli.

2. Celebrazione della Parola di Dio
Anche questo momento è caratterizzato da una grande libertà sia nella scelta delle letture sia nell'impostazione celebrativa. Il Lezionario che accompagna l'Ordo, pertanto, ha puramente carattere indicativo. D'altra parte, gli aspetti teologici principali della Riconciliazione possono guidare nella scelta delle letture, al di fuori del lezionario indicato.
In particolare, desideriamo ricordare che in una celebrazione comunitaria non dovrebbe mai mancare l'omelia che attualizzi per la comunità concreta la parola proclamata. La medesima cosa va detta anche per il silenzio, in cui ciascuno confronta con la Parola il proprio modo di camminare davanti al Signore e nella comunità.

3. Rito della Riconciliazione
Si presenta diviso in tre parti:
a) Confessione generale dei peccati - Prece litanica - Padre nostro.
La confessione generale è un elemento rituale da non sottovalutare: è il gesto di risposta della comunità che ha ascoltato la parola e vi si è confrontata (ricorda la grande liturgia di espiazione di Ne 9, 1-3 che fa seguito alla lettura della Torah: Ne 8).
La prece litanica opportunamente potrebbe essere sostituita da una "confessione" delle "misericordie" di Dio nella storia (cfr. Ne 9, 4-37), che verrebbe conclusa assai bene dalla recita comune della più grande preghiera comune cristiana: il Padre Nostro, preghiera possibile solo nello Spirito che grida nel cuore dei credenti (Gal 4, 6) o che fa gridare (Rm 8,15): "Abbà", Padre! (cfr. Lc 10,21; 11,13). In questa prospettiva il Padre nostro può essere considerato soprattutto come preghiera battesimale, eucaristica ed escatologica, preghiera ecclesiale di Riconciliazione.
b) Formula di assoluzione.
E composta di due parti: la prima parte (di carattere ottativo) è redatta alla terza persona con soggetto Dio, la seconda parte (di carattere imperativo) è invece alla prima persona con soggetto Io (= il ministro). Il tono della formula è dunque chiaramente giudiziale.
Quanto al contenuto teologico: la prima parte costituisce un progresso notevole per la sua impostazione economico-trinitaria. Al Padre è attribuita l'iniziativa degli interventi misericordiosi nella storia (Padre delle misericordie: cfr. 2 Cor 1, 3) culminanti nella Morte e Risurrezione del Figlio, mediante il quale ha riconciliato a sé il mondo (cfr. Rm 5, 20; 2 Cor 5, 17-19) ed ha effuso lo Spirito santo per la remissione dei peccati (cfr. At 2, 38; Gv 20, 23). In questa parte viene anche richiamato l'aspetto ecclesiale del Sacramento che viene espresso in modo più ampio dal fatto dell'assemblea radunata intorno al ministro nella sua specifica funzione di segno visibile di Cristo Capo del Corpo, dal comune "ascolto" della parola, dalla comune intercessione.
La seconda parte riprende la formula del Rituale precedente.
c) Imposizione delle mani.
Questo gesto, ridotto a ben poco nel precedente rituale, viene ristabilito in tutta la sua possibilità espressiva perché accompagna una formula che ne esprime il senso: "Dio, Padre... ha effuso lo Spirito santo per la remissione dei peccati…"
Per il significato del gesto, si rimanda al senso dell'imposizione delle mani nell'Antico e nel Nuovo Testamento, nelle liturgie orientali e occidentali, e in particolare nei riti sacramentali (Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Ordinazione, Riconciliazione): si rimanda perciò ai manuali di storia liturgica o alle voci dei grandi dizionari.
Il rito viene così descritto: "Il sacerdote tenendo stese le mani (o almeno la mano destra) sul capo del penitente, dice ... ". La prima conseguenza immediata, dal punto di vista celebrativo, è che questo gesto deve essere pienamente percepibile da parte del penitente. La percezione è facilitata dalla catechesi tesa a presentare questo gesto che ottimamente viene commentato dalle parole da cui viene accompagnato.
L'essenziale è che questo gesto (come ogni altro) sia, per quanto possibile, pienamente e chiaramente espressivo della realtà salvifica celebrata; nel nostro caso: la comunicazione del Dono divino della vita nuova in Cristo, attraverso la Riconciliazione nella sua Morte e Risurrezione con il Padre e con i fratelli: lo Spirito del Kyrios.

d) Riti conclusivi: proclamazione della lode per la misericordia di Dio - Congedo
Il canto di lode dopo l'esperienza del dono divino della Riconciliazione è una conclusione del tutto naturale: ricorda un tipico ritornello di Luca, l'evangelista della misericordia e della lode divina: dai cantici dei due primi capitoli (in particolare: Lc 1, 46-56), alla lode gioiosa per i "segni" operati da Gesù (il paralitico: Lc 5, 25; la donna curva: 13, 17; la pecorella smarrita: 15, 5-7; il lebbroso: 17, 16; il cieco di Gerico: 18, 43; Zaccheo: 19, 6; lo storpio alla porta del tempio: At 3, 8s), alla vita della comunità, ormai formata per l'azione dello Spirito effuso dal Padre mediante il Signore Risorto (At 2, 46-47), che "spezza il pane" e si ciba con gioia e semplicità di cuore lodando Dio.
Il motivo della gioia, che proviene dalla Riconciliazione, è infatti eucaristico-escatologico: si è riammessi al Convito del Padre.
La comunità così si congeda permanendo però nella comunione con il suo Signore e con i fratelli (Gv 15, 9-17).


CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA

Pubblichiamo il contenuto della scheda che i fedeli possono usare per le confessioni nella Basilica di San Babila, avvertendo che essa propone brani della Sacra Scrittura, preghiere e suggerimenti scelti dal Rito della Penitenza.

Lettura della Parola di Dio
Il fedele si dispone a fare l'esame di coscienza leggendo qualche testo della sacra Scrittura, in cui si parla della misericordia di Dio e viene rivolto all'uomo l'invito a convertirsi:

Mt 6, 14-15
Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe,
il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli uomini,
neppure il Padre vostro
perdonerà le vostre colpe.

Mc 1, 14-15
Dopo che Giovanni fu arrestato,
Gesù si recò nella Galilea
predicando il vangelo di Dio e diceva:
"Il tempo è compiuto
e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete al vangelo".

Rm 5, 8-9
Dio dimostra il suo amore verso di noi
perché, mentre eravamo ancora peccatori,
Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora,
giustificati per il suo sangue,
saremo salvati dall'ira per mezzo di lui.

Ef 5, 1-2
Fatevi imitatori di Dio, quali figli carissimi,
e camminate nella carità,
nel modo che anche Cristo vi ha amato
e ha dato se stesso per noi,
offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.

Col 1, 12-14
Ringraziamo con gioia il Padre
che ci ha messi in grado di partecipare
alla sorte dei santi nella luce.
È lui infatti che ci ha liberati
dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti
nel regno del suo Figlio diletto,
per opera del quale abbiamo la redenzione,
la remissione dei peccati.

Confessione dei peccati e accettazione della soddisfazione
Quando il penitente si presenta per fare la sua confessione, il sacerdote lo accoglie con bontà e lo saluta con parole cordiali.
Quindi il penitente, insieme con il sacerdote, si fa il segno della croce, dicendo:

Nel nome del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo. Amen.

Il Sacerdote invita il penitente alla fiducia in Dio, con queste parole o altre simili:

Il Signore,
che illumina con la fede i nostri cuori,
ti dia una vera conoscenza dei tuoi peccati
e della sua misericordia.

Il penitente risponde:
Amen.

Oppure:
Ti accolga con bontà il Signore Gesù,
che è venuto per chiamare e salvare i peccatori.
Confida in lui.

Il penitente risponde:
Amen.

Il sacerdote aiuta il penitente a fare una confessione integra, gli rivolge consigli adatti e lo esorta alla contrizione dei suoi peccati, ricordandogli che per mezzo del sacramento della Penitenza il cristiano muore e risorge con Cristo, e viene così rinnovato nel mistero pasquale.
Gli impone quindi un esercizio penitenziale, e il penitente l'accetta in soddisfazione dei suoi peccati e per l'emendamento della sua vita.

Preghiera del Penitente e Assoluzione
Il sacerdote invita il penitente a manifestare la sua contrizione: e il penitente recita l'atto di dolore o qualche altra formula simile, per esempio:

Mio Dio, mi pento e mi dolgo
con tutto il cuore dei miei peccati,
perché peccando ho meritato i tuoi castighi,
e molto più perché ho offeso te,
infinitamente buono
e degno di essere amato sopra ogni cosa.
Propongo col tuo santo aiuto
di non offenderti mai più
e di fuggire le occasioni prossime di peccato.
Signore, misericordia, perdonami.

Oppure:
Pietà di me, o Signore,
secondo la tua misericordia;
non guardare ai miei peccati
e cancella tutte le mie colpe;
e rinnova in me
uno spirito di fortezza e di santità.

Oppure:
Signore Gesù, Figlio di Dio,
abbi pietà di me peccatore.

Il sacerdote tenendo stese le mani (o almeno la mano destra) sul capo del penitente, dice:

Dio, Padre di misericordia,
che ha riconciliato a sé il mondo
nella morte e risurrezione del suo Figlio,
e ha effuso lo Spirito Santo
per la remissione dei peccati,
ti conceda, mediante il ministero della Chiesa,
il perdono e la pace.

E io ti assolvo dai tuoi peccati
nel nome del Padre e del Figlio †
e dello Spirito Santo.

Il penitente risponde:
Amen.

Rendimento di grazie e congedo del Penitente
Dopo l'assoluzione il sacerdote prosegue:
Lodiamo il Signore perché è buono.

Il penitente conclude:
Eterna è la sua misericordia.

Quindi il sacerdote congeda il penitente riconciliato, dicendo:
Il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va' in pace.


IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

Presentiamo alcune note pastorali desunte da "Cantemus Domino" - Libro per la preghiera e il canto delle comunità ambrosiane, Milano 1992 - utili alla fruttuosa celebrazione del sacramento della Penitenza.

Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera (Lumen Gentium, 11).

La conversione e il perdono dei peccati
Ogni uomo fa l'esperienza del peccato. Anche se tenta di nascondere la presenza del male e di giustificare le sue azioni, avverte il peso delle mancanze.
La Bibbia mostra che il peccato è presente nella storia umana fin dalle origini. Rivela, però, il progetto di Dio sull'uomo peccatore. Dio non priva le sue creature del dono della libertà anche quando vogliono allontanarsi da lui, ma neppure le abbandona. Egli è ricco di misericordia (Ef 2, 5), il suo amore resta sempre fedele: "Convertitevi a me - dice il Signore - e io mi convertirò a voi" (Zc 1, 3).
Il Vangelo annunzia il compimento di questo progetto di salvezza. Gesù dà inizio alla sua predicazione con l'invito: "Convertitevi e credete al vangelo" (Mc: 1, 5). La "buona notizia evangelica" è il regno di Dio, l'alleanza tra Dio e l'umanità.
Con la vita e il sacrificio in croce di Gesù Cristo si compie il piano della misericordia divina. "È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe" (2 Cor 5, 19).
Perciò il cammino di conversione, che dà la speranza al peccatore, conduce a Cristo crocifisso e risorto, "l'Agnello che toglie il peccato del mondo" (Gv 1, 29).
Egli ha vinto per noi il peccato. L'umanità potrà sempre esultare di questa vittoria, poiché il Signore risorto ci ha donato lo Spirito Santo "per la remissione dei peccati" (Gv 20, 23) e ha affidato agli apostoli, come testimoni della sua risurrezione, la missione di predicare "a tutte le genti la conversione e la remissione dei peccati" (Lc 24, 47).

La celebrazione della Penitenza
La Chiesa, che continua la missione degli apostoli, non ha mai tralasciato di "chiamare gli uomini dal peccato alla conversione e di manifestare, con la celebrazione della Penitenza, la vittoria di Cristo sul peccato" (Rito della Penitenza, 1).
Il Battesimo fa risplendere questa vittoria chiamando l'uomo dalle tenebre del peccato alla luce mirabile della grazia, ossia della partecipazione alla vita divina. Rigenerato in Cristo, l'uomo entra a far parte del suo Corpo Mistico, la Chiesa: appartiene al popolo santo di Dio.
La Penitenza richiama l'uomo, caduto in peccato dopo il Battesimo, all'amore misericordioso di Dio. E ancora Dio che suscita nel cristiano, che ha perso la piena comunione con Cristo e la sua Chiesa, il desiderio del perdono. Per lui, in modo particolare, la Riconciliazione è un ritorno: "ritorno al Padre, che per primi ci ha amati, al Figlio che per noi ha dato se stesso, e allo Spirito Santo, che in abbondanza è stato effuso su di noi" (Rito della Penitenza, 5).
Perciò il cammino di conversione porta il battezzato ad assumere un serio atteggiamento penitenziale: con il peccato egli ha tradito l'amore di Cristo e ha inflitto una ferita alla Chiesa.
E la Chiesa, a immagine di Dio misericordioso, accompagna e sostiene il penitente con la preghiera, la carità, le iniziative di bene, le sofferenze e gli atti meritori dei suoi figli, e soprattutto con l'Eucaristia che è "sacrificio di riconciliazione", al quale è finalizzato, come tutti i sacramenti, il sacramento della penitenza.
La liturgia di questo sacramento mostra che la mediazione della Chiesa non è data soltanto dalla presenza del suo ministro, il sacerdote che ascolta la confessione dei peccati e impartisce l'assoluzione, ma comporta la partecipazione di tutto il popolo di Dio che celebra la vittoria di Cristo sul peccato e il dono dello Spirito di santità.
La celebrazione del sacramento della Penitenza può essere individuale o comunitaria.
La celebrazione individuale pone in maggior rilievo l'impegno personale di incontrare Cristo giudice e salvatore.
La celebrazione comunitaria valorizza di più il carattere ecclesiale della Riconciliazione.
Ciascuna delle due forme, quella individuale e quella comunitaria, prevede la lettura della Parola di Dio.

Per celebrare bene la Penitenza
La confessione suppone nel penitente la volontà di aprire il cuore al ministro di Dio. Perché sia un segno vivo della Riconciliazione del cristiano con Dio e con la Chiesa, l'accusa dei peccati deve dar luogo a un vero colloquio spirituale.
Il primo momento di un buon colloquio penitenziale è la "confessione di lode". In preghiera davanti a Dio e alla Chiesa, prima di confessare le colpe al sacerdote, riconosciamo i doni che Dio ci ha dato. Siamo così invitati a ringraziare, a considerare noi stessi sullo sfondo dell'amore di Dio; perché il peccato non è semplicemente in rapporto con una legge astratta, ma è storia del dialogo con Dio, che parte dal bene che lui ci vuole. Allora risalterà maggiormente o la corrispondenza o l'ingratitudine verso i suoi doni, in condizione non di ansia, ma di distensione interiore.
Il secondo momento è la "Confessione della vita", davanti al ministro della Chiesa, vivificata da una domanda fondamentale:
"che cosa, dall'ultima confessione, soprattutto mi pesa? Che cosa vorrei che non ci fosse stato nella mia vita, che vorrei non aver commesso e mi causa disagio e amarezza?".
Così l'accusa dei peccati riuscirà sincera e spontanea, senza aspettare che il sacerdote faccia domande.
Il colloquio penitenziale è una vera "confessio vitae" se soddisfa al bisogno di manifestare le colpe più gravi, ed aiuta a togliere il male alla radice ricercandone le cause profonde e a indirizzare sulla strada della conversione nella fedeltà alle promesse battesimali.
Il colloquio diventa perciò una "Confessione di fede". Infatti, se ci accostiamo al sacramento della Penitenza è perché Dio faccia ciò che noi non siamo capaci di fare.
È la Pasqua di Gesù che ci raggiunge in questo sacramento: la stessa Pasqua che come forza unitiva e formatrice della carità ci raggiunge nell'Eucaristia.
Il sacerdote ricorda che per mezzo del sacramento della penitenza il cristiano muore al peccato e risorge a vita nuova con Cristo.
Il penitente accoglie con fiducia questo invito alla conversione; accetta la proposta di "Penitenza" o soddisfazione, in riparazione dei peccati e per l'emendamento della vita; manifesta il pentimento con una preghiera, e riceve l'assoluzione.

Il perdono dei peccati
I fedeli che celebrano il Sacramento della Penitenza o Riconciliazione ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e nello stesso tempo si riconciliano con la Chiesa che, ferita dal peccato, coopera alla conversione del peccatore tramite la carità, l'esempio e la preghiera.
La consapevolezza di essere peccatori porta alla conversione e alla richiesta del perdono.
La storia ci insegna che ogni uomo fa l'esperienza del peccato: anche noi ben sappiamo come la Bibbia mostri che il peccato è presente nella storia umana fin dalle origini.
Nel contempo, però, la Sacra Scrittura rivela il progetto dì Dio sull'uomo peccatore: Dio non priva le sue creature del dono della libertà, ma neppure le abbandona, anzi il suo amore resta sempre fedele e nel dialogo con l'uomo manifesta sempre la ricchezza della sua misericordia.
Nel Vangelo addirittura leggiamo che Gesù dà inizio alla sua predicazione con la 'buona notizia' dell'alleanza tra Dio e l'umanità, del Regno di Dio, rivolgendo a tutti l'invito: 'Convertitevi e credete al Vangelo'.
Con il sacrificio della Croce il Signore Gesù porta a compimento il piano della misericordia divina: Dio riconcilia il mondo in Cristo.
Di conseguenza il cammino di conversione, che dà speranza e fiducia al peccatore, conduce a Cristo crocifisso e risorto, l'"Agnello che toglie il peccato dal mondo" (Gv 1,29).
L'umanità potrà sempre esultare per questa vittoria di Cristo sul peccato; infatti, il Signore risorto ci ha dato lo Spirito Santo "per la remissione dei peccati" (Gv 20,23), affidando agli Apostoli la missione di "predicare a tutte le genti la conversione e la remissione dei peccati" (Lc 24,47).

La celebrazione della Penitenza
La Chiesa, continuando la missione degli Apostoli, non ha mai tralasciato di manifestare, con la celebrazione della Penitenza o Riconciliazione, la vittoria di Cristo sul peccato.
Una vittoria che la Chiesa celebra, in prima istanza, nel Battesimo, che chiama l'uomo dalle tenebre del peccato alla luce della grazia: l'uomo, rigenerato in Cristo, entra a far parte del suo Corpo mistico, la Chiesa, e appartiene al popolo di Dio.
In seconda istanza, la Chiesa celebra la vittoria di Cristo sul peccato tramite la Penitenza che richiama l'uomo caduto nel peccato dopo il Battesimo all'amore misericordioso di Dio. Per il peccatore la Riconciliazione, quindi, è un ritorno al Padre, che per primo ci ha amati, al Figlio, che per noi ha dato se stesso, e allo Spirito Santo, che in abbondanza è stato effuso su di noi.
La Chiesa accompagna il penitente nel cammino di conversione a Dio con la preghiera, la carità, le sofferenze, gli atti meritori dei suoi figli e, soprattutto, con l'Eucaristia, sacrificio di riconciliazione.
E questa mediazione della Chiesa viene espressa nel sacramento della Penitenza dalla presenza del sacerdote e comporta la partecipazione di tutto il popolo di Dio che celebra la vittoria di Cristo sul peccato e il dono dello Spirito Santo.
In questo contesto ecclesiale, la partecipazione personale alla celebrazione del sacramento della Penitenza viene opportunamente orientata secondo progressivi atteggiamenti spirituali che consentono di fare una 'buona confessione'.
Il penitente inizierà col fare la 'confessio laudis': con l'aiuto di qualche pagina biblica, si dispone a riconoscere, nella verità di Dio, i doni da Lui ricevuti e per questi lo ringrazia e lo loda.
Passerà quindi alla 'confessio vitae' mettendo davanti a Dio quanto vorrebbe non ci fosse, le situazioni che pesano sul cuore perché si è riscontrata una certa fatica nell'amare, nel perdonare, nel servire gli altri: un esercizio che si può compiere confrontando la vita con i comandamenti o altri schemi concreti.
Infine si disporrà a ricevere il perdono di Dio con la 'confessio fídei': conosciuti i propri peccati alla luce del Vangelo, il penitente li enumererà non tanto come una lista di colpe, ma come espressione di ciò che non vorrebbe fosse in lui.
Dopo i consigli rivoltigli dal sacerdote e accettato l'esercizio penitenziale da lui imposto per l'emendamento della sua vita, il penitente manifesterà la sua contrizione recitando l'atto di dolore o un'altra formula simile e riceverà l'assoluzione da parte del sacerdote.
La celebrazione del sacramento della Riconciliazione opportunamente si concluderà con un sincero ringraziamento al Signore perché ancora una volta ha compiuto meraviglie per noi, soffermandosi in preghiera, spontanea o guidata da un salmo o da un altro testo proposto dalla Chiesa.


L'INDULGENZA

L'Anno Santo ha abituato i fedeli a confrontarsi con la realtà dell'indulgenza, legata al cammino di conversione giubilare.
Non sempre, tuttavia, essa è bene conosciuta e vissuta. A questo proposito, dunque, ci sembra indispensabile un chiarimento.
Per rettamente comprendere la realtà delle indulgenze, occorre rifarsi a due capisaldi teologici: la dottrina cattolica della Comunione dei Santi e la disciplina penitenziale della Chiesa.
Il fraintendimento di questa dottrina ha purtroppo causato, nella storia della Chiesa, abusi anche gravi e dolorose divisioni.
Fin dall'antichità è sempre stata vissuta dai discepoli di Cristo una fraterna ed amorosa solidarietà spirituale nei confronti dei peccatori, come pure dei defunti ancora bisognosi di purificazione.
Inoltre la potestà suprema del successore di Pietro è sempre stata vista come estesa anche al cosiddetto "tesoro della Chiesa", da intendersi non già in un senso ingenuamente materiale, ma piuttosto come l'immenso valore che presso Dio hanno i meriti di Cristo morto e risorto, unico Redentore, cui si vengono ad associare anche le preghiere e le buone opere della Vergine Maria e di tutti i Santi, uniti al Signore nel mistero pasquale.
In simile orizzonte si deve collocare l'indulgenza, che viene così definita: "la remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto, e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa ed applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi" (Cdc, can. 992).
Quando l'indulgenza consiste nella remissione dell'intera pena temporale dovuta per i peccati si dice plenaria; si dice parziale negli altri casi.
Ogni indulgenza può sempre essere applicata a suffragio dei defunti. Non invece a vantaggio di altre persone ancora in vita. L'indulgenza plenaria si può avere una sola volta al giorno (fa eccezione quella in articulo mortis); la parziale anche più volte nello stesso giorno, in assenza di contraria determinazione. Per l'acquisto dell'indulgenza si richiede da parte del fedele (battezzato e non scomunicato):
a) l'amore di Dio e la detestazione del peccato, anche di quello veniale;
b) il compimento della pratica indulgenziata prescritta (es.: visita al cimitero, ad un santuario o ad altra chiesa indicata, ecc., a seconda dei casi);
c) la confessione sacramentale;
d) la comunione eucaristica;
e) la preghiera secondo le intenzioni del Papa (bastano il Pater e l'Ave).
Alle tre ultime condizioni indicate (confessione, comunione, preghiera secondo le intenzioni del Papa) il fedele può assolvere anche alcuni giorni prima o dopo il momento della pratica indulgenziata; è però buona cosa che si collochino nello stesso giorno. Mentre con una sola confessione sacramentale possono acquistarsi più indulgenze plenarie (ad es. durante l'ottava dei defunti), con una sola comunione ed una sola preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice non si acquista che un'unica indulgenza plenaria. Quando l'indulgenza è collegata con una determinata festa, essa inizia di norma già alle ore 12 del giorno precedente (es.: dal mezzogiorno del 1 agosto); quando è collegata ad un determinato luogo di culto (da piamente visitarsi), occorre che il fedele reciti in esso il Pater e il Credo.
È ormai caduta, in riferimento alle indulgenze parziali, ogni determinazione quantitativa di giorni o anni anticamente collegata a un effettivo periodo di tempo, nel quale al penitente era assegnata una determinata pratica penitenziale, che veniva, con l'indulgenza, progressivamente ridotta o totalmente condonata.


VIVERE LA LITURGIA

Molte volte sentiamo ripetere che non è sufficiente porre in atto un 'rito' (fatto di gesti, di parole, di silenzi...) per compiere un atto di culto a Dio: ci viene richiesto, infatti, di passare dal 'rito' alla 'celebrazione' che, a sua volta, domanda l'adesione di fede a ciò che si sta compiendo, nella consapevolezza di vivere in clima di festa, come Chiesa, un momento speciale della storia della salvezza. Di norma, poi, abbiamo avvertito l'esigenza di tradurre nella 'vita' concreta quanto nella celebrazione ci viene chiesto e ci viene donato, proprio perché nella quotidianità abbiamo la verifica di un culto al Signore davvero autentico.

Comprendere la liturgia
Ci domandiamo: per noi - che siamo battezzati e normalmente frequentiamo la Messa domenicale - quel susseguirsi di parole e di gesti, che vengono ripetuti continuamente, ha significato? E quale?
Ci avvediamo che la liturgia nasconde più ricchezze di quelle che spesso ci dà da vedere, da intendere, da vivere; incominciamo a scoprire che l'azione liturgica domanda ai partecipanti un vero interesse, supportato dalla fede.
Soprattutto chiede che non ci si metta di fronte ad essa esercitando soltanto la nostra facoltà intellettiva: ci lasciamo coinvolgere dalla liturgia non solo, ma ci lasciamo 'afferrare' da essa, indicando con questo verbo tutta la profonda emozione nell'essere rapito, anima e corpo, meglio, per dire che anche il cuore e la simpatia hanno un ruolo importante nell'azione liturgica (dove il Signore è il protagonista) come in ogni attività umana.
E dal momento che la liturgia designa soprattutto l'atto della celebrazione, si chiede di comprendere come essa sia strutturata, per essere afferrati da ciò che essa propone (offre e dona).

Quale comprensione?
Quale tipo di comprensione ci viene richiesta nell'ambito della liturgia?
Per molti i testi e i riti sono pressoché incomprensibili...; del resto, la liturgia non pretende che si comprenda tutto appena lo si ascolta o lo si vede!
Mi pare che essa ci chieda quell'atteggiamento interiore grazie al quale noi la lasciamo parlare e l'ascoltiamo con simpatia. Come si fa con le opere d'arte: tutto il nostro essere è messo in allerta così che si crea una dinamica che suscita la voglia di aprirci al dialogo e di arricchirci dei doni che in esse ci vengono dischiusi.
Allora le difficoltà attribuite al linguaggio liturgico vengono a cadere e i simboli liturgici ci raggiungono con efficacia perché li viviamo dal di dentro, vitalmente inseriti nella celebrazione liturgica.

Liturgia, attività ludica
La liturgia è un'attività globale, simbolica, ludica. Bisogna conoscerla per potersi avventurare in una realizzazione, fatta con flessibilità, in cui si attua una sinergia umano-divina; un'occasione dunque per ritrovarsi, per scambiarsi e condividere progetti, per tessere legami di amicizia e di ecclesialità.
La liturgia attua un rapporto tra esteriorità e interiorità, così che quanto si compie viene a coinvolgere il nostro spirito. E come dire che nella celebrazione bisogna lasciarsi prendere da un'azione fatta di parole e di gesti destinati a trasformare le nostre idee e tutta la nostra vita.
L'idea si legge già in Sant'Ambrogio che, descrivendo il mistero eucaristico, rileva: "E tu dici: "Amen", ossia "è vero". La mente nel suo intimo riconosce ciò che dice la bocca: provi il sentimento dell'anima ciò che esprime la parola" (I misteri, IX, 53).


RIFLESSIONI SULLA DOMENICA

Presentiamo la sintesi del commento di don Lorenzo Cattaneo alla lettera apostolica "Dies Domini".
La domenica è:
o Giorno della Risurrezione e giorno del Signore; i due aspetti sono intimamente legati perché solo con la Risurrezione Gesù, che prima era Maestro, Rabbì, diventa il Kyrios, il Signore del mondo. Il giorno del Signore non è solo ricordo dell'evento della Risurrezione, ma anche esperienza attuale della presenza del Risorto in mezzo ai cristiani radunati per l'Eucaristia e profezia del giorno futuro in cui la signorìa del Cristo si estenderà su tutto l'universo.
o Giorno del Sole: nel giorno dopo il sabato, nell'ambiente ellenico-romano, sotto l'influsso di certi culti orientali, era diventato molto diffuso il culto del sole. I Padri della Chiesa diedero un significato cristiano a questo culto: Gesù è il vero sole che non tramonta mai (l'espressione "dies solis" ha lasciato una traccia nel termine tedesco "Sonntag" e in quello inglese "Sunday").
o Primo giorno della creazione e giorno della nuova creazione (cominciata con la Risurrezione di Gesù), giorno cioè in cui è stata compiuta sia la creazione materiale sia la creazione soprannaturale.

Elementi che rendono problematica la celebrazione del giorno del Signore
Oggi viviamo in una società pluralista che modifica i comportamenti collettivi e introduce nuovi ritmi di vita non più dettati da motivazioni cristiane. Il ritmo settimanale della Chiesa rischia di essere messo in crisi dalla possibilità, non troppo remota, di modificare il carattere festivo attuale della domenica, e dalla diffusione della pratica dei week-end, in cui la domenica viene inglobata; il week-end introduce due elementi di novità rispetto al tradizionale modo di celebrare la domenica:
1) assume prevalentemente un significato di svago e di evasione rispetto al ritmo frenetico dei giorni feriali, e questo significato prevalente rischia di offuscare il senso religioso della domenica quale giorno di riposo. Per evitare che i cristiani non confondano la celebrazione della domenica col "fine settimana" "sembra più che mai necessario recuperare le motivazioni dottrinali profonde che stanno alla base del precetto ecclesiale perché a tutti i fedeli risulti ben chiaro il valore irrinunciabile della domenica nella vita cristiana" (Dies Domini, 4).
2) segna una rottura rispetto agli altri giorni della settimana e quindi si perde il senso dell'armonia con cui la domenica, pur come giorno unico e distinto nella settimana, si collegava ai giorni infrasettimanali e in un certo senso faceva recuperare ad essi il loro senso.
Dalla fede cristiana scaturisce un ritmo settimanale che trova il proprio culmine nel giorno del Signore. Questo ritmo settimanale è il ritmo della Chiesa. E se un cristiano ha un ritmo personale diverso, ha il dovere di confrontarlo con il ritmo della Chiesa.
Inoltre è innegabile che una regolarità nei ritmi sociali è necessaria per strutturare un'esistenza comune; così, affermando l'importanza della domenica, i cristiani assicurano un autentico servizio alla società e testimoniano il loro rispetto dell'uomo in rapporto con il tempo.
- La mobilità è una realtà del nostro tempo che caratterizza in modo particolare la domenica. Alla riunione domenicale vi possono essere infatti fedeli occasionali non appartenenti alla parrocchia, e l'anonimato che ne consegue, con la difficoltà di trovare animatori per ogni Messa, pesa sulla qualità della celebrazione. Tre suggerimenti per ovviare a questo problema potrebbero essere:
adattare a questa situazione l'animazione dell'assemblea;
- inventare i modi e i mezzi per un'accoglienza discreta ma efficace, che deve manifestare che non avviene un assembramento di gente riunita a causa di progetti o convinzioni identiche, ma una riunione di persone convocate dal Signore;
- assumere positivamente il rinnovamento frequente dei membri dell'assemblea.
Certo la partecipazione regolare alla stessa assemblea costituisce una ricchezza per la vita cristiana; anche se l'assemblea liturgica sorpassa le comunità umane, essa non può fare astrazione da una realtà comunitaria locale, che la sostiene e che contribuisce a evangelizzare e santificare. È bene quindi esortare i fedeli a partecipare all'Eucaristia là dove si sono celebrati i sacramenti dell'iniziazione cristiana o dove avviene la catechesi.
- La cultura consumistico/tecnologica dominante nelle nostre società occidentali può arrivare a vedere il tempo come il grande nemico all'interno di una società dominata dai miti della produttività e dell'efficienza e caratterizzata dallo slogan "tutto e subito"; ma una società segnata dalla lotta contro il tempo rischia di rinchiudere le aspirazioni umane nell'ambito del tempo e si configura come una società in cui "non si ha più tempo". Una patologia che in fondo significa idolatria: non l'uomo ordina il tempo, ma il tempo schiavizza l'uomo.
Contro questa mentalità è opportuno recuperare la convinzione che la domenica è anche giorno di riposo. Il riposo per l'uomo è un comando esplicito inserito nel decalogo (Es 20,8-11), è una cosa sacra, essendo per l'uomo la condizione per sottrarsi al ciclo talvolta totalmente assorbente degli impegni terreni e riprendere coscienza che tutto è opera di Dio, e, nella celebrazione della domenica, può aiutare a far emergere l'opera per eccellenza fatta dal Signore: la Risurrezione del Figlio.
Il riposo domenicale è prefigurazione del giorno del riposo eterno nella comunione con Dio, è anticipazione escatologica del destino cui è chiamato ogni uomo: l'uomo è destinato al riposo eterno.
Dice Enzo Bianchi nel suo libro Giorno del Signore e giorno dell'uomo:
"Il riposo è richiesto alla domenica per vivere in pienezza la gioia pasquale e la gioia dell'incontro con i fratelli, e perché l'ottavo giorno dispiega tutta la sua valenza escatologica di profezia del "giorno" del riposo nel Regno".
Quand'anche una legge dello stato imponesse come giorno non lavorativo un altro giorno, per il cristiano è la domenica che, pur lavorativa, resterebbe il giorno da santificare con l'assemblea eucaristica. Proprio come hanno fatto per secoli i cristiani in ambiente pagano fino a Costantino, celebrando l'eucaristia in orari tali che consentivano poi lo svolgimento del loro lavoro e celebrandola a rischio della vita in periodi di persecuzione.
Inoltre, il legame tra il giorno del Signore e il giorno del riposo nella società civile ha un'importanza e un significato che vanno al di là della prospettiva propriamente cristiana; l'alternanza infatti tra lavoro e riposo è un'esigenza inscritta nella natura umana; perciò celebrando il riposo domenicale si offre anche un servizio e un beneficio alla società e ad ogni uomo.

Suggerimenti per la messa domenicale
Tre domande provocatorie:
1) Come far sentire le riunioni domenicali come una necessità vitale e non come un obbligo estrinseco alla vita del cristiano?
2) Non abbiamo forse troppo sottolineato l'obbligo della Messa senza far capire che era un invito, un cammino d'amore?
3) Come far capire che la necessità dell'assemblea domenicale è indipendente dalla voglia che si ha e dall'idea personale che ce se ne è fatta?
- Si potrebbe proporre una riflessione sulla qualità e l'intensità della fede dei cristiani a proposito della Chiesa. La Chiesa è il luogo di nascita e il luogo di vita dei cristiani; fuori dalla Chiesa, corpo di Cristo, non c'è vita cristiana. È necessario per questo che la Chiesa viva, ma perché viva, è necessario che mostri essa stessa la sua esistenza (assemblea) e attinga la sua vita alla sorgente (sacramenti). Se cresce la consapevolezza che l'appartenenza alla Chiesa è costitutiva dell'identità cristiana, ciò favorirà la comprensione del senso e dell'importanza della domenica.
Il Papa osserva:
"Perché la presenza di Gesù risorto in mezzo ai suoi sia annunciata e vissuta in modo adeguato, non basta che i discepoli di Cristo preghino individualmente e ricordino nel segreto del loro cuore la morte e risurrezione di Cristo...
E importante che si radunino per esprimere l'identità stessa della Chiesa, la Ekklesia, l'assemblea convocata dal Signore risorto che ha offerto la sua vita per 'riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi' (Gv 11,52)".
V'è una dimensione pasquale salvifica nel concreto passaggio dal proprio luogo di vita al luogo comune del raduno eucaristico: questo passaggio materiale è, nella fede, simbolico di un passaggio dalla dispersione all'unità.
Il pensare alla Messa domenicale in termini di obbligo rivolto al singolo rischia di rinchiuderla in una prospettiva individualistica di faccenda personale, svuotando il contenuto comunionale costitutivo dell'assemblea. In realtà la partecipazione alla celebrazione domenicale è una questione di identità cristiana: come può dirsi cristiano chi non sente il bisogno di unirsi agli altri fratelli nella confessione dell'unico Signore, di vivere il mistero di un solo corpo in Cristo, di esprimere che siamo membra gli uni degli altri? Nella vita cristiana non è possibile passare una domenica senza assemblea, per questo non è possibile celebrare individualmente la domenica isolandosi dalla comunità. Il giomo del Signore è il giorno della Chiesa e non si può vivere la comunione con il Signore, senza la comunione con la Chiesa.
A questo proposito, si può affermare che la riunione domenicale gioca, dall'origine della Chiesa, un ruolo che i sociologi chiamano "di identificazione": partecipando all'eucaristia il credente prende le misure di ciò che è per grazia e trova appoggio sui suoi fratelli commensali.
Perché l'assemblea radunata nel giorno domenicale viva e manifesti la sua qualità di comunità del Signore, essa richiede, come condizione necessaria, la riconciliazione reciproca tra i credenti.
Il giorno della domenica, che è manifestazione della Chiesa, corpo del Signore, diventa necessariamente anche manifestazione della carità, che è vincolo che unisce le membra di tale corpo; ma per la Scrittura, una condizione essenziale e irrinunciabile perché la Chiesa sia davvero Chiesa di Dio e non semplice entità sociale, gruppo umanitario o ente filantropico ed assistenziale, è che la Chiesa viva della e nell'agape e sia plasmata e strutturata dalla carità prima di essere soggetto di organizzazione di carità. La domenica è sorgente di carità.
- Il Concilio Vaticano II ha voluto auspicare una partecipazione "attiva, cosciente e fruttuosa"; ciò non vale unicamente per coloro che hanno qualcosa da fare nella celebrazione, ma per tutti i membri dell'assemblea; la partecipazione consiste innanzitutto e per tutti nell'ascolto, nel canto e nel raccoglimento nei vari gesti.
Forse la crisi della partecipazione all'eucaristia domenicale non riguarda tanto la liturgia in se stessa, quanto il modo con cui essa è concretamente vissuta, forse non c'è tanto bisogno di una riforma liturgica, ma di una riforma di stile della sua animazione, del suo svolgimento.
- Per aiutare i fedeli a partecipare più consapevolmente alla celebrazione domenicale può essere utile:
o invitarli a prepararsi alla celebrazione con la lettura dei testi biblici in settimana
o formarli al senso del sacramento come atto di Cristo tra noi e al senso di riconoscenza e di lode
o rendere cosciente ogni fedele che ciascuno è pietra viva della Chiesa, ne è personalmente responsabile con gli altri, e che quindi dipende da ciascuno che la celebrazione sia una vera manifestazione di Chiesa, e per fare questo può essere utile:
a) richiamare i fedeli a questa responsabilità (per esempio nell'omelia)
b) approfittare di avvenimenti particolari (per esempio celebrazioni straordinarie) per risvegliarla
c) dare alla celebrazione quella vitalità che susciti l'impegno
d) fare in modo che i diversi attori liturgici lavorino in équipe, cerchino di promuovere la partecipazione di tutta l'assemblea, facciano apparire nella celebrazione la vitalità della comunità locale, abbiano cura di suscitare sempre nuovi collaboratori
- Per favorire la partecipazione dei giovani è importante:
1) aiutarli a scoprire il 'ritmo ecclesiale'; una riflessione sullo sviluppo storico e sugli aspetti specifici della domenica cristiana può essere una proposta affascinante e una fonte di impegno per i giovani
2) adattare le celebrazioni domenicali al modo di esprimersi dei giovani, perché una maggiore partecipazione ed un maggior coinvolgimento di tanto in tanto faccia nascere in loro il desiderio di restare con la comunità intera anche le altre domeniche, ciò chiede agli adulti di accogliere con comprensione dei modi di esprimersi che non sono naturalmente i loro e possono non essere del tutto condivisi, e di far esprimere ai giovani ciò che vivono nei loro gruppi
3) favorire le Messe straordinarie, cioè fatte apposta per i giovani (l'iniziazione più importante all'Eucaristia è quella che si fa vivendo l'Eucaristia), perché esse danno largo posto a ciò che ne tiene assai poco nelle abituali celebrazioni domenicali: il tempo dato all'incontro tra le persone, la parola liberamente espressa, lo scambio, l'ascolto, l'evocazione di ciò che si vive, la coscienza dell'avventura in cui si è impegnati nella ricerca della fede; i partecipanti raccontano la loro vita, dicono il loro incontro con il Signore, la loro gioia di credere, i loro problemi, il senso dei loro limiti
4) responsabilizzarli di più nei vari momenti delle celebrazioni
I giovani probabilmente non disertano la chiesa, ma vi cercano un posto.
- Per favorire la partecipazione dei bambini può essere opportuno:
a) aiutare i genitori a sentire la propria responsabilità (in quanto la partecipazione dei bambini alla messa dipende dalla loro partecipazione), magari con un uso sapiente di "Messe per le famiglie"
b) dare ai bambini un momento durante la celebrazione, far fare loro un piccolo gesto, rivolgere direttamente a loro una parola, facendo talvolta preparare loro le intenzioni per le preghiere dei fedeli (le loro formule dirette spesso sono capaci di rimuovere il cristiano dalla sua abitudinarietà), valorizzando il peso che possono avere nel canto; essi devono sentire di avere un posto riconosciuto e importante nella celebrazione. Più che inventare attività speciali da far fare ai bambini nella celebrazione, è comunque più opportuno farli più partecipi nello svolgimento della stessa, come si fa con gli adulti.
- È bene rendere presenti alla celebrazione gli assenti "per scelta" (per esempio nella preghiera dei fedeli; nell'omelia del sacerdote con un'attenzione a quello che costituisce la vita di tutta l'umanità e non solo al mondo praticante) e gli assenti "per forza", come gli ammalati, (parlando di loro o facendo sentire anche la loro parola con mezzi e modi diversi, per esempio registrandola; ricordandoli nella celebrazione eucaristica; portando loro notizie della comunità).

ASSEMBLEA EUCARISTICA E COMUNITA PARROCCHIALE

San Leone Magno, in un suo sermone, afferma che la partecipazione al Corpo e al Sangue di Cristo ha come effetto che ci mutiamo in ciò che riceviamo.
Questa trasformazione riguarda l'individuo e la comunità ecclesiale: ne deriva che "l'assemblea eucaristica è il centro della comunità dei cristiani presieduta dal presbitero" (Presbyterorum Ordinis 5).
Nella celebrazione della Messa troviamo, dunque, la fonte di quella grazia che sostiene i fedeli, nutriti dei Sacramenti pasquali, nel vivere in comunione tra loro e nel testimoniare nel quotidiano quanto hanno ricevuto nel professare la loro fede.
In altre parole, l'Eucaristia celebrata dai fedeli forma e costruisce i medesimi in comunità.
Ce ne possiamo fare una ragione riflessa scorrendo velocemente il Rito della Messa.

- I Riti di introduzione ci dicono che i fedeli si riuniscono per la celebrazione perché convocati dal Signore: essi, sentendosi conosciuti e amati, rispondono all'invito divino riunendosi in comunità di preghiera. Si tratta dell'iniziativa di Dio cui si risponde con fiduciosa obbedienza.
- L'esercizio dei diversi ministeri, nell'assemblea liturgica, manifesta la volontà di tutti di costruire una vera comunione di persone, fondata sull'amore di Dio e sull'amore vicendevole. I credenti, in forza dei Battesimo, si riconoscono figli di Dio, sia pure con doni e carismi diversi, creati per formare il popolo radunato nel nome dell'unità e della trinità di Dio.
Su questa interazione e interdipendenza si fonda la solidità della comunità parrocchiale che a sua volta progetta la pastorale della partecipazione e della corresponsabilità.
- La Liturgia della Parola, nella dinamica proclamazione-ascolto della Parola di Dio, evidenzia quello scambio vitale - tra Dio e l'uomo - che trasmette nuovo vigore all'uomo che si alimenta alla Rivelazione.
La comunità parrocchiale si scopre inserita nel progetto salvifico e dalla Rivelazione attinge i contenuti della professione di fede.
Dalla Parola sono illuminate le aree pastorali dell'evangelizzazione, della catechesi agli adulti e ai minori, l'apostolato biblico, la predicazione, la pastorale della cultura...
- La Liturgia eucaristica, poi, celebra la rinnovazione dell'alleanza di Dio con gli uomini, introducendo "i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa" (Sacrosanctum Concilium 10): tutta la pastorale caritativa, con la testimonianza e il concreto servizio dei fratelli bisognosi, viene impostata a partire dalla partecipazione alla Messa; inoltre, dal sacramento celebrato e dalla Comunione eucaristica deriva alla Chiesa, alla nostra comunità, un rinnovato slancio di dinamismo spirituale.
Infatti, coloro che vivono questo vertice dell'Eucaristia e fanno la Comunione sono gradualmente inseriti nella vita e nella missione di Cristo, vengono inseriti dallo Spirito Santo in una prospettiva di perfezionamento.
- Anche il momento in cui, terminata la Messa, l'assemblea raggiunge l'uscita (congedo) è importante e prezioso: i fedeli non si disperdono ma ciascuno di essi, restando dimora di Dio (ricevuto nei segni sacramentali), assume responsabilmente una missione da svolgere nel mondo, nelle innumerevoli pieghe delle vicende umane. La comunità parrocchiale, infatti, è da Gesù Cristo inviata a tutti i fratelli per promuovere la crescita del Regno di Dio.
Per concludere, nella celebrazione liturgica, soprattutto per mezzo del mistero pasquale perpetuato nel sacrificio eucaristico, si attua la perfetta glorificazione di Dio; nel contempo, l'Eucaristia, introducendo nel mondo il germe della vita nuova, consegna il mandato ai fedeli di "andare" a recare l'annuncio del Risorto.
Dall'Eucaristia, quindi, la comunità cristiana trae forza per uscire da sé: è chiamata ad ascoltare lo Spirito per rinnovare in Cristo il mondo intero.

MINISTERIALITA LITURGICA: ESPRESSIONE DEL SERVIZIO ECCLESIALE

La Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium del Concilio Vaticano II dedica un intero capitolo al tema "Il popolo di Dio" aiutandoci a prendere coscienza del senso di appartenenza alla Chiesa e a riflettere sul significato di essere "comunità" cristiana che è chiamata a studiare modi e tempi per la nuova evangelizzazione: con essa si intende raggiungere non soltanto coloro che si sono allontanati dalla Chiesa, ma anche animare i fedeli che si sforzano di crescere nella fede e infondere il coraggio di rendere ragione della speranza cristiana davanti a tutti.
In quest'ottica si può considerare l'importanza della Parrocchia intesa come presenza concreta della Chiesa nel territorio. E l'efficacia di questa presenza affonda le sue radici nella lettura quotidiana della Sacra Scrittura, nel generoso impegno nell'ambito del volontariato, soprattutto caritativo, e si manifesta nella singolare fioritura dei ministeri nell'ambito del laicato.

Verso un'ampia ministerialità...
In questi ultimi cinque anni, ormai trascorsi, anche la nostra comunità parrocchiale ha conosciuto un forte impulso orientato a incrementare la ministerialità tra i fedeli laici. Siamo impegnati a far sì che, al di là dei ministeri liturgici ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa, la celebrazione della Messa e dei Sacramenti conosca l'esercizio ampio e illuminato dei ministeri di fatto e di servizi da parte di persone (uomini e donne) che, tramite la partecipazione specifica alla liturgia, esprimono in modo esemplare la lode a Dio e la materna premura della Chiesa nelle situazioni che reclamano la coerente fedeltà al Vangelo.
La nostra comunità, infatti, è animata dai catechisti e dalle catechiste, impegnati nelle varie fasce di età e diversi ambiti, da coloro che guidano la celebrazione con il canto e gli strumenti musicali, con la proclamazione delle letture e delle intenzioni della preghiera dei fedeli, con il servizio all'altare e all'assemblea liturgica, con la raccolta delle offerte in denaro e con la processione dei doni, con l'accoglienza dei fedeli alle porte della chiesa, con le persone incaricate di portare la Comunione eucaristica ai malati e agli anziani, con la visita alle persone sole e bisognose...
In questa articolazione ministeriale nell'ambito della parrocchia meglio si esprime il volto materno della Chiesa che, fedele al mandato ricevuto da Gesù, si protende verso tutti gli uomini, senza eccezione, perché non manchi loro l'annuncio del Vangelo e la proposta della carità di Dio.
La premessa perché i fedeli, nell'ambito della parrocchia, possano intrattenere rapporti fraterni e solidali e avvertano di essere protagonisti della pastorale parrocchiale, è rappresentata appunto dall'esercizio dei ministeri durante la celebrazione liturgica.

"Servire" non "supplire"...
Sostenuti dalla grazia accolta nel mistero celebrato, i fedeli laici, nell'esercitare la ministerialità in forza del battesimo, esprimono il servizio di carità, testimoniando l'amore di Dio e la verità del Vangelo. È un modo concreto per manifestare nella comunità ecclesiale la cordiale condivisione di gioie, fatiche, dolori e speranze degli uomini nella ferialità della vita.
Siamo di fronte a una speciale manifestazione della vitalità della Chiesa come popolo di Dio. L'articolata impostazione pastorale della parrocchia: dall'ascolto della Parola e dalla celebrazione dei Sacramenti (soprattutto dell'Eucaristia) ricevono ispirazione e vigore quelle persone e quei gruppi aperti al dialogo per annunciare la salvezza del Signore Gesù, per proporre itinerari di approfondimento della vita cristiana, per aiutare coniugi e famiglie ad attuare il disegno che Dio ha tracciato per loro, per vivificare il servizio in favore della dignità umana e del valore della vita...
Il momento liturgico è sì il culmine dell'adorazione e della lode a Dio da parte dei fedeli, ma è anche fonte da cui promana tutto il dinamismo ministeriale anche da parte dei laici chiamati ad essere protagonisti e promotori della pastorale. E come nella celebrazione liturgica ciascun componente l'assemblea è chiamato a svolgere il ruolo di sua competenza, così nella comunità parrocchiale ogni battezzato è investito della missione dell'annuncio del Vangelo e della carità di Dio nella concreta quotidianità.
I laici dunque hanno la responsabilità del ministero non per supplire alla carenza dei sacerdoti o dei religiosi, ma in forza di una "dignità" e vocazione propria: essi sono soggetti capaci di testimoniare la speranza, di comunicare la fede, di vivere la carità non soltanto negli ambiti che gravitano attorno all'edificio-chiesa, ma anche nelle zone e nei centri in cui si svolge la loro vita di lavoro, di famiglia, di relazione con gli altri.


IL MINISTERO DEL LETTORE

Poiché la Parola di Dio è così urgente e necessaria per vivere, non insisteremo mai abbastanza sulla cura che le spetta quando la proclamiamo nella liturgia. Non dovremo lasciar cadere neppure una briciola di questa Parola come badiamo che ciò non accada con il Pane eucaristico. Proprio per questo prendiamo come utili le indicazioni per il prezioso ministero del lettore.

l. La Liturgia della Parola
1.1. La celebrazione della Messa è strutturata in quattro parti:
o Riti d'introduzione
o Liturgia della Parola
o Liturgia eucaristica
o Riti di Comunione

1.2. Struttura della liturgia della Parola nella Messa festiva con i diversi ruoli
- Prima lettura ( il "profeta", cioè dall'Antico Testamento o, nel tempo pasquale, dagli Atti degli Apostoli): un lettore;
- Salmo responsoriale: salmista + assemblea
- Seconda lettura ("l'apostolo", cioè dalle lettere del Nuovo Testamento o dall'Apocalisse): un altro lettore
- Acclamazione al Vangelo: assemblea (+ solista)
- Vangelo: diacono presidente o celebrante
- Omelia: presidente o altro celebrante o diacono
- Professione di fede: assemblea
- Preghiera dei fedeli: presidente + diacono (o altri) + assemblea

La liturgia della Parola è, quindi, estremamente varia; essa richiede sei atteggiamenti diversi: lettura, canto, parola, professione di fede, preghiera, silenzio. L'equilibrio di questi atteggiamenti è indispensabile perché la liturgia della Parola venga trasmessa e recepita. La liturgia della Parola deve sempre essere in stretto rapporto con la liturgia eucaristica: non sono due parti separate, anzi la liturgia eucaristica deve sempre agganciarsi, in tutti i modi possibili, alla liturgia della Parola (cf SC 56). A questo proposito l'introduzione al messale è molto chiara: Cristo è realmente presente tanto nella sua Parola, quanto sotto le specie eucaristiche; inoltre è realmente presente nell'assemblea dei fedeli e nella persona del sacerdote che presiede la celebrazione (cf SC. 7; PNM 5)

1.3. Le letture
La riforma liturgica ha istituito per la Messa festiva tre letture perché i diversi passi della Scrittura s'illuminino a vicenda e perché è impossibile capire il Nuovo Testamento senza conoscere l'Antico. È molto importante che vi siano lettori diversi per ogni lettura: la varietà dei lettori, i movimenti che essa provoca nel presbiterio, l'eventuale alternarsi di una voce maschile e di una femminile sono elementi che servono a rompere la monotonia e contribuiscono a suscitare l'attenzione nell'assemblea.
Chi sono i lettori? Il miglior sistema è quello di permettere al maggior numero di fedeli adulti di fungere da lettori, a condizione però che non si faccia leggere qualcuno senza essersi assicurati che ne sia capace e che sia adeguatamente preparato. I documenti del dopo Concilio in tema di liturgia insistono ripetutamente sulla necessità che i lettori siano "veramente idonei e preparati con impegno "(cf PNM 67) attraverso un cammino di formazione "biblica, liturgica, e tecnica". (cf OLM 55). Lo scopo di tale formazione non è certo quella di creare professionisti della lettura, ma di far capire anzitutto che l'azione liturgica del leggere la Parola di Dio ha un'importanza fondamentale nell'economia della celebrazione, poiché è soprattutto da come vengono lette le letture che dipende se la Parola di Dio giunge al cuore dei fedeli oppure no: ciò è fondamentale affinché la Parola agisca e sia efficace. È inutile aver ridato alla Parola di Dio un posto importante nella liturgia se poi non ci impegniamo ad ottenere una buona lettura.
Il lettore deve anzitutto investirsi della sua funzione, deve prendere coscienza che l'impegno di leggere la Parola di Dio non può esaurirsi in un semplice atto da compiere, ma deve diventare un vero e proprio ministero, coinvolgente l'intera vita di chi lo compie. Il lettore, pertanto, non può occuparsi della Parola di Dio solo quando si accinge a leggerla, ma deve "porsi in ascolto" ben prima, deve fare (come ogni cristiano dovrebbe) della Parola di Dio il nutrimento della propria vita. Il lettore è l'altoparlante di Dio, il suo inviato affinché la sua Parola, diventata Scrittura, ridiventi Parola oggi; è il servitore dell'Alleanza tra Dio e il suo Popolo, che si manifesta nel continuo dialogo testimoniato dalla Scrittura, è colui che fa sì che Dio parli al suo popolo, riunito per ascoltarlo.
Alcuni consigli pratici:
- Le letture devono essere lette dall'ambone messo bene in evidenza e dal lezionario, non da fogli volanti, libri vari ecc.
- Il lettore deve sempre preparare la lettura con cura e sotto ogni aspetto.
- Prima di iniziare a leggere è bene attendere sempre che l'assemblea sia seduta, in silenzio, in disposizione di ascolto; anche scenograficamente è importante uno stacco per distinguere i riti d'introduzione alla liturgia della Parola. Se c'è anche qualche secondo di silenzio, meglio!
- Non è bene che i lettori siano tutti ammassati nell'ambone uno accanto all'altro, Sia l'avvicinamento sia l'allontanamento all'ambone devono essere fatti con calma, lentamente e senza intralciare gli altri.
- Giunto all'ambone, prima di iniziare a leggere, il lettore regola alla propria altezza sia il leggìo sia il microfono, poi guarda in faccia la gente, come per presentarsi, e solo quando tutto è a posto e l'assemblea in silenzio, chiede la benedizione e comincia a leggere.
- Non leggere mai ciò che è scritto in rosso (es. prima lettura, salmo responsoriale, ecc.) sono cose da farsi, non da dirsi!
- Il titolo deve essere staccato dalla lettura mediante una pausa; il titolo è un'insegna che deve essere pertanto anche evidenziata con un cambiamento di tono e di volume. Al termine della lettura bisogna far risaltare anche la frase "Parola di Dio" facendola precedere da una pausa, cambiando tono e guardando in faccia alla gente mentre la si dice.
Mettiamoci ora dalla parte dell'assemblea: che cosa deve essere in grado di fare l'assemblea mentre il lettore sta leggendo la Parola di Dio?
- Sentire materialmente: è una questione di volume, di ritmo, di impianto di sonorizzazione.
- Ascoltare, cioè prestare attenzione; ciò esige dal lettore che legga bene. Il lettore non legge per sé, ma per gli altri, è una differenza radicale poiché sono due azioni diverse: nella prima si può anche non usare la voce, nella seconda la voce è fondamentale. L'obiettivo del lettore non è la sua personale comprensione (perché quando legge la lettura deve già averla capita e studiata), ma è che gli altri, attraverso la comunicazione orale, ascoltino, si trovino interessati al testo e non si annoino.
- Capire, il che non è per nulla automatico come alcuni ritengono, per il semplice fatto che in qualche modo è stata letta una pagina della Bibbia. Dipende invece dal modo in cui il lettore si è preparato a leggere il brano e da come lo ha effettivamente letto. È quindi questione di ritmo (pause, velocità), intonazione, articolazione, interpretazione (colore). Senza questa preparazione difficilmente certi testi non facili e complessi riescono comprensibili a chi li ascolta. Pertanto dobbiamo lasciare il tempo alle parole non soltanto di essere pronunciate, ma soprattutto di essere capite. La regola fondamentale è: adagio e con senso.

1.4. Il salmo responsoriale
Come l'acclamazione al Vangelo costituisce uno dei cosiddetti canti "interlezionali", che hanno lo scopo di creare un dialogo tra Dio che parla ed il suo popolo radunato per ascoltarlo. Bisogna farvi molta attenzione poiché spesso il salmo responsoriale è la cenerentola della liturgia della Parola. Le modalità di esecuzione più utilizzate sono le seguenti:
- Salmo letto, ritornello detto. È la soluzione minima, di pura esecuzione, da non raccomandarsi. Anzitutto non si deve dire: "Salmo responsoriale/ritornello". Bisogna inoltre fare molta attenzione, perché in questo caso si corre il rischio che il salmo diventi una quarta lettura: la lettura dev'essere fatta con stile lirico, come si declama una poesia (senza cantilena però); dev'essere interiorizzata, pregata, ben diversa da quella delle due letture.
- Salmo letto, ritornello detto. È la forma più usata. Ricordiamo che nei tempi forti è suggerito l'uso di salmi comuni (es.: Avvento, salmo 24; Quaresima, salmo 50).
- Salmo letto con sottofondo musicale, ritornello cantato o detto.
- Salmo cantato, ritornello cantato. È la forma più appropriata per eseguire il salmo, poiché i salmi in origine erano preghiere cantate; il momento del salmo deve pertanto essere un momento lirico, poetico, che comporta anche l'elemento musicale. Chi canta il salmo? Non il coro, ma il salmista, cioè un solista, con l'intervento dell'assemblea nel ritornello. La scelta della forma di esecuzione fra quelle citate o fra altre ancora, non è assoluta, dev'essere fatta in base a criteri ben precisi (il testo del salmo, la sua natura spirituale, il contesto liturgico, il tipo di assemblea), preferendo, ove possibile, il canto sia del ritornello sia delle strofe (cf PNM 35).

1.5. L'acclamazione al Vangelo
È un'acclamazione, un grido, un canto di gioia. Normalmente si usa l'alleluia. (alleluia è un termine di origine ebraica che significa "lodate Dio"). In Quaresima, invece, si canta un'altra acclamazione.
Non deve mai essere recitata! Non ha nessun senso limitarsi a dirlo, perché per sua natura è un'acclamazione (cf PNM 36). Al più si può dire il versetto inframmezzato al ritornello cantato (però solo quando non vi sono strofe cantate).
Essendo un'acclamazione, non dev'essere troppo lunga, anzi, dev'essere breve, intensa (non un canto con quattro o cinque strofe!).
È bene ripetere l'acclamazione anche dopo il Vangelo, inserendo il canto proprio previsto dal Messale Ambrosiano, per inquadrare la lettura del Vangelo al fine di sottolinearne l'importanza.

1.6. Il Vangelo
È il momento culminante della liturgia della Parola (ma non l'unico importante!), poiché è Cristo stesso che ci parla. Spetta al diacono o ad un sacerdote non celebrante o, in assenza di entrambi, al sacerdote celebrante.

1.7. L'omelia
L'omelia ha come fonte la Parola di Dio è come meta la vita, cioè ha come scopo principale l'attualizzazione della Parola di Dio proclamata nelle letture. Rappresenta pertanto l'anello di congiunzione tra liturgia della Parola e liturgia eucaristica. È importante che l'omelia venga preparata comunitariamente dai sacerdoti assieme agli animatori liturgici (lettori, commentatori, cantori, ecc.) e ai fedeli che lo desiderano, ad esempio durante le riunioni settimanali del gruppo liturgico. È necessario, inoltre, che vi sia una stretta correlazione tra omelia, introduzione, monizioni, ecc... L'importante è che tutti questi interventi svolgano pochi temi e concetti, ma in modo chiaro e unico, non dispersivamente.

1.8. La preghiera dei fedeli.
E' detta anche preghiera universale in quanto in essa si prega per l'intera umanità. Le intenzioni, che possono essere liberamente formulate, devono essere semplici, brevi, veramente universali (salvo rari casi realmente importanti per la comunità). Se si vuole che più persone propongano le intenzioni, vi dovrebbe essere un'effettiva libertà ed autenticità. La risposta dell'assemblea è bene che ogni tanto sia variata (evitare di usare sempre "Ascoltaci, o Signore") e, almeno nelle feste importanti, sarebbe bene che fosse cantata.

1.9. Il silenzio
Sono troppo pochi i momenti di silenzio durante la Messa! Ve ne dovrebbero essere almeno dopo l'omelia e dopo la Comunione, ma anche durante l'atto penitenziale, dopo ogni lettura, ecc. (cf PNM 23). Altrimenti le nostre celebrazioni rischiano di diventare un fiume di parole che si riversano sull'assemblea, ma che difficilmente rimangono, perché non hanno tempo di fare presa.

1. 10. Il commentatore
È un animatore liturgico molto importante, soprattutto in celebrazioni caratterizzate da assemblee vaste ed eterogenee. Il suo compito è quello di guidare l'intera celebrazione, di essere il "cordone ombelicale" tra il rito e l'assemblea, attraverso alcuni brevi interventi fatti in modo opportuno e al momento opportuno (cf PNM 69; OLM 57).
Oltre all'introduzione iniziale della celebrazione, vi può essere una monizione prima di ogni lettura (ed eventualmente del salmo) oppure un'unica monizione all'inizio della liturgia della Parola. Queste monizioni sono spesso indispensabili al fine di fornire all'assemblea una chiave di lettura che l'aiuti ad entrare in sintonia con i testi che verranno proclamati e di conseguenza al fine di consentire all'omelia di avere un saldo punto di partenza in letture ascoltate e capite da tutti.
Le introduzioni o monizioni alle letture devono essere: brevi, semplici, chiare (non anticipazioni all'omelia o mini-omelie), preparate con cura; non semplici riassunti ma testi avvincenti che cerchino di evidenziare l'aggancio con l'attualità, con ciò che stiamo celebrando oggi, eventualmente messe sotto forma di domanda in modo da stimolare l'attenzione. Per certe letture (soprattutto per quelle più difficili) l'introduzione è indispensabile. Non dovrebbero mai essere lette (al più si può avere davanti una traccia): sono inviti, non proclamazioni, e quindi devono essere dette con tono colloquiale, come in una discussione tra amici.
Inoltre vi possono essere anche altri brevi interventi all'atto penitenziale, alla presentazione dei doni, alla Comunione, prima di alcuni canti, ecc.
Il commentatore dev'essere una persona diversa (quando è possibile) dai lettori; non deve salire all'ambone, ma stare in disparte perché non proclama la Parola di Dio. È indispensabile che sia un animatore esperto e ben preparato, dotato di un vivo senso di responsabilità, che non si limiti a leggere monizioni scritte da altri e che sappia essere sobrio e discreto, evitando ogni forma di protagonismo. Quando non c'è il commentatore, il commento alle letture può essere fatto opportunamente anche dal presidente.

2. Le tecniche di lettura
2. 1. Comunicare con l'assemblea
Molto spesso, anzi quasi sempre, si usa la stessa parola "leggere" per indicare due azioni molto diverse: leggere per sé e leggere pubblicamente, per gli altri. Nella prima azione si può anche non usare la voce, mentre per la seconda la voce è indispensabile. Questa confusione di significati comporta diversi equivoci, primo fra tutti il ritenere che non sia necessaria alcuna competenza specifica, né che ci si debba preparare, per leggere durante una celebrazione liturgica.
Le conseguenze di questi equivoci le conosciamo tutti: persone che vengono incaricate di leggere alcuni secondi prima della celebrazione (o addirittura a celebrazione già iniziata); lettori che, giunti all'ambone, vedono per la prima volta il brano da leggere (quante volte succede che viene letto un brano della domenica precedente o di quella successiva!); lettori che leggono male (troppo in fretta, senza senso, con cantilena, in modo non adatto al tipo di lettura, senza tener conto di avere un microfono, ecc. ...); letture affidate a bambini e ragazzi, che ovviamente non possono comprenderle a fondo e quindi nemmeno trasmetterne il contenuto, e tante altre disfunzioni analoghe.
Tutto ciò comporta una conseguenza precisa: la Parola di Dio non giunge all'assemblea e la liturgia della Parola viene così ad essere decapitata. Inoltre anche l'omelia perde parte della sua efficacia, poiché è molto arduo, se non impossibile, spiegare ed attualizzare letture che non sono state capite e forse nemmeno ascoltate.
Che cosa si può fare per cercare di risolvere problemi così importanti? Anzitutto far sì che i lettori si rendano conto che il lasciarsi andare all'impreparazione, all'improvvisazione, alla trascuratezza equivale a "prendere in giro" Dio e l'assemblea; che un tale modo di comportarsi, umanamente parlando, non è serio e, cristianamente, è irriguardoso sia verso la Parola di Dio, sia verso i fratelli nella fede.
L'aver preso coscienza di quanto siano importanti le leggi della comunicazione per la lettura in pubblico comporta poi che il lettore si sforzi di acquisire un'adeguata competenza tecnica, allo scopo d'imparare ad usare correttamente la propria voce e quindi consentire e favorire la trasmissione del messaggio che è chiamato ad annunciare attraverso la comunicazione orale, cioè la Parola di Dio. Quindi la tecnica usata, cioè il modo di leggere, d'interpretare il testo non è un di più, un lusso: è invece la prima condizione perché sia suscitato un minimo interesse di ascolto.

2.2. La preparazione delle letture
A questo punto ci si può chiedere: in pratica che cosa deve fare un lettore per prepararsi a leggere una lettura? Si può rispondere suggerendo una serie di operazioni che gli consentono di studiare e approfondire progressivamente e sotto i diversi aspetti il testo.
1. Sapere con congruo anticipo quando e che cosa si dovrà leggere: ciò comporta l'esistenza del gruppo lettori, che si deve occupare anche di stabilire turni di lettura; bisogna fare di tutto per evitare di scegliere un lettore poco prima della celebrazione (o addirittura a celebrazione già iniziata).
2. Leggere e studiare il testo per capirne bene il significato, aiutandosi eventualmente con un commento e partecipando inoltre alle riunioni del gruppo liturgico parrocchiale (per poter fare ciò è indispensabile che ogni lettore possegga un messalino).
3. Individuare il "genere letterario" del testo, facendosi almeno un'idea del libro da cui è stata tratta la lettura e del tipo di lettura.
4. Cercare le parole o frasi chiave del brano, perché è su di esse che dovrà centrare l'intera lettura.
5. Studiare il testo dal punto di vista tecnico allo scopo di leggerlo correttamente, ovvero: andare alla ricerca della cosiddetta "punteggiatura orale" della lettura (pause, incisi, cambiamenti di intonazione, di ritmo, ecc.), mettere in evidenza le parole di difficile pronuncia, il tipo d'interpretazione adatto, ecc.
6. Leggere la lettura ad alta voce più volte, cioè fare vere e proprie prove, possibilmente di fronte a qualche ascoltatore o anche al registratore.
Di fronte a questa scaletta di preparazione il lettore non deve, ovviamente, spaventarsi: come in tutte le cose non è necessario fare tutto subito. Ma è bene procedere per gradi, cercando di assimilare questi principi progressivamente e soprattutto verificandoli ogni domenica attraverso l'esperienza diretta. Ciò che non deve mai venir meno è lo sforzo continuo di mettere in pratica, un po' per volta, tutte queste cose, cominciando con il preparare ogni volta la propria lettura, con costanza ed impegno. Se si trova il tempo di fare molte altre cose, spesso assai meno importanti, perché non trovarlo anche per le letture?
Data l'importanza di questo lavoro settimanale, riassumiamo i vari passi in uno schema che potrebbe essere utilmente distribuito a tutti i lettori come promemoria.

Sei domande per preparare bene una lettura
1) Quale brano verrà letto, oggi?
- procurarsi il testo
2) Di che cosa parla?
- leggere il testo
3) Posso avere qualche notizia in più?
- leggere l'introduzione al brano sul messalino
- leggere l'introduzione alla celebrazione sul messalino
- leggere sulla Bibbia l'introduzione al libro da cui è tratto il brano
- consultare sussidi (ad es.: "Servizio della Parola")
4) Quali sono le parole, le frasi chiave?
- leggere il testo sottolineandolo
5) Come posso leggere il brano?
- leggere il testo sillabandolo, provando volume e ritmo;
- leggere il testo applicando volume, ritmo e pause;
- leggere il testo mettendo in rilievo le frasi chiave;
- leggere il testo "vedendo le immagini".
6) La mia lettura è "ascoltabile"?
- leggere il testo ascoltandosi, verificando se con il proprio modo di leggere l'assemblea è in grado di: sentire, capire, ascoltare.

2.3. La respirazione
È molto importante imparare ad effettuare una respirazione corretta, ossia addominale e non soltanto toracica (cosa che si ottiene facendo ampio uso del diaframma), e sufficientemente profonda. Solo così si riesce ad emettere una voce valida sia qualitativamente sia quantitativamente. Si ricordi, inoltre, che una buona respirazione può favorire il rilassamento e quindi aiutare a vincere la paura e la tensione.

2.4. La voce
Sulla base di una corretta respirazione, si tratta di utilizzare al meglio le possibilità dell'apparato vocale. Una buona voce dev'essere robusta e non debole, sicura e non tremolante, calda e non acuta e stridente. Per evitare, ad esempio, voci "ingoiate" o nasali, occorre apprendere come si sfruttano i risonatori naturali (cavità orale, seni nasali, ecc.). Per ottenere, poi, una voce veramente personale, ciascuno dovrebbe individuare in quale registro (acuto, medio o grave) essa risuona più naturalmente. È ovvio che solo attraverso una serie di esercizi specifici si possono ottenere risultati apprezzabili.

2.5. L'analisi della frase e del periodo
E' essenziale rendersi conto, anche senza soffermarsi a lungo, di come sono costruite le frasi e i periodi che compongono il testo da leggere. Ad esempio, un periodo in cui prevalga la paratassi (ovvero la successione lineare delle frasi una dietro l'altra, suddivise da pause o da congiunzioni come: e, o, quindi, ma, ecc.) come, ad esempio, in molte pagine dei Vangeli, deve essere letto in modo ben diverso da un periodo in cui prevalga l'ipotassi (ovvero l'ordinamento gerarchico delle frasi in cui ad una frase principale sono legate altre, dette secondarie, per mezzo di congiunzioni come: che, perché, se, quando, mentre, ecc.), come, ad esempio, in molte pagine delle lettere di san Paolo.

2.6. La pause
Per leggere bene bisogna fare le pause al momento giusto, nel modo giusto. Preparare una lettura significa quindi, anzi tutto, studiarla al fine d'individuare le pause che dovranno essere fatte, distinguendo quelle lunghe e quelle brevi e poi segnarle con una o più sbarrette a matita (il numero di sbarrette è proporzionale alla loro lunghezza), nei punti opportuni.
Le pause si suddividono in: pause sintattiche e pause espressive. Le pause sintattiche vengono stabilite in base alla sintassi della frase e quindi in base alla punteggiatura " , ; : . ! ? - ( ) " " e sono più o meno lunghe in base al segno che vogliono esprimere; vi possono però essere variazioni che dipendono dalla lettura in questione e dall'interpretazione che ne vogliamo dare. Si può ritenere comunque che la maggior parte delle pause lunghe corrisponda alla fine dei periodi. Le pause espressive, invece, non sono soggette a regolamentazioni precise ed il loro uso è a discrezione del lettore; la loro importanza però non è di certo minore.

2.7. Il ritmo
Così come la frase musicale, anche la frase di un testo ha un ritmo che il lettore deve saper rendere. Si tratta del modo in cui viene regolata la successione delle sillabe e delle parole. La maggior parte dei lettori legge troppo in fretta: la velocità con cui si legge dev'essere decisamente più lenta che nella comune conversazione. Inoltre la velocità deve variare secondo il genere letterario del testo che si legge (la poesia, ad esempio, un salmo, si legge più lentamente che l'epopea, ad esempio il passaggio del Mar Rosso): ogni pagina ha il suo ritmo! Dobbiamo in ogni caso lasciare sempre il tempo alle parole non soltanto di essere pronunciate, ma soprattutto di essere capite. Agli effetti di chi ascolta c'è un ritmo diverso di assimilazione rispetto a chi parla. La regola fondamentale è: "adagio e con senso". Attenzione, inoltre, ad evitare l'errore di una lettura a strappi, caratterizzata da pause troppo nette; il ritmo della frase dev'essere sempre scorrevole e uniforme.

2.8. Il volume
La lettura in pubblico richiede anche che si parli con un volume più alto di quello che si userebbe nella comune conversazione, anche in presenza di un microfono. D'altra parte, in pubblico, bisogna sempre parlare rivolgendosi alle persone dell'uditorio che sono più lontane, sia per aumentare la "portata" della voce, sia per abbracciare con il nostro sguardo l'intera assemblea.

2.9. L'intonazione
Bisogna fare attenzione a leggere con un'intonazione media, cioè quella per noi più naturale e più comoda; capita spesso, invece, che si legga in pubblico in un tono diverso da quello che per noi è abituale (normalmente più alto), con il risultato di apparire innaturali e di affaticare la voce. È indispensabile evitare sia la cantilena sia gli sbalzi eccessivi dai toni acuti a quelli gravi e viceversa: in altre parole, bisogna imparare ad usare correttamente la "modulazione" della voce.
Un esempio molto importante che illustra la necessità di cambiare intonazione è quello delle frasi incidentali (molto comuni, ad esempio, nelle lettere paoline) che richiedono un'intonazione diversa (normalmente più bassa) dal resto della frase, allo scopo di evidenziarle. Si faccia attenzione poi a lasciare l'intonazione in sospeso al termine di una prima parte della frase che è seguita da un'altra parte da essa dipendente, e di chiudere, invece, l'intonazione al termine di una parte compiuta della frase o al termine della frase stessa.
Anche le frasi esclamative ed interrogative richiedono l'uso di un'intonazione particolare. Si considerino in particolare le frasi interrogative onde evitare la cantilena o l'errore di fare cadere l'accento interrogativo solo sull'ultima parola. A volte non è nemmeno il caso di far sentire l'interrogazione perché essa è già suggerita dalla frase stessa (es.: "Che cosa mangeremo?", "Quale merito ne avrete?"); quando invece e necessario farla sentire, l'intonazione interrogativa normalmente deve cadere sul verbo (es.: "Non sapete che siete tempio di Dio?"; "Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente?").
Attenzione alla finale di una frase: non è mai caratterizzata da una caduta del tono della voce, ma dal mantenimento della stessa intonazione fino al punto fermo. Attenzione anche all'intonazione dell'inizio di frase. Dev'essere sempre più alta dell'intonazione con cui si è terminata la frase precedente, per segnare la ripresa del discorso ed il distacco fra le due frasi.
Capita spesso inoltre di confondere il volume con l'intonazione, con il risultato che, senza rendersene conto, alzando l'uno si alzi anche l'altra e viceversa, mentre la loro regolazione deve sempre essere mantenuta rigorosamente separata.

2.10. Il colore ovvero l'interpretazione
Il lettore che legge la Parola di Dio non può esimersi dal dare colore, dall'interpretare la lettura: l'importante è farlo nel modo giusto, cioè con estremo senso della misura. Non si deve leggere in modo piatto, come se non c'interessasse ciò che leggiamo, anzi, dobbiamo mettervi tutto il nostro slancio, il nostro entusiasmo, la nostra gioia di annunciatori della Parola. Ma non si deve nemmeno eccedere nel colore, per il solo timore d'essere monotoni o per voler dare un'interpretazione troppo personale.
Gli errori da evitare sono:
- la lettura sfilacciata, noiosa, fredda che fa notare il disinteresse del lettore;
- la lettura cantante, cioè ricca d'inflessioni non necessarie, di cadenze sempre uguali, un po' falsa, forzata;
- la lettura enfatica, cioè piena di troppo calore che diventa enfasi, cioè freddo convenzionalismo. Il colore dev'essere misurato in funzione del tipo di lettura, dell'assemblea di fronte alla quale ci troviamo, ecc.
In questo ci si può aiutare anche cercando d'immaginare, sia prima sia durante la lettura, la scenografia di ciò che stiamo leggendo.
Altra cosa sono invece l'omelia, le parole di saluto, le monizioni, le introduzioni, cioè i momenti nei quali ci esprimiamo attraverso parole nostre, in questi casi è necessario usare un'interpretazione più personale, allo scopo di rendere i nostri interventi più convincenti ed ascoltati.

2.11. L'articolazione e la pronuncia
Per una buona articolazione è indispensabile parlare con la bocca ben aperta, soprattutto per articolare bene le vocali.
Le vocali sono sette, poiché sia la e sia la o hanno un diverso accento fonico, cioè una pronuncia chiusa o acuta (é, ó) (es.: perché, cristianésimo, vérde, cróce, amóre, nói) ed una aperta o grave (è, ò) (es.: Chièsa, bène, cènto, sacèrdozio, cuòre, uòmo). Bisogna rispettare inoltre l'accento tonico delle vocali e cioè appoggiare la voce sulla vocale giusta (vocale tonica), in modo che le parole vengano pronunciate nel modo corretto: tronche (es.: verità), piane (es.: etèrno), sdrucciole (es.: àlbero), bisdrucciole (es.: rùminano), trisdrucciole (es.: telèfonaglielo). Le difficoltà si hanno soprattutto per alcune parole "difficili" (es.: "gratùito" e non "gratuìto"; "mollìca" e non "mòllica" "dissuadére" e non "dissuàdere"; "rubrìca" e non "rùbrica"; ecc.). Le vocali e e o, quando non sono toniche, hanno sicuramente accento fonico chiuso.
In alcuni gruppi di lettere la vocale i compare come semplice segno ortografico e non come suono e pertanto non deve essere pronunciata (es.: cièlo, fascia, religione, fanciullo, ecc.). A volte, davanti ad un'altra vocale la i ha la funzione di "semiconsonante" (in quanto sostituisce l'ormai arcaica j) e deve pertanto essere pronunciata in modo più duro, come se fosse raddoppiata (es.: aiuto, tabaccaio, gaio, ecc.). Bisogna far attenzione all'articolazione della s e della z che può essere sorda o aspra (es.: segno, spesso; grazia, bellezza); sonora o dolce (es.: risveglio, centesimo, bizzarro, organizzare). I gruppi di consonanti gn, gl e sc hanno un suono rafforzato e, pertanto, devono essere pronunciati come se fossero raddoppiati (es.: signóre, égli, conoscènza, ecc.). Inoltre alcune consonanti iniziali di parola si pronunciano come se fossero raddoppiate quando seguono certe parole terminanti per vocale (es.: di-d-Dio, è-v-vero, a-m-me, ecc.).

2.12. La sonorizzazione
Un impianto di sonorizzazione è composto essenzialmente da tre tipi di oggetti:
- i microfoni che servono a raccogliere la voce di chi parla;
- l'amplificatore che ha lo scopo di amplificare i suoni ricevuti dai microfoni;
- gli altoparlanti che servono a ritrasmettere i suoni amplificati.
Questi oggetti sono collegati tra loro in serie nell'ordine suddetto.
I microfoni si suddividono essenzialmente in due famiglie:
- i microfoni onnidirezionali che ricevono i suoni provenienti da ogni direzione;
- i microfoni direzionali che captano soltanto i suoni provenienti dalla direzione frontale.
Normalmente un ambone è dotato di microfono direzionale. Il modo migliore per controllare il funzionamento del microfono è quello di dargli un leggero colpetto con un dito.
È importante riuscire a creare durante la lettura variazioni di volume. Ciò lo si ottiene variando sia il volume della voce, sia la posizione della bocca rispetto al microfono. La posizione media ideale consiste nel disporre il microfono a circa venti centimetri dalla bocca, più o meno all'altezza delle spalle, e quindi leggermente rivolto verso l'alto. Quando è necessario, si può variare la distanza della bocca dal microfono, con spostamenti del tronco. Si possono distinguere tre zone, corrispondenti a tre distanze:
- la zona dell'intimità (da 2 a 10 cm) che richiede di parlare a basso volume, in tono confidenziale;
- la zona della conversazione (da 10 a 25 cm) che richiede di parlare come facciamo normalmente;
- la zona del parlare in pubblico, dalla proclamazione (da 25 a 40 cm) che richiede di parlare come se ci trovassimo in un locale di grandi dimensioni, con molte persone e senza microfono.
Alcuni consigli:
- Prima d'iniziare a leggere, ogni lettore deve preoccuparsi di regolare bene il microfono alla sua altezza, possibilmente senza far rumore.
- Non bisogna mai parlare esattamente in direzione del microfono, ma leggermente spostati di lato, in modo che la voce lambisca il microfono e non vi entri direttamente dentro: questo serve ad evitare i rumori assai sgradevoli che si producono quando si pronunciano nel microfono le consonanti esplosive (p e b) e quelle sibilanti (s e z).
- Quando si parla o canta assieme all'assemblea (ritornello del salmo responsoriale, acclamazioni alla preghiera dei fedeli, canto in generale, ecc.) bisogna farlo a mezza voce per non coprire l'assemblea stessa. E un grave errore credere che parlare o cantare ad alta voce nel microfono stimoli la partecipazione dell'assemblea: in realtà, avviene esattamente il contrario.